20 gennaio 2014 ore 22:39 ALTRUISMO, EQUITA’, SIMPATIA—COME DICEVA DARWIN NE “L’ORIGINE DELL’UOMO” 1971—HANNO UN’ORIGINE BIOLOGICA PERCHE’ AIUTANO LA SOPRAVVIVENZA DI GRUPPI O SOCIETA’—LA RELIGIONE E’ UN PASSO SUCCESSIVO PER TENERE ASSIEME SOCIETA’ MOLTO GRANDI E COMPLESSE—-QUESTA LA TESI (VEDI ART. SG) IN QUESTA INTERVISTA PUBBLICATA SUL VENERDI’ DI REPUBBLICA

di Giuliano Aluffi, Il Venerdì, 27/09/2013
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Parla l’etologo Frans de Waal: altruismo, equità ed empatia sono comportamenti che l’uomo ha in comune con gli altri primati e sono nati molto prima della religione e della filosofia. 

Immaginiamo che un marziano, arrivato sulla Terra per fare un resoconto ai suoi simili, possa solo osservare i comportamenti delle specie terrestri senza interagire con loro. Secondo lei sceglierebbe automaticamente gli umani come specie più morale?». A domandarlo è, al telefono da Atlanta, uno dei maggiori primatologi al mondo, l’olandese Frans de Waal, docente di etologia dei primati alla Emory University, inserito nel 2007 da Time tra le cento persone più influenti del mondo per i suoi studi al confine tra natura animale e natura umana. De Waal, che per primo ha parlato addirittura di machiavellismo negli scimpanzé, evidenzia la continuità tra noi e le scimmie anche nel suo nuovo saggio, Il bonobo e l’ateo: in cerca di umanità tra i primati (Raffaello Cortina).

Quindi la nostra moralità non sarebbe l’unica?
«In effetti, io sono convinto che venga dalla nostra antica psicologia da primati. La psicologia delle scimmie non può certo spiegare ogni regola morale umana, ma la tendenza a interessarci agli altri, l’empatia, l’avere a cuore l’equità e più in generale seguire regole sociali sono cose che abbiamo in comune con le scimmie, e sono mattoncini indispensabili alla nostra moralità. Molto più antichi delle religioni e della filosofia. Lo studio dei primati mi fa pensare che la moralità umana sia nata dalle emozioni, più che dal ragionamento».

Che cosa intende?
«Le emozioni sono una fonte di ispirazione. Se tu fai il mio stesso lavoro e prendi più soldi di me, percepirò un’ingiustizia. È istintivo, si vede anche nei bambini molto piccoli: se dai un regalo piccolo a un bambino e ad un altro un regalo grande, ci saranno pianti e strepiti. Da un lato sono reazioni del tutto emotive, anche le scimmie ne hanno di simili, dall’altro sono alimento per il pensiero e la ragione, perché ci fanno desiderare una società più equa».

Un esempio?
«Abbiamo messo due scimmie cappuccine in due gabbie affiancate, dove ognuna poteva vedere l’altra. Come ricompensa per un stesso semplice compito, prendere un sassolino e darcelo, a una abbiamo dato un pezzetto di cetriolo, all’altra un chicco d’uva. Normalmente il cetriolo è bene accetto. Ma quando la scimmia che lo riceve si accorge che la sua compagna ha avuto l’uva, ben più gustosa, lo rifiuta, tira il cetriolo addosso allo sperimentatore, si agita e protesta. Questa avversione per l’iniquità è legata al cooperare. Gli scimpanzé cacciano in gruppo, e alla fine della caccia, chi ha preso la preda deve condividerne la carne con chi lo ha aiutato. Gli altri se lo aspettano, e puniscono chi si comporta da egoista».

Dunque le scimmie sono altruiste?
«Abbiamo visto più volte scimmie che aprono volontariamente una porta per permettere l’accesso al cibo a una compagna, anche se ciò significa meno cibo per loro. Ricordo anche che quando il bonobo Amos era morente, madido di sudore e seduto su un sacco di tela nella gabbia da cui si rifiutava di uscire, una femmina, Daisy, si avvicinò a lui e spinse dei trucioli di legno dentro la gabbia, per farlo stare più comodo. E dopo Daisy anche un maschio ripeté l’operazione. Amos era seduto con la schiena appoggiata al muro e non faceva molto per sistemare i trucioli, ma Daisy si sporse varie volte per infilarli dietro la sua schiena. Daisy sembrava proprio voler alleviare le pene di Amos. Anche i macachi sono capaci di gesti simili: Azalea era un macaco trisomico, soffriva cioè di una condizione simile alla nostra sindrome di Down, e una sua sorella maggiore la teneva abbracciata stretta come una neonata, anche a un’età in cui questo comportamento non era più normale».

Quindi equità e altruismo non sono una nostra esclusiva. E l’empatia?
«Molti mammiferi sono empatici: scimmie, cani, elefanti, delfini. L’empatia potrebbe derivare dalla cura materna. Nei mammiferi la femmina si occupa della prole, e quindi deve essere molto ricettiva ai suoi bisogni: capire quando i figli hanno fame, o sono agitati, o sono in pericolo. Ciò spiegherebbe anche perché l’empatia sia più sviluppata nelle femmine che nei maschi, cosa che è vera per gli umani come per molti animali. Del resto proprio un ormone materno, l’ossitocina, ha un effetto pacificatore: se spruzzi ossitocina sul naso di un uomo o di una donna, puoi aumentare per qualche minuto la sua empatia».

Nei suoi studi sul campo, quando si è trovato di fronte ad una chiara manifestazione di empatia tra scimmie?
«C’era una femmina di scimpanzé anziana, Peony, che per l’artrite non riusciva quasi più a muoversi. Bene, quando era assetata e cercava di andare verso il rubinetto, che era piuttosto lontano, c’erano delle femmine che andavano lì per lei, raccoglievano l’acqua con la bocca e poi la sputavano nella bocca di Peony. Inoltre sia i bonobo che gli scimpanzé sono soliti confortarsi tra loro. Per esempio quando uno scimpanzé perde una lotta, ed è stressato o impaurito, può capitare che un suo simile gli vada vicino e lo abbracci».

Se le scimmie hanno tutto questo, cosa manca loro per essere «morali»?
«I bonobo e gli scimpanzé hanno le emozioni morali: empatia, senso di giustizia, riconoscenza. Ma non sanno formulare un giudizio etico astraendo dalle situazioni che riguardano direttamente loro stessi o la loro comunità. Sono privi della capacità di giudicare come se fossero spettatori imparziali, aspetto che invece contraddistingue il nostro ragionamento morale».

Se i fondamenti della morale sono così antichi e addirittura non umani, quale è la funzione delle religioni?
«Io ritengo che l’impulso religioso sia sorto nell’uomo durante il passaggio dai gruppi tribali, sotto il centinaio di individui, alle grandi società di centinaia di migliaia di uomini. Laddove si è in pochi, si può gestire il sistema morale da soli. Ma nelle società più grandi il controllo sociale reciproco si fa più esile e spersonalizzato: servono altri modi per indurre comportamenti morali. Per esempio immaginare un Dio che ci guarda e può sapere tutto quello che facciamo. Alcune religioni si presentano come la fonte della moralità. Io penso piuttosto che, della moralità, siano “assistenti”».

 

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