ORE 22:16 UN CONTRIBUTO ALLA NOSTRA FESTA DA DONATELLA CHE DEFINIREI “IMPORTANTISSIMO “: SIA PER L’INTERVISTA, MA ANCORA DI PIU’ PER AVERCI DATO LA POSSIBILITA’ DI CONOSCERE UNA TALE PERSONALITA’ COME ZEEV STERNHELL—MA QUALE SARA’ LA FESTA CHE AMERA’ DONATELLA? NE DOVREMO FARE UNA PER OGNUNO! // se volete al fondo c’e’ un video sull’apartheid dei ragazzi palestinesi in relazione allo sport—

questa e’ una delle mille feste che potrebbero piacere a donatella,

e noi cominciamo da qui—grazie a tutti —se mai potessimo formare “un

insieme” anche solo virtuale!  “Uno stare insieme, bene, in pace e scambio,

senza competizioni”—cosi’ sogna ancora chiara

Gricignano – Festa dell’unità 1975

 

https://www.youtube.com/watch?v=t3lcBpKOlCU

 

 

 

 

Zeev Sternhell: «Apartheid
già presente in Israele»

Di Umberto De Giovannangeli

4 maggio 2014

 

 

Zeev Sternhell (Przemyśl10 aprile 1935) è uno storico israeliano, di origine polacca.

Sternhell è uno dei massimi esperti mondiali del fascismo e un importante militante del movimento Peace Now (Pace ora). Sternhell ha guidato il Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università Ebraica di Gerusalemme e scrive sul quotidiano israeliano Haaretz. Sternhell è stato insignito del Premio Israele per le Scienze Politiche Science nel 2008.

(A CHI POSSONO INTERESSARE, AL FONDO, NOTIZIE BIOGRAFIA—CONSIGLIO DI LEGGERLE, VEDRETE CHE NON E’ PROPRIAMENTE UNO STORICO CHE FA RICERCHE E PUBBLICA LAVORI, MA UN MILITANTE PER LA PACE CHE HA SUBITO ANCHE UN ATTACCO TERRORISTICO IN CASA SUA. MA LUI VA AVANTI)

 

 

 

 

 

 

Il grande storico guarda con amaro realismo il presente del suo Paese, analizza con la consueta passione civile e lucidità intellettuale le dinamiche, non solo politiche ma culturali, identitarie, che segnano oggi Israele, a pochi giorni dal 68mo anniversario della sua fondazione.

La parola a Zeev Sternhell, 79 anni, il più autorevole storico israeliano. Tra le sue opere, ricordiamo «Nascita d’Israele. Miti, storia, contraddizioni»; «Nascita dell’ideologia fascista»; «Contro l’illuminismo. Dal XVIII secolo alla guerra fredda», editi in Italia da Baldini Castoldi Dalai. Nel 2008, è stato insignito della più prestigiosa onorificenza culturale e scientifica del suo Paese: il Premio Israele per le Scienze politiche. Più che un j’accuse contro l’attuale classe dirigente israeliana, Sternhell pone l’accento sulla «psicologia di una nazione», il suo senso comune, in rapporto all’annoso tema della pace. «Oggi – riflette lo storico– non vi è alcun segnale che indichi la volontà, oltre che la capacità, di forgiare una maggioranza a sostegno di un accordo equo con i palestinesi».

Quanto alla richiesta reiterata più volte dal premier Benjamin Netanyahu al presidente dell’Autorità nazionale palestinese, Mahmoud Abbas (Abu Mazen) di riconoscere Israele come Stato ebraico, Sternhell annota: «Avanzare questa richiesta significa pretendere che i palestinesi ammettano la loro sconfitta storica e riconoscano la proprietà esclusiva degli ebrei del Paese. Ciò che si chiede loro è rinnegare la loro identità nazionale, accettando una resa storico-culturale prim’ancora che politica».

Professor Sternhell, i negoziati di pace israelo-palestinesi sono di nuovo a uno stallo, in un rimpallo di responsabilità tra le due parti. Visto da un intellettuale come lei, da sempre impegnato nel dialogo, qual è il segno di questa ennesima battuta d’arresto?


«Il segno dei tempi, il segno di un arretramento culturale prim’ancora che politico che non riguarda solo l’attuale classe politica, alquanto modesta, del mio Paese. Ciò che mi preoccupa di più è l’idea di “pace” che oggi permea trasversalmente Israele, una idea diventata senso comune per la maggioranza dell’opinione pubblica. È qualcosa di più e di più grave di una idea di pace a costo zero. È la convinzione che l’unica pace accettabile è la resa incondizionata dei palestinesi. Vede, se si chiede a un cittadino medio israeliano se è per la pace o per la guerra, le risponderà pronto che lui vuole la pace. Ma la “psicologia di una nazione” emerge quando si scava nell’idea di pace. È qui che si nasconde l’arretramento».

Qual è la «pace» giusta per lei?


«È quella che non può fare a meno di un concetto fondamentale: la giustizia. Una pace senza giustizia è un esercizio retorico destinato a un misero fallimento. Ma la giustizia, in questo caso, è tale se riconosce e rispetta i diritti di tutti e non solo di chi esercita il monopolio della forza. Vede, nel mio Paese chi si considera di sinistra evoca spesso la necessità di battersi per la giustizia sociale. Ma come è possibile realizzare la giustizia sociale senza definire la giustizia come un valore universale? Quali sono i confini della giustizia e della sua attuazione? Questo ci riporta all’occupazione. La giustizia non è solo il diritto a un alloggio decente per gli ebrei, è anche il diritto alla libertà per un popolo che vive sotto occupazione. Prima che in politica, la sinistra ha perso la sua battaglia nel campo della cultura, del confronto di visioni.

 

A 68 anni dalla nascita d’Israele, ad affermarsi sembra essere il revisionismo sionista di Jabotinsky, quello che affida a Israele una sorta di ruolo “messianico”, da popolo eletto; una idea per cui a essere centrate è “Eretz Israel”, la sacra Terra d’Israele piuttosto che “Medinat Israel”, lo Stato d’Israele. In questa visione lo Stato non esiste per garantire la democrazia, l’uguaglianza, i diritti umani o anche una vitadignitosa a tutti; esiste per garantire il dominio ebraico sulla Terra di Israele e

per assicurarsi che nessuna entità politica supplementare è qui stabilita. Tutto è ritenuto lecito per raggiungere tale fine e nessun prezzo è considerato troppo elevato. Ma tutto ciò non ha nulla a che vedere con la “modernità”. Inesorabilmente Israele si sta trasformando sempre più in una entità anacronistica».

C’è chi paventa il rischio che proseguendo l’occupazione, Israele possa trasformarsi in uno «Stato di apartheid».
«Non si tratta di un rischio, è qualcosa che già si sta determinando nella realtà quotidiana, negli atti compiuti dalle autorità, e nella percezione di sé e dell’altro che ne è il tratto ideologico: l’idea per cui se il palestinese, o l’arabo israeliano, se vuol essere “tollerato” deve accettare la propria inferiorità. Quello che così facendo si è creato è un “popolo di espropriati”. Espropriati non solo delle loro terre ma della loro identità, del loro essere più profondo. La strada per il Sudafrica è stata pavimentata e potrà essere smantellata solo se il mondo libero, l’Occidente, porrà Israele di fronte a un aut aut…».

Quale?
«Fermare l’annessione e smantellare la maggior parte delle colonie e lo Stato dei coloni o essere un emarginato».

A proposito dello “Stato dei coloni”. Fuori e dentro Israele è aperto da tempo un dibattito sul boicottaggio dei prodotti che provengono dagli insediamenti. Lei ha affermato in passato che questo boicottaggio non può essere considerato come una forma di antisemitismo. È ancora di questo avviso?

«Assolutamente sì. Il boicottaggio è soprattutto un modo civile, non violento ma concreto, per protestare contro il colonialismo e l’apartheid prevalente nei Territori».

Una tesi condivisa da molti intellettuali israeliani.
«È bene che sia così. Ed è un bene per Israele, per la sua immagine nel mondo. Gli intellettuali sono i migliori ambasciatori del sionismo, ma rappresentano la società israeliana, non la realtà coloniale. Pensano che calpestare i diritti dei palestinesi in nome dei nostri diritti esclusivi per la terra, e in virtù di un decreto divino, contamina la storia ebraica di una macchia indelebile».

Lei afferma che gli intellettuali sono i “migliori ambasciatori” del sionismo. Ma c’è chi vede proprio nel sionismo la radice ideologica e l’esperienza politica “fatta Stato” che è alla base dell’espansionismo israeliano.


«No, non è così. Questa è una caricatura del sionismo o, comunque, ne è una traduzione politica strumentale, in alcuni casi funzionale ad ammantare di idealità positiva una pratica intollerabile. Il sionismo si fonda sui diritti naturali dei popoli all’autodeterminazione e all’autogoverno. Questi diritti naturali dei popoli valgono per tutti, inclusi i palestinesi. Come le ebbi a dire in una nostra precedente conversazione, resto fermamente convinto che il sionismo ha il diritto di esistere solo se riconosce i diritti dei palestinesi. Chi vuole negare ai palestinesi l’esercizio di tali diritti non può rivendicarli per se stesso soltanto. Purtroppo, la realtà dei fatti è il moltiplicarsi dei piani di colonizzazione da parte del governo in carica, questi fatti confermano quanto da me sostenuto in diversi saggi ed articoli, vale a dire che gli insediamenti realizzati dopo la guerra del ’67 oltre la Linea verde rappresentano la più grande catastrofe nella storia del sionismo, e questo perché hanno creato una situazione coloniale, proprio quello che il sionismo voleva evitare. Da questo punto di vista, per come è stata interpretata e per ciò che ha innescato, la Guerra dei Sei giorni è in rottura e non in continuazione con la Guerra del ’48. Quest’ultima fondò lo Stato d’Israele, quella del ’67 si trasformò, soprattutto per la destra ma non solo per essa. da risposta di difesa ad un segno “divino” di una missione superiore da compiere: quella di edificare la Grande Israele».

 

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fine intervista di Umberto De Giovannangeli–L’ UNITA’ DOMENICA 4 MAGGIO P.13

 

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WIKIPEDIA:  BIOGRAFIA

 

Zeev Sternhell è nato a Przemyśl, Polonia da un’influente famiglia laica ebraica. Suo nonno e suo padre erano commercianti tessili.[3] Quando la Russia occupò la Polonia orientale, le truppe sovietiche occuparono la sua abitazione. Suo padre morì di cause naturali. Pochi mesi dopo l’Operazione Barbarossa, la famiglia fu inviata nel ghetto.

Sua madre e sua sorella maggiore, Ada, furono uccise dai nazisti quando egli aveva sette anni. Uno zio ottenne il permesso di lavorare fuori del ghetto lo fece uscire di nascosto rifugiandosi a Leopoli.[4] Lo zio trovò un ufficiale polacco che li volle aiutare. Munito di falsi documenti ariani, Sternhell visse con sua zia, suo zio e un cugino come un cattolico polacco. Dopo la guerra, fu battezzato, assumendo il nome polacco di Zbigniew Orolski. Divenne chierichetto nella Cattedrale di Cracovia. Nel 1946, all’età di 11 anni, Sternhell fu mandato in Francia su un treno di bambini organizzato dalla Croce Rossa e lì visse con una sua zia. Imparò il francese e fu accolto in una scuola di Avignone malgrado una dura selezione.

Nell’inverno del 1951, all’età di 16 anni, Sternhell emigrò in Israele sotto gli auspici della Aliyat Hano’ar (Gioventù dell’Aliyat), e fu inviato nel villaggio della gioventù diMagdiel. Negli anni cinquanta, Sternhell servì come comandante nella 1ª Brigata di fanteria “Golani”. Combatté nella guerra dei sei giorni, nella guerra del Kippur e nella guerra del Libano.

Nel 1957-1960 studiò storia e scienze politiche nell’Università Ebraica di Gerusalemme, diplomandosi con massimo dei voti e lode. Nel 1969, conseguì un Ph.D. nell’Institut d’études politiques de Paris[5] per la sua tesi su Le idee sociali e politiche di Maurice Barrès.

Sternhell vive a Gerusalemme con sua moglie Ziva, una storica dell’arte. Hanno due figlie.

Carriera accademica

Nel 1976, Sternhell divenne condirettore del The Jerusalem Quarterly, rimanendo un contributore attivo fino al 1990. Nel 1981, divenne professore di Scienza Politica nell’Università Ebraica di Gerusalemme. Nel 1989, fu nominato alla cattedra Léon Blum di Scienza Politica nella stessa Università e diventò membro del Comitato editoriale di History and Memory. Nel 1991, il governo francese lo insignì del titolo di “Cavaliere dell’Ordine di Arti e Lettere” per il suo notevole contributo alla cultura francese e nel 1996 divenne membro del Comitato editoriale del Journal of Political Ideologies.

Ricerche

Zeev Sternhell è uno dei massimi esperti di fascismo, identificandone la genesi nel XIX secolo, ben prima che esso si manifestasse poi in Italia il secolo successivo. Un campo in cui le sue analisi hanno suscitato vivaci polemiche, degenerate perfino in atti criminosi dei suoi oppositori in patria, sono state però le ricerche sulla genesi dello Stato d’Israele.

Come militante del movimento pacifista Peace Now, Sternhell ha scritto spesso in termini assai critici nei confronti della politica espressa dal suo Paese con la sua protratta occupazione di territori strappati agli arabi nel corso essenzialmente della guerra dei sei giorni e nei confronti del popolo palestinese.

In The Founding Myths of Israel (“I miti fondatori d’Israele”, pubblicato in ebraico nel 1995) Sternhell afferma che la principale giustificazione morale che i sionisti seguitano a dare della fondazione d’Israele nel 1948 è quella dello “storico diritto ebraico alla terra”. Nella conclusione, egli scrive:

« In fact, from the beginning, a sense of urgency gave the first Zionists the profound conviction that the task of reconquering the country had a solid moral basis. The argument of the Jews’ historical right to the land was merely a matter of politics and propaganda. In view of the catastrophic situation of the Jews at the beginning of the century, the use of this argument was justified in every way, and it is all the more legitimate because of the threat of death hanging over the Jews. Historical rights were invoked to serve the need of finding a refuge.[6] »

Sternhell è convinto che dopo la guerra dei sei giorni nel 1967, la minaccia per gli ebrei si è dissolta: cosa che ha mutato la base morale per conservare quanto conquistato:

« No leader was capable of saying that the conquest of the West Bank lacked the moral basis of the first half of the twentieth century, namely the circumstances of distress on which Israel was founded. A much-persecuted people needed and deserved not only a shelter, but also a state of its own. […] Whereas the conquests of 1949 were an essential condition for the founding of Israel, the attempt to retain the conquests of 1967 had a strong flavor of imperial expansion.[7] »

Sternhell considera gli insediamenti ebraici nella Cisgiordania come l’espressione della volontà del Sionismo religioso e di una parte del Sionismo laburista e che la parte più moderata del Sionismo laburista è stata incapace di contrastare, poiché questa volontà era in linea con le convinzioni sioniste più profonde. Egli vede gli insediamenti ebraici nella Cisgiordania come un pericolo per “la capacità d’Israele di svilupparsi come una società libera e aperta”, dal momento che Israele considera la soddisfazione delle sue pulsioni nazionalistiche prevalente su quelle sociali e liberali.

Egli afferma che qualcosa è fondamentalmente cambiato con gli Accordi di Oslo: “Nella storia del Sionismo, gli Accordi di Oslo costituiscono un punto nodale, una vera rivoluzione. Per la prima volta nella sua storia, il movimento nazionale israeliano riconosce uguali diritti al popolo palestinese alla libertà e all’indipendenza”.[8]Egli conclude scrivendo che: “il solo fattore incerto attualmente è il prezzo morale e politico che la società israeliana è disposta a pagare per superare la resistenza opposta dal nocciolo duro dei coloni che si oppongono a ogni giusta e ragionevole soluzione”.[9]

Controversia col movimento dei coloni israeliani

Sternhell ha vinto il Premio Israele per le Scienze Politiche nel febbraio 2008. Le sue idee politiche, messe in luce dai media, provocarono reazioni tempestose, specialmente tra i sostenitori del movimento dei coloni. I sostenitori di Sternhell hanno rivelato che egli è stato ripetutamente minacciato in modo violento per le sue opinioni.[10] I suoi detrattori hanno detto che gli scritti di Sternhell appoggiano il terrorismo e promuovono la situazione di violenza operata contro i coloni ebrei in Cisgiordania e negli altri territori palestinesi occupati.

Quanti erano ostili alla concessione del Premio a Sternhell hanno messo in circolazione traduzioni inglesi di dichiarazioni alla stampa concesse nel febbraio del 2008.[11] Essi citano quanto detto da Sternhell sul giornale Davar nel 1988 in appoggio all’uso della forza da parte del governo israeliano contro i coloni israeliani a Ofra, e lo ricordano per quanto scritto su Haaretz (2001) quando sosteneva “la legittimità della resistenza armata” da parte palestinese.[12]

Aggressione

Il 25 settembre del 2008, Sternhell è rimasto vittima di un attentato dinamitardo nella sua stessa abitazione, che lo ha tuttavia ferito non gravemente.[13] La polizia di Gerusalemme, che ha rivelato di aver rinvenuto sulla scena del crimine volantini che offrivano una ricompensa di più di 1 milione di sicli (approssimativamente pari a 300 000 dollari) per chiunque avesse ucciso componenti di Peace Now, sospetta che egli sia rimasto vittima di un’aggressione perpetrata da estremisti di estrema destra a causa delle sue idee. Dal suo letto d’ospedale, Sternhell ha dichiarato che “la realtà dell’attentato illustra la fragilità della democrazia d’Israele, e l’urgente bisogno di difenderla con determinazione e di risolvere il problema”. “A livello personale – ha continuato – se l’intenzione era quella di terrorizzarmi, è chiarissimo che io non sono facilmente spaventabile; ma i perpetratori [dell’atto criminoso] hanno tentato di colpire non soltanto me, ma ogni appartenente della mia famiglia che avrebbe potuto aprire la porta di casa [dove era stata collegata la bomba], e per questo non può esserci modo di assolvere e dimenticare”

Dopo essere stato dimesso dall’ospedale, Sternhell ha affermato che avrebbe continuato a dar voce alle sue opinioni. Il Ministro degli Esteri francese, Bernard Kouchner, ha condannato il crimine, dicendo: “L’aggressione al Professor Sternhell è un’aggressione ai valori della pace e della fratellanza che sono serviti da ispirazione ai padri fondatori d’Israele”.[15]

 

 

 

video importante per capire nella quotidianita’ lo scontro–permette anche di capire certe cose che dice lo storico nell’intervista

Under 21 Campagna Cartellino Rosso all’Apartheid israeliana ispirata alla lotta in SudAfrica—gli attacchi di Israele allo sprt dei giovani palestinesi della striscia di Gaza

 

https://www.youtube.com/watch?v=gRk57kFOzxk

 

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