14 gennaio 2014 ore 18:24 INTERVISTA DI NATALIA ASPESI AL REGISTA PAOLO VIRZI’—-ho girato molto per trovare qualcosa che facesse senso con quello che avevo visto nel film di virzì “Il capitale umano”—

“Il capitale umano”, Virzì mette a nudo l’élite: “Ecco gli italiani schiavi del denaro”

Pubblicato il 06 gennaio 2014
Aggiornato il 06 gennaio 2014

Il regista livornese ci parla del suo film, in uscita il 9 gennaio, tratto dal romanzo dell’americano Amidon, che racconta il mondo dei nostri capitalisti.”Il libro mi ha turbato. È un thriller dell’opulenza che genera povertà e infelicità ovunque”. “La nostra borghesia ha poco senso civico, è egoista e carente verso i bisogni degli altri”

ARGOMENTI:
cinema italiano
Il capitale umano
PROTAGONISTI:
paolo virzì

MILANO – Quanto vale la vita di un uomo ammazzato in un incidente stradale, in tempi in cui il denaro è tutto, e la ricchezza agognata può materializzarsi in un giorno e in un giorno sparire? Lo racconta Paolo Virzì, nel suo ultimo bel film Il capitale umano (in uscita giovedì), che sposta dal Connecticut alla Brianza il romanzo dell’americano Stephen Amidon dallo stesso titolo. E che della versione cinematografica italiana è entusiasta. “Quel valore lo stabiliscono le assicurazioni, attraverso un algoritmo che tiene conto dell’età, della famiglia, del lavoro, delle prospettive di vita e che certifica il tutto con uno scontrino. Nelle prime scene del film un uomo ancora giovane, con un lavoro precario, una moglie e due figli, viene travolto da un automobilista che non si ferma a soccorrerlo. L’algoritmo stabilirà alla fine un risarcimento alla famiglia di 218.976,00 euro, il capitale umano, il valore monetizzato di una vita perduta”.

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Il nuovo film del regista toscano sarà in sala dal 9 gennaio. Tratto dal romanzo di Stephen Amidon, è una storia corale e trasversale nei generi. “Volevo far emergere il mondo dei benestanti, quelli che hanno investito sul fallimento di questo paese”. Ecco il trailer
Anche Blue Jasmine di Woody Allen racconta di ricchi americani truffatori della finanza,The Wolf of Wall Street di Scorsese si ispira all’autobiografia di Jordan Belfort, diventato megamilionario in un paio d’anni, finito in galera per una enorme truffa di borsa. In Il capitale umano, Fabrizio Bentivoglio è un immobiliarista fallito che si indebita per poter entrare in un fondo di investimento che promette folli guadagni, Fabrizio Gifuni è il potente finanziere che gestisce quei fondi. Finalmente il cinema parla di ricchi, di quei ricchissimi diventati tali senza produrre lavoro, merci, ricchezza per il paese, di quella nuova, forma di criminalità finanziaria che come è capitato nel 2008, può arrivare a distruggere l’economia di intere nazioni. O semplicemente mandare sul lastrico gli investitori.

È una realtà anche italiana, Virzì: perché è ricorso a un romanzo americano?
“Perché mi aveva molto turbato, perché quel dominio ansioso e cieco attorno al denaro non ha più confini, perché c’era già scritto tutto, un thriller dell’opulenza che genera povertà e infelicità ovunque, e rende impenetrabili due mondi, quello dei super ricchi e quello dei dimenticati”.

Quasi tutti i suoi film sono ambientati in provincia, questa volta lei, livornese, sceglie la Brianza. Perché la pensa più “americana”, più rapace, più spietata?
“L’ho scelta perché è vicina a Milano, dove c’è la Borsa, dove ogni giorno si creano e distruggono patrimoni: poi perché cercavo un’atmosfera che mi mettesse in allarme, un paesaggio che mi sembrasse gelido, ostile e minaccioso. Mi interessavano due scenari, quello dell’hinterland con i grumi di villette pretenziose dove si celano illusioni e delusioni sociali, e quello dei grandi spazi attorno a ville sontuose dai cancelli invalicabili. Ho girato nella campagna di Osnago, nel centro storico di Varese, di Como, città ricchissima che esprime il degrado della cultura con quel suo unico teatro, il Politeama, chiuso e in rovina. E che ha una parte importante nel film, come simbolo di un inarrestabile degrado e sottomissione al denaro. La bella villa con piscina e i sontuosi interni, dove vive la famiglia opulenta di Gifuni, l’ho presa in affitto ad Arese, e l’ho pagata profumatamente: ci ho aggiunto solo il tennis”.

“Il capitale umano”, la borghesia secondo Virzì

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  • {}Con il suo nuovo film “Il capitale umano”, dal 9 gennaio nelle sale, Paolo Vrzì racconta la cinica borghesia italiana spostando dal Connecticut alla Brianza l’ambientazione del romanzo dell’americano Stephen Amidon dal titolo omonimo. Nel cast Fabrizio Bentivoglio, Fabrizio Gifuni, Valeria Bruni Tedeschi e Valeria Golino

Mark Zuckerberg, il trentenne miliardario che ha inventato Facebook, ha destinato un miliardo di dollari alla moltitudine di emarginati e indigenti che nella Silicon Valley vive accanto ai nababbi hi-tech. Il riccone del suo film è anche generoso?
“Gli americani hanno un senso di responsabilità verso il loro paese ereditata dai tempi dei Padri Fondatori e insita nella religione protestante che non ha né la confessione né il perdono e quindi molto pretende. In più queste donazioni consentono facilitazioni fiscali. Mi pare che gli italiani abbiano pochissimo senso civico e che la nostra borghesia sia molto egoista e carente verso i bisogni degli altri. Del resto siamo un paese plasmato dal berlusconismo, dagli ostentatori che rendono volgare la ricchezza e lo spreco, che fa dei truffatori e degli evasori dei martiri e degli eroi”.

Nel suo film, il riccone Gifuni che punta sul crollo dei titoli di Stato, sbagliando, e il rovinato Bentivoglio, che arriva al ricatto per salvarsi, sono le due facce di questa attuale, distruttiva ingordigia di danaro e potere, a cui sembrano estranee le donne e i figli, i giovani.
“È vero, credo che sia così anche nella realtà. Valeria Bruni Tedeschi è una di quelle mogli avvilite dalla loro inutilità, amate purché si accontentino della ricchezza, abbiano solo desideri materiali e innocui, non pretendano di condividere i pensieri del maschio. Valeria Golino è la compagna dell’immobiliarista pasticcione, è una psicologa che si occupa di perdenti, portata all’accudimento dei ragazzi balordi e anche di quel cialtrone che le vive accanto. I ragazzi, ancora minorenni, abbandonati a se stessi anche se schiacciati dalle ambizioni dei genitori o dall’avidità dei parenti, vivono una loro personale tragedia che è il fulcro del thriller. E sono bravi e belli, gli esordienti Matilde Gioli e Guglielmo Pinelli, l’attore di teatro Luca Ambrosini”.

Se volesse fare un film sull’Italia di Grillo, sarebbe comico o drammatico?
“Grillo non mi ha mai fatto ridere neanche quando faceva solo il comico, e adesso mi fa rabbia perché approfitta delle frustrazioni, del senso di abbandono, della credulità di tanta gente: per la quale invece ho molta simpatia umana, anche perché alcuni personaggi di altri miei film erano grillini in pectore, innocenti e incattiviti. In un film non ci si dovrebbe accontentare di sfotterlo, bisognerebbe capire dove ci trascineranno queste nuove figure di messia del vaffanculo”.

 

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