ore 23:24 DA DONATELLA D’IMPORZANO, LA NOSTRA DONATELLA, STASERA CI ARRIVA UN BELLISSIMO RICORDO DI BERLINGUER SCRITTO DA NATALIA GINZBURG—GRAZIE DONATELLA!

[audio:https://www.neldeliriononeromaisola.it/wp-content/uploads/2014/06/Lang-Lang-Franz-Liszt-Consolation-No.-3-in-D-Flat-Major-S-172-2011.mp3|titles=Lang Lang – Franz Liszt Consolation No. 3 in D-Flat Major, S 172 2011]
Uno scritto di  Natalia Ginzburg su Berlinguer


NATALIA GINZBURG  (PALERMO 1916)

” Roberto Benigni scriveva che avrebbe voluto studiare medicina, essere un grande medico, saltare su quel palco dove Berlinguer s’era sentito  male mentre parlava, salvarlo in pochi istanti. “Andiamo all’ospedale di corsa, dicendo alla folla di aspettare, faccio stendere Berlinguer, usciamo, sta benissimo. Grazie  dottor Benigni. Niente, Berlinguer, ti voglio bene…In questi giorni s’è bruciato il firmamento, adesso so che si dirà: Berlinguer è vivo andiamo avanti, io invece vorrei dire; Berlinguer è morto, torniamo indietro. Caro Enrico, troppo presto, morire a sessantadue anni è come nascere a ventiquattro mesi: uno non ci crede. E io sono sicuro che magari tra una settimana Berlinguer apparirà alla televisione con una bella camicia hawaiana. Io aspetto”.
La sensazione che ” bruciava il firmamento”, in quei giorni, l’abbiamo avuta tutti. Abbiamo tutti pensato non soltanto che era successa “una tragedia politica”, ma abbiamo pensato che la sua morte era per ognuno di noi una disgrazia personale, una perdita personale, qualsiasi fosse il nostro colore politico e qualsiasi fossero le nostre idee. In quei giorni tutti abbiamo pensato a lungo e intensamente alla morte. Si pensa alla morte, così a lungo e così intensamente, quando scompare una persona con cui abbiamo avuto una lunga consuetudine d’amicizia, una stretta e profonda intesa. Lui vivo, avevamo sempre ammirato la sua forza morale, la sua straordinaria libertà mentale, la sua rettitudine, il suo coraggio e quel dono che aveva di parlare alla gente, di dominare la folla senza mai assumere i connotati e le spoglie del potere. Ma nel momento in cui moriva ci siamo accorti che ognuno di noi aveva con lui un rapporto personale, fiducioso e confidenziale, anche se ci eravamo limitati ad ascoltarlo nella folla di una piazza. Fu un momento in cui tutto il Paese ebbe gli stessi sentimenti e gli stessi pensieri, e si raccolse intorno ad ogni minimo ricordo che aveva di lui, per ricostruirne l’immagine, per conservarne ogni tratto nella memoria. Fu un momento in cui ognuno pensò anche a se stesso, alle proprie fatuità e vanità e viltà e miserie, fulmineamente gettandole via, come accade quando siamo colpiti da una grande disgrazia, quando il nostro animo diventa all’improvviso deserto e severo. Fu un momento in cui ognuno si disse che, in quella perdita, voleva cercare un significato, e imparare a vivere in un modo meno spregevole e meno vile. Fu un momento in cui, come aveva detto Benigni, ” il firmamento bruciava”.
Della vita privata di Berlinguer, si sapeva poco o nulla, avendo egli sempre tenuta divisa la sua vita privata dalla sua vita pubblica. Tuttavia ci accadde di pensare tutti alla sua vita privata, nel momento della sua morte. Essendo egli riservato e timido, vi pensammo timidamente. Avevamo la sensazione precisa che quella sua volontà di riservatezza dovesse essere rispettata. ma poiché egli è morto lontano da casa sua, sovente e a lungo il nostro pensiero si è trovato a indugiare su quello che aveva lasciato partendo, sulle stanze e sugli oggetti che aveva guardato per l’ultima volta.
Qualche giorno fa, essendomi stato chiesto di parlare delle sue letture, sono andata a casa sua, e vi ho passato qualche ora, col fratello e la moglie. Io sono timida, e il fratello e la moglie sono timidi. Inoltre avevo timore di fare troppe domande, ricordando bene come Berlinguer avesse difeso la sua vita privata, l’avesse tenuta accuratamente divisa dalla sua vita pubblica.
Facevo qualche domanda, ma intanto mi distraevo a pensare com’era e come doveva essere stato da ragazzo, e da bambino. E ancora una volta mi sono chiesta quali erano i tratti che lo rendevano tanto diverso da ogni personaggio pubblico. Vivo, sapevamo di sentire per lui una profonda ammirazione. Morto, abbiamo capito quanto ci era necessario, quanto era necessaria a tutti la sua presenza umana, quanto tutti gli volevamo bene.
Fu a capo di un grande partito, ma non amava certo essere un capo. Certo avrebbe voluto passare inosservato nelle strade. Fu un capo sapendo che le circostanze lo richiedevano. Ma era di indole riflessiva e contemplativa. Amava la lettura e lo studio. Aveva il dono di parlare alla gente, nelle piazze, con parole intelligibili a tutti, e in cui tutti potevano rispecchiarsi. Ma penso che non provasse, parlando nelle piazze, nessuna gioia. Ogni personaggio pubblico ama la folla, il clamore degli applausi, il consenso pubblico, ma lui non li amava. Non ne aveva gioia. La gente amava in lui quell’assenza di gioia negli applausi, quella forza severa, dimessa e triste, quella forza che non aveva i connotati della forza.
Ragazzo, leggeva molto. me lo hanno detto i suoi famigliari, ma non era difficile immaginarlo. Leggeva soprattutto i filosofi. Lesse costantemente nel corso della sua vita, i “Dialoghi di Platone”. Quando lasciò la casa paterna, portò via con se’ soltanto i libri di politica e filosofia. I romanzi non li prese.
Anche Machiavelli era una sua lettura costante, a cui sempre ritornava.
Tuttavia leggeva i romanzi. Amava i romanzi di Elsa Morante, mi hanno detto i suoi famigliari. Di Moravia amava soprattutto “I racconti romani”.
Amava Leopardi. Leggeva molto i poeti. Conosceva bene la poesia di Montale. Più che non i prosatori, amava i poeti. Leggeva a letto la sera, prima di addormentarsi.
Non guardava la televisione. Alla televisione guardava soltanto il telegiornale e lo sport.
Amava la musica di Wagner.
Ho chiesto quali erano gli ultimi libri rimasti sul comodino, gli ultimi che aveva sfogliato o letto, per curiosità o per amore, negli ultimi giorni, prima di lasciare  la sua casa per sempre. Erano all’incirca i seguenti: Rimbaud; un libro di Graham Green che gli aveva regalato Tatò; “La tempesta” nella traduzione di De Filippo; “Lo stadio di Wimbledon” di Daniele Del Giudice; il primo volume di “Oblomov”; i ” Discorsi parlamentari” di Croce; “Le Confessioni” di Sant’Agostino; “I dieci giorni che sconvolsero il mondo”.
“Oblomov” è la storia di un pigro. Ho chiesto alla moglie se egli avesse amato questo romanzo bellissimo. La moglie mi ha detto che lo aveva molto amato. Era forse anche lui un pigro, per sua natura, mi ha detto la moglie, eppure per la pigrizia, per l’ozio, per i pigri vagabondaggi, nella sua vita  ben poco c’è stato. E’ morto logorato dalla fatica. E tuttavia un fondo di pigrizia, di nostalgia dell’ozio, della vita randagia e contemplativa, era rimasto impresso nei suoi tratti. Anche questo lo rendeva diverso dai consueti personaggi pubblici e caro a coloro che amano, nelle fisionomie umane, il desiderio dimenticato o rimosso d’un altro e contrastante destino”.
nota di donatella:
Si tratta di parte di un articolo di Natalia Ginzburg, dal titolo “Anniversario”, contenuto nello speciale su Berlinguer pubblicato dall’Unità nel giugno 1985, ripreso dall’Unità di venerdì 30 maggio 2014, pag.9.
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