primo aprile 2014 ore 18:44 DAL LIBRO DI CHIARA CHE NON C’E’ COME LA FAMOSA ISOLA—LIBRO II- PRIMA STESURA, PARTE DEL CAP. 34- IN PARTE RIFATTO OGGI—“A l’è andaita inscì”…come avrete notato, chiara parla tutti i dialetti, ma non sa due parole di nessuno!

 

 

PARTE DEL CAP. 34 —2° LIBRO—- SULLA DEPRESSIONE

(testo originale in parte modificato oggi)

 

 

A   meripì —1990 circa

 

Mi piace amarti vezzeggiandoti, accarezzare il tuo narcisismo che è già splendente, tu sicuramente ti ami e ti piaci, ti piaci straordinariamente, è per questo che sei così bella, è una cosa provata. Ma come hai imparato?

 

Vado in giro a fare questa domanda a tutti, anche se non la formulo, ma forse dovrei chiedermi: come ho fatto a non imparare io?

 

Anche il narcisismo, nel senso bello della parola, di qualcuno che si vuole “sempre” bene, si piace, e si vede agire “bellissima”, anche senza specchio: tutto questo è rimasto a te.

 

 

Viste dall’esterno, noi due abbiamo sempre funzionato come due vasi comunicanti in cerca di un equilibrio. Mai trovato.

 

Due immagini speculari.

 

Se ci avessero programmate al computer non saremmo uscite così perfette.

 

Così perfette ed opposte, entrambe mancanti dell’altra parte, io non ci potevo vivere. Anche perché due parole scambiate accendevano un fiammifero e, poi, le tre, le quattro…in poco arrivavamo al falo’.

 

Tirandoti un vaso, senza saper mirare fortunatamente, avrei voluto spaccarti la testa, ucciderti.

 

Sono rimasta molto spaventata di me stessa, di questi miei impulsi omicidi (suicidi, sì) che non avevo mai visto.

 

Non ho mai potuto sopportare, avendo qualche anno piu’ di me, che tu pretendessi come un diritto acquisito di comandarmi, distruggere tutto quello che “era mio”, che “ero io”, meglio, in quanto “sbagliato, eccessivo”, soprattutto,  per essere come te, unico metro valido. “Sempre nel giusto mezzo”:

Fin dai miei 15 anni, mentre singhiozzavo seduta sulla scala di casa, “non potevo uscire con quel vestito”, ho capito che di “giusto” ce n’era uno solo ed eri tu. Io ero sbagliata.

 

Sbagliata come papà, ma lui “non ti dava ai nervi” come accadeva a me.

Era un uomo buono, calmo, che non si ribellava di sistema: ogni tanto gridava forte – paonazzo-viola-  che “se ne sarebbe andato via da questa casa” e tutte le volte usciva dalla stanza quasi lo stesse facendo davvero.…Ma poi e’ sempre rimasto fino all’infarto che l’ha ucciso, a 73 anni.

 

 

Sai,  è come se a casa nostra ci fosse stato posto solo per un unico brillio.

 

Tu questo lo sai, questo non puoi essertelo dimenticato, nella nostra famiglia poteva brillare una persona sola  ed era nostra madre.

Non ha mai accettato concorrenti.

 

Tu da subito ti sei schierata dalla sua parte e forse per questo hai potuto alimentare una tua fiammella che, sparita lei, ha brillato forte “quasi” quanto lei.

 

Anche la mamma era innamorata di se stessa e questa energia è passata a te.

Lei era stata bellissima, tutta la città me l’ha detto: ”la bellezza si impone”, mi diceva sempre. E lei si imponeva in piu’ di un senso,  forse attraverso la bellezza e la sicurezza che questa le dava.

Tu, bella come lei non lo sei stata.
Anche perché era il suo spirito, il suo carattere allegro, pieno di vita transbordante, a renderla così.

Forse ti sei fusa, in qualche modo con lei.
Lei era il potere e l’unico che c’era in casa. Si stava meglio dalla sua parte.

Invece io stavo con papà, i due deboli, rassegnati (mica troppo!) “a non fare mai la cosa giusta”—

 

Ma nostra madre aveva autorità e, col tempo, autorevolezza. Era un donna forte, coraggiosa che, nelle tragedie, non ha mai emesso un lamento: subito si chiedeva “Cosa si puo’ fare?”, nel senso di partire immediatamente per rimboccarci le maniche e lavorare. Forse tu non lo sai, ma era stata una femminista, e coi fiocchi, a Sanremo, negli anni Trenta!

 

In te, che pure avrai la dote di reagire alle disgrazie…che, pero’, scusami…in te diventa piuttosto “il bisogno di vincere, di sottomettere chi ha osato trascurarti” .

L’ho osservato una unica volta.

E quella volta hai vinto-ce n’è voluto di tempo e passione, ma hai letteralmente stravinto—! E da allora “cresci in fascino muliebre” ogni giorno di più.

Io ti osservo e non mi distraggo quasi un inn amorato: ti vedo diventare così giovane, così bella, sempre piu’ femminile, nel senso che con gli uomini ottieni quello che vuoi perché sempre chiedi con gentilezza, rassicurazione, elogi, facendoti tu piccola-piccola così che l’altro s’innalzi fino al cielo…e da questo straordinario benessere raggiunto  per merito tuo…i doni gli scivolino dalle mani…e tu li acchiappi con divertita destrezza, come un gioco che si ripete sempre uguale.

 

Sappi, pero’, e per un minuto ascoltami, anche se so che preferisci parlare, che sono ben consapevole che io, mentre parlo, non sto parlando “di te”—la realtà obbiettiva da tempo non esiste, da quando gli umani l’hanno capito, io posso parlare solo della mia testa, e del mio cuore con tutti suoi vizi: quindi solo posso dire dell’immagine, mia, che negli anni mi sono formata di te—

Tu non c’entri.

Non è di te che sto parlando.

Tu sei solo un “piccolo pretesto” per vaneggiare a modo mio.

 

Questo te lo devi ricordare, anche se non leggerai, ma se lo devono ricordare tutti quelli che vogliono leggermi.

 

 

 

Alla mamma, invece, io mi opponevo a lei con tutte le mie forze, non ho mai potuto zampettare nel suo giardino e questo  ha significato dover vivere nell’ombra.

 

Mi sono sottratta a lei e alla sua luce, sono rimasta con il buio e con il vuoto. “Non ho avuto la mamma”.

Tu sì, l’hai avuto, ma per intelligenza tua: ti piazzavi nel suo ufficio mentre lavorava e stavi lì con lei, mentre io ero in giro per le strade nelle case, ovunque ci fosse una famiglia.

Hai saputo nutrirti con quello che c’era, non eri così scema da rimanere affamata.

Forse non potevi.

Ma il tuo piu’ grande pregio è stato (in certe cose) quello di conoscere il limite ed accettarlo bene e, soprattutto, “usarlo”.

 

Purtroppo, ma chissà magari alla fine sarà un bene, sono stata per una valanga di tempo, se non anche oggi, un animale, una pianta, che poteva nutrirsi solo di uno specifico cibo.  Se no, stava senza e si arrabattava da sola. L’alimento che potevo assimilare era quello che veniva condito con com-prensione e accettazione. Di chi ero, così com’ero, non di un altro che la persona avrebbe voluto.

Questo amore, almeno in modo costante, l’ho avuto da Suor Clementina in terza media, con qualche puntata preparativa in seconda. Lei sapeva osservare l’altro e tentare di capire—-Un’autentica rarità, intendo la capacità di osservare e, ancor di più, se fosse possibile, “parlare solo dopo aver osservato”.

 

Ma in casa, fisso, che ci viveva con me, avevo pero’ papà che, questa prelibatezza – fino ad una certa data – me la dava con tanta profusione da farmi sentire incoronata. La sua infatti era una specie di accettazione-adorazione. Ero la “sua” piccola, e quasi ogni pasto mi teneva facendomi ballare su una gamba…si  chiamava “cavalluccio”…poi noi, a tavola, eravamo di fronte e ci guardavamo sempre begli occhi senza parlare: “lui mi diceva spesso: “un soldino per i tuyoi pensieri”—ed io, quando si fissava in un punto, negli occhi mi sembrava gli passassero delle immagini tragiche, la morte della madre quando era piccolissimo, tutte le sorelle, il padre..  ” A cosa pensi?”, chiedevo; lui si risvegliava e diceva . “A niente”

 

La nostra è stata un’alleanza segreta, un patto di difesa, reciproco, ma anche una identificazione tra deboli- impotenti—di fronte ai carri armati che ci si erano presentati nella vita. Noi non eravamo “strumentati” e lo sapevamo, forse anche lui sapeva.

 

Ma le cose erano in casa —come dice sempre Vendola? —“ raccontate”  in un certo modo, tipico di chi è al potere, per cui “la nostra storia” , quella di mio papà e la mia, era sempre dalla parte sbagliata.

 

Sai, papà, quando ho cominciato a parlare, e non mi sono ancora fermata, ho cominciato anche “per” te—al tuo posto.

Per te e per me, e per tanti che sono stati sempre zitti come i malati mentali;malati o ex-malati, non  fa differenza. Tutti loro, come me, hanno uno o più caporali, a volte gente proprio sudicia, a cui sono costretti ad obbedire.

Altrimenti la loro situazione peggiora di brutto.

 

Qui, a casa, anche se ora in appartamenti diversi, uno sull’altro pero’, sempre appiccicati,  tante cose si sono cambiate, nuovi personaggi, nuovi dominii, gli stessi sconfitti, ma in sostanza le cose non sono cambiate molto dai tuoi tempi. Anche se da un po’ di tempo, da qualche anno, forse dieci,  puoi vedere le mie budelle tutte arrotolate, appese al solito balcone dove mangiamo, nel senso che lotto forte per  un po’ di giustizia.

Ma non lo faccio più come prima, quando non ottenevi mai niene o molto poco. Ci sono voluti anni e anni (trenta o di più?)  di allenamento a disciplinare l’aggressività, la giusta rabbia che subito ti alza la voce ammettendo con questo che sei già sconfitto. E, disciplinata o tenuto “sotto controllo, a dirigerla verso fini costruttivi, anche tuoi, accettando “il giusto egoismo” che non ti fa “vittima connivente con l’aggressore”.

Il motto che quasi quarantanni una donna mi ha regalato, ero in Brasile, è questo: “fermezza gentile”—

Ti sembrerà poco, ma arrivaci! quando sei circondato da provocatori! Che sanno bene dove stuzzicarti nelle parti tue deboli, per farti crollare e vincere per l’ennesima volta.
C’è gente che è maestra in questo gioco violento, perché lo fa di mestiere. E’ il loro modo di dare un significato allo stare al mondo: “fottere in piccolo-piccolissimo- medio – grandi cose; “l’altro” . E sentirsi qualcuno e superiori.

 

sono ancora in allenamento, parlo con  calma,  possibilmente non parlo, agisco lentamente,  solo con prese di posizioni che si spiegano con due parole , serene quanto si puo’ —a noi umani-umanissimi (io e te- tu e me)…

 

Vedrai, se mai puoi vedere… la mamma diceva sempre che se di là ci fosse stao qualcosa, sarebbe tornata in qualunque modo a dircelo…e sai che  testa aveva…ma grazie al cielo, ha evitato di spaventarci….Anche se forse non mi sarei neanche spaventata, ho una tale nostalgia fisica di lei, una passione fisica che vorrei solo vederla …mi è talmente mancata (“lei mi capica e mi voleva bene”) che subito non me ne sono accorta. Mi sono quasi detta: è un sollievo quasi… così se compro per Mario un chilo di prugne quando sono primizie, non mi terrà al telefono un’ora con scenate della malavita perché butto i soldi. Come lei sa farmi male così in fondo in fondo, solo mia figlia.

adesso che mi sono distratta con la mamma, un  personaggio che taglia qualunque orizzonte!, lo sai, non mi viene piu’ da dirti che da tanti anni, mi sono fissata che ce ne andremo da questo vita senza pace allo stesso modo e più o meno alla stessa età.

Potessi immaginare come sono stanca—la malattia, il delirio, i vari ricoveri–in seguito le malattie fisiche che mi sono venute di conseguenza perché il mio organismo era troppo frusto—e poi, la vita, come per tutti.

 

Ma forse dovro’ spostare in là la mia “meta”! perché “ho troppe cose da dire”, a me e ad altri, ho da parlare solo “di e per” quelli che sono stati “soffocati” di zitti…sono milioni e milioni, e la maggior parte tutti sani di mente. Ma io devo mettere in parole solo quello che conosco, cioè come si arriva piano piano alla malattia mentale, con una straordinaria “collaborazione” del tuo habitat (che comunque ti ama pèr definizione)–poi la crisi il delirio, cosa vivi, cosa, vedi, cosa fai a tentativi per uscirne, e poi il “dopo delirio”, il dopo malattia…..ecc ecc

E poi, infine, quello che più smanio di raccontare, è il mio soggiorno ” tra i normali” : così come inizi a vederli dopo essere passata nelle profondità della tua mente, che poi altro non sono che le profondità dell’essere umano…

Ti devi fare un corso rapido, altrimenti ci crepi dietro tutte le loro bubbole che chiamano “verità”—la mia verità, la mia casa, il mio coniglio: è mio e  lo ammazzo quando mi pare, idem per un figlio: “come l’ho fatto, lo disfo”…ma non te lo dicono mica…tutto tutto è fatto “per il bene dell’altro”, anche del coniglio.

 

Ciao papà, sei sempre il mio bel ninìn, stasera devi darmi il tuo bacio della buona notte prima di andare a dormire: tieni le labbra aperte, sul rotondo, come i bambini appena nati e-non si puo’ dire in altro modo- ciucci la mia guancia e mi sbavi tutta…con mio tenero piacere. Lo faceva anche Nicolo’, ma la mamma si schifava—Sai, nessun uomo ha mai saputo baciarmi come te—Con tale trasporto e passione. Adesso ho un minuscolo cagnetto, DIDI, che se non fa come te, ha preso da te. Anche lui, come te, è rimasto cucciolo: mi mette la sua linguetta dappertutto, se non faccio attenzione anche …mi lava l’orecchio, la faccia e mi mette la linguetta sulle labbra…Poi, quando mi sento, sai, tremendamente su al punto di mettermi tre bigodini sul cucuzzolo, per non vedere quella faccia da scema nello specchio “che cade” perché la mamma, lì nel centro della testa, si è distratta (dietro a te? che eri proprio “un bell’uomo”) e invece di farmi un rotondo sotto i capelli che “ti stiano superbi”, come diceva lei, mi ci ha fatto un avallamento, chissà perché!, e allora…ma tu capisci no?

Siamo con i bigodini in testa, distesi a letto…allora il piu’ bel gioco di DIDI è venire a togliermeli uno per uno, anche perché ha una vera passione per quei “bobi” rosa…Veramente lo fa anche Nicolo’, le poche volte che puo’ dormire da noi, ma lui me lo fa al mattino…

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