2 gennaio 2013 ore 17:25 PURTROPPO NON LECCANO MARTELLI —-LUNANUVOLABLOG

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Purtroppo non leccano martelli

by lunanuvola

 

(per cui non le si vede)

shatha

Quando studiava giornalismo all’università, la yemenita Shatha Al-Harazi pubblicò un suo articolo sulle molestie sessuali che di routine gli insegnanti impongono alle allieve. Fu costretta a cambiare facoltà. Durante le sollevazioni nei paesi arabi, Shatha si distinse per la diffusione dei resoconti che raccoglieva da testimoni nei vari luoghi, nonché per le sue critiche fondate e coraggiose alla gestione del potere e allo scempio dei diritti umani: la sua popolarità salì al punto che – assieme ad altri attivisti – fu invitata ad un faccia a faccia con il Presidente Saleh nel febbraio 2011. “Gli dissi che avrebbe fatto meglio a dare le dimissioni.”, racconta Shatha, “Subito dopo ho cominciato a ricevere minacce di morte.” Laureatasi a pieni voti e con lode in pubbliche relazioni, oggi Shatha insegna – è docente alla facoltà di Comunicazione di massa dell’Università di Sana’a, continua a fare la giornalista ed è un’attivista per i diritti umani conosciuta in tutto il suo paese.

Oggi sul giornale: Shatha Al-Harazi irresistibile dietro le quinte ai Caraibi… ah no, scusate, era Candice Swanepoel.

Awut Deng Acuil

Awut Deng Acuil è del Sudan del Sud. Ha conosciuto la fame, la privazione, la guerra, il dolore della perdita di persone care (compreso il marito). E come risposta ha messo in piedi dal basso una rete di attivisti/e per la pace e un’organizzazione per la risoluzione dei conflitti che conta attualmente i maggiori successi nel campo. Chiedetelo a chi volete nelle regioni di Bahr El Ghazal e dell’Alto Nilo e vi risponderanno che è stata “l’umanità di Awut” ad ispirare i processi di pace che hanno portato le tribù a discutere insieme. Non soddisfatta, ha co-fondato l’Associazione delle donne sudanesi a Nairobi e la Voce per la Pace delle donne sudanesi su base nazionale.

Oggi sul giornale: Awut Deng Acuil e Sean Penn alle Hawaii per ricominciare… ah no, scusate, era Chalrize Theron.

Esraa Abdel Fattah

Ai primi del 2008, una giovane attivista egiziana apre una pagina Facebook a sostegno delle proteste dei lavoratori di una fabbrica tessile a Mahalla al-Kobra, città industriale a nord de Il Cairo, e dello sciopero generale indetto per il 6 aprile. Chiede 100 adesioni, ne riceve 77.000. Esraa Abdel Fattah diventa di colpo la “Ragazza di Facebook”. Lo sciopero generale porta in piazza migliaia di lavoratori in tutto l’Egitto e viene represso con durezza (quattro dimostranti sono uccisi). Esraa, invece, finisce in galera per ordine del Ministro dell’Interno, prima donna ad avere “l’onore” di essere arrestata in tal modo. Le sue colpe sono l’aver fatto propaganda per la libertà di espressione, contro la corruzione e per i diritti dei lavoratori. Esraa verrà rilasciata dopo alcune settimane, mentre il gruppo su Facebook, dapprima divenuto “Liberate Esraa!”, si trasformerà nel “Movimento della gioventù 6 aprile”: ha più di 100.000 membri attivi che chiedono di aver voce nel costruire una nuova democrazia. Esraa è oggi la direttrice della progettazione per l’Accademia della democrazia egiziana, un’ong che promuove l’uso dei nuovi media a favore della democrazia e dei diritti umani, in particolar modo in riferimento ai gruppi marginalizzati. Esraa sta costruendo l’Agenda delle donne dialogando con egiziane di tutte le età, di tutte le regioni, di ogni possibile affiliazione religiosa. “Dobbiamo cambiare il modo in cui la nostra società pensa alle donne.”, spiega, “Tutta la società ne trarrà beneficio, non solo le donne. Io devo partecipare alla costruzione del mio paese. Giustizia, libertà e democrazia sono valori che possiamo praticare ogni giorno, nelle nostre vite quotidiane.”

Oggi sul giornale: Esraa Abdel Fattah in micro-bikini dorato alle Barbados… ah no, scusate, era Rihanna.

Ekaete Judith Umoh

Ekaete Judith Umohwho, nigeriana, è la fondatrice di un Centro d’iniziativa per persone svantaggiate, ha presentato una bozza di legge per la tutela dei disabili e sta attualmente collaborando con il Ministero per le istanze delle donne e le politiche sociali. Com’è cominciato tutto questo? Quando, persona disabile lei stessa a causa della poliomielite contratta da bambina, Ekaete si è rifiutata di essere messa da parte all’Università, dove gli studenti “normali” erano alloggiati in piani differenti da quelli come lei. Il responsabile non volle spostarla, ne’ mischiare le assegnazioni, ma impressionato dalle sue convinzioni le disse una cosa importante, e cioè che il “piano dei disabili” aveva bisogno di una ragazza franca e coraggiosa come lei. Ekaete dice oggi che quella frase ha contribuito in modo significativo a guidarla sulla via dell’attivismo.

Il clima culturale in cui è cresciuta – nonostante l’amore e il sostegno dei suoi genitori – è ostile alla disabilità e la ostracizza: Ekaete potrebbe raccontare all’infinito di famiglie che hanno abbandonato i propri figli e parenti o che non se ne curano: “Ci sono famiglie che dicono di aver 6 figli, però il settimo è disabile, chiuso in casa e non se ne parla. I bambini respinti soffrono di bassa autostima e tendono a reagire con rabbia, i bambini che sono incoraggiati sviluppano fiducia in se stessi e contribuiscono positivamente alla società. La nostra associazione fornisce alle famiglie strategie per sostenere i bimbi disabili, ma siamo anche concentrate sul benessere delle donne disabili, sulla loro salute sessuale e riproduttiva: tenute nascoste, sono più che mai viste solo come oggetti da consumare e stuprare. L’intolleranza e l’ignoranza si perpetuano. Una delle nostre amiche è stata presa in giro dal proprio medico: non si capacitava del fatto che una donna disabile potesse restare incinta. Abbiamo bisogno che le donne con disabilità parlino per se stesse, non che altri parlino per loro.”

Oggi sul giornale: Ekaete Judith Umohwho sempre super-sexy… ah no, scusate, era Stephanie Seymour.

Posso continuare a narrare dozzine di storie come queste, e lo farò. Non afferro perché non possono farlo le rubriche che si danno titoli come “Donna” – “Io donna” – “Tuttodonne”, ecc. Non sto dicendo loro di ignorare le celebrità in bikini (anche se, scusate, non mi sembrano proprio notizie), sto dicendo che le donne non si limitano a leccare martelli, fanno anche altro. Maria G. Di Rienzo

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