ORE 08:51 ANNE K. REAM SCRIVE UNA COSA MOLTO BELLA, QUASI UN POESIA / FORSE /”HARD” /FORSE NO / / COMUNQUE NON SENTIMENTALE—SE NON MI EQUIVOCATE, E’ UN PEZZO BELLO INDIPENDENTENTE DALLA DENUNCIA CHE VI E’ IMPLICITA—E’ LEGGERA E PSICOLOGICAMENTE MOLTO PROFONDA—GRAZIE COME SEMPRE A NUVOLA CHE CE L’HA TRADOTTA!

9780807033364

ANNA K. REAM

mentre presenta il suo libro e le sue idee- IL SUO PROGETTO DI ASCOLTARE E RACCOGLIERE STORIE

 

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Io e la mia ombra

by lunanuvola

(tratto dall’introduzione del libro: “Lived Through This – Listening to the Stories of Sexual Violence Survivors”, scritto da Anne K. Ream, fotografie di Patricia Evans, casa editrice Random House, uscito nell’aprile 2014. Trad. e adattamento Maria G. Di Rienzo.)libro

La solitudine è la qualità che io associo maggiormente alla mia personale storia di violenza. Perché di tutti gli orribili dettagli della notte in cui fui rapita e stuprata, quello che resta il più potente per me non è la violenza in se stessa, o le spossanti e stupide umiliazioni – cagna, puttana, se dici una parola ti ammazzo – ma il suono distante dello stereo di un vicino, che suonava “Lucky Star” (ndt. “Stella fortunata”) di Madonna mentre io venivo assalita.

Anni più tardi, ho trovato il modo di distanziare me stessa da quel momento, volgendolo in ironia: “Madonna! Io ero una ragazza che amava i Clash e Bowie, perciò era proprio un’indegnità doverla ascoltare…”, ma in realtà quella canzone, per quanto banale, divenne per me il mondo esterno, una controfigura della vita stessa, un promemoria per tutte le cose frivole che avevo desiderato e che all’improvviso stavo per perdere. Sapevo, mentre sentivo quella canzone, mentre vedevo me stessa essere stuprata, mentre sapevo che – se fossi sopravvissuta – non avrei mai potuto tornare al punto in cui ero prima.

Sentire i suoni provenienti dall’esterno, quella notte – le voci che fluttuavano dalla strada, la canzone pop che mi disgustava ma che di colpo volevo ascoltare altre mille volte – fu triste in modo insopportabile. Non mi sono mai sentita, prima o dopo, più sola di così. Quando fui liberata ore più tardi, la nuda gioia che provai non ha paragoni con nulla che io abbia conosciuto. Era la gioia della vita che tornava a me, il senso che per quanto alterata io fossi esistevo ancora.

Io vengo da una famiglia che crede nel potere dei silenzi. “Non c’è bisogno che tu dica tutto quello che sai.”, ammoniva mia nonna. Le sue parole erano intese ad incoraggiare l’umiltà, ma portavano con loro un leggerissimo accenno di avvertimento: il mondo sarebbe stato più gentile con me, ed io più attraente per esso, se tenevo al minimo l’esposizione di ogni verità disagevole. Era un silenzio come forma di presentazione, un modo di mostrare al mondo chi eri astenendoti dal parlare di ciò che avevi vissuto. Un tale imperativo prese significati nuovi e problematici dopo che fui sopravvissuta allo stupro.

La gente è a proprio agio – e persino incoraggia – il silenzio e l’invisibilità di coloro che hanno subito violenza sessuale. Quando i media del mainstream riportano casi di stupro, spesso non menzionano i nomi delle vittime ne’ mostrano i loro volti, una misura necessaria a proteggere la privacy, anche se ci rende ancora più invisibili e isolate. E naturalmente, la privacy è una piccola e importante misericordia da offrire a chi ha già perso così tanto, e le vittime di stupro scelgono spesso l’anonimato per una varietà di ragioni psicologiche, pratiche e professionali. Ma l’anonimato non si presta ad una comunità, ed era una comunità di sopravvissute, con il potere collettivo di sfidare un mondo in cui tale violenza esiste, che la fotografa Patricia Evans – anch’essa sopravvissuta allo stupro – ed io stavano cercando quando abbiamo iniziato il progetto che sarebbe diventato il libro “Lived Through This”.

Io ho passato la maggior parte della mia vita adulta in presenza di un sé ombra. Sono una donna che è vissuta attraverso lo stupro, tormentata dallo spettro della persona che avrei potuto essere se non avessi mai conosciuto quella violenza. Amo profondamente la mia vita, forse persino più di quanto avrei fatto se non fossi stata sul punto di perderla, e ho il raro privilegio di viverla pienamente, con più gioia di quanta un tempo avrei creduto possibile. Nulla di tutto questo mi ha impedito di continuare a chiedermi chi avrei potuto essere se non fossi stata violentata.

Volere che mi fosse restituito il mio sé precedente lo stupro è stato un esercizio insensato e impossibile, ma la nostalgia – come tutte le nostalgie non voluta – è stata difficile da scuotere via. Pure, nello scrivere questo libro, dopo aver ascoltato e imparato da queste notevoli persone, donne e uomini, che state per incontrare (e molti altri che non sono in queste pagine), i miei due sé si sono finalmente riuniti.

Come posso continuare a desiderare la persona che ero, quando alla persona che sono è stato assegnato in fiducia il compito di narrare queste storie? Anne K. Ream

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