ORE 22:43 LEGGETE QUESTO BRANO DI PAOLO RUMIZ PERCHE’ E’ MOLTO BELLO: “COME “PASSARE” AI RAGAZZI NEI LORO CODICI-NELLE LORO MENTI– QUALCOSA DELLA GRANDE GUERRA?” ça va sans dire: DA NEMO!

nemonemo ha postato sul blog cinelibri

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Paolo Rumiz: ” C’è bisogno di una narrazione nuova …” per ricordare la Grande Guerra.


“””::: < […] Ma come narrare la guerra agli europei di domani ? Come entrare nella mente di una
generazione rete-dipendente e quasi del tutto schiodata dalla realtà ? Come spiegare, se questi
ragazzi non hanno avuto nonni capaci di raccontare pezzi di vita vissuta ?

 

La sfida è tremenda.
Richiede una capacità di evocazione inaudita. Di certo non bastano gli oggetti, le foto, i libri, le
mostre. Occorre la narrazione diretta, la voce. Serve andare sui luoghi, e nei luoghi evocare. In
qualche modo, dobbiamo tentare di parlare con i morti, come in un rito woodoo. Tempo fa ho seguito
una scolaresca dentro le gallerie di Cima Gallina, sul Passo Falzarego. Si entrava da una parte
della montagna e si usciva dall’ altro, un finestrone verso il Sass d’la Stria. Rivedo la scena. La
marmaglia entra vociando nel labirinto. Su
trenta, solo due tre sembrano minimamente interessati. Un
generatore provvede all’ illuminazione elettrica, se ne sente il ronzio in una delle caverne.
Risatine, trillo di telefonini. A un certo punto la guida fa spegnere la luce. Nella catacomba
scende il silenzio. Gocciolio, spifferi, rombo di un temporale lontano. Nessuno fiata. La guida
legge la lettera di un alpino alla mamma. L’ alpino è lì, diventa uno dei ragazzi, è un loro
coetaneo. Alla fine escono in silenzio, sono diversi. Aiutano a rinchiudere il portonazzo della
montagna. Si calano in fila nel nevischio. Hanno capito >. …”””

( da Polvere ed eroi raccontati ai ragazzi di oggi di Paolo Rumiz, la Repubblica di Giovedì 9
Ottobre 2014 )

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  1. Donatella D'Imporzano scrive:

    Penso che inevitabilmente i ragazzi, i giovani, non hanno e non possono avere, per la loro giovanissima età, il senso della storia. Tocca agli adulti portarli a vedere il passato come qualcosa di vivo, che fa parte anche della loro breve esistenza. Ricordo che per me la prima guerra mondiale era qualcosa di nozionistico, distante come la guerra di Troia o quella fra Atene e Sparta. Mi diventava più concreta quando mia mamma mi raccontava che alle elementari le bambine come lei fabbricavano coi giornali vecchi delle specie di scaldini che servissero ai soldati al fronte per scaldarsi, oppure mi diceva come dei suoi zii materni si fossero fatti togliere tutti i denti, perché ciò costituiva un’infermità che toglieva l’obbligo di leva. Allora un fatto per me così distante, anche geograficamente, mi diventava un po’ più vicino. Poi, diventando adulti, in genere la storia diventa comprensibile, ma occorre continuare ad imparare, a scuola, a casa, nella vita di tutti i giorni, ad immedesimarsi in quello che cronologicamente è più o meno distante dalla nostra epoca e dalla nostra vita, pur essendo coscienti che difficilmente riusciremo a capire gli uomini che ci hanno preceduto, così come non riusciremo, se non in minima parte, a intuire quello che verrà dopo di noi.

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