TRAILER UFFICIALE – video, 1.41 minuti — 31 ottobre 2024 è in sala — FILM : BERLINGUER, LA GRANDE AMBIZIONE – un film di ANDREA SEGRE con ELIO GERMANO + 3 – RECENSIONI + altro

 

 

COMINGSOON.IT — TRAILER UFFICIALE — video, 1.41
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TEASER-TRAILER ( o anche ” TEASER ” )– 0.50
è versione ridotta di un trailer, in cui il montaggio rapido di brevissimi spezzoni ha l’obiettivo di suggestionare e incuriosire gli spettatori.

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COMINGSOON.IT –video, 6.17

La nostra video intervista al regista del Film Andrea Segre e al protagonista Elio Germano – HD

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COMINGSOON.IT — RECENSIONE DI FEDERICO GIRONI, 17 OTTOBRE 2024
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La via democratica al socialismo. La questione morale. L’eurocomunismo. Il compromesso storico. Enrico Berlinguer è stato un uomo politico coraggioso, visionario. Ambizioso. Forse, più semplicemente, è stato un uomo politico vero. Uno che necessariamente, quindi, doveva avere grandi ambizioni.
Non è un caso allora che questo film che lo racconta, e che ha un titolo quasi più sfacciato che eloquente, si apra con un esergo di Antonio Gramsci, politico e filosofo importante per la sinistra, certo, ma anche studiato e ammirato a destra. Un esergo che recita: “Di solito si vede la lotta delle piccole ambizioni, legate a singoli fini privati, contro la grande ambizione, che è indissolubile dal bene collettivo”. Né è un caso, considerato questo esergo, che questo film si chiuda – prima delle immagini di repertorio del funerale di Berlinguer, con un milione e mezzo di persone in piazza San Giovanni a Roma – con una scena in cui Berlinguer, il Berlinguer privato, scrive una lettera alla moglie Letizia in occasione del loro anniversario di matrimonio, una lettera in cui si scusa per i sacrifici che lei, la loro relazione e la loro famiglia hanno dovuto fare per via del suo impegno politico.
Come a dire, non fosse stato chiaro abbastanza fino a quel momento, come Enrico Berlinguer avesse sempre messo, non senza dolori e sacrifici, la dimensione collettiva, e quindi politica, del suo essere, davanti a quella privata.

Non è però una questione di elogio del sacrificio, di una via quasi monastica all’impegno politico basato sulla massima sobrietà.
Semplicemente, Andrea Segre e il suo sceneggiatore Marco Pettenello hanno voluto raccontare, attraverso uno spaccato della vita di uno degli uomini politici più importanti della storia italiana, repubblicana e non, cosa voglia dire – ancora, nonostante tutto – fare politica.
Questa, la loro grande ambizione. In anni in cui la politica sembra aver abdicato non solo alle ideologie ma agli ideali, aver abbracciato le forme più populiste di consenso e partecipazione, giustificato e realizzato la negazione esplicita di sé stessa (l’antipolitica), ecco che Berlinguer. La grande ambizione mette sullo schermo, assieme al suo protagonista, un’idea di politica alta, nobile. Seria. Capace di inseguire ideali di libertà e giustizia anche a costo di sfidare il (suo stesso) dogma.

All’inizio del film, incontriamo il Berlinguer di Elio Germano in Bulgaria, all’indomani del colpo di stato che, in Cile, ha ucciso Salvador Allende e dato il via alla dittatura del generale Pinochet. Berlinguer sta scrivendo un discorso al riguardo, e in una delle prime frasi che gli sentiamo pronunciare dice una frase importantissima, per il film e per l’idea che porta avanti: “Nessun uomo serio potrebbe negare che…”.
L’importanza non sta nel sottolineare quel che viene dopo la congiunzione (nel caso specifico, le responsabilità degli USA nel colpo di stato cileno), ma nella formulazione che la precede. Perché nessuna persona seria potrebbe negare, al di là di ogni credo politico, l’importanza storica di Enrico Berlinguer, la modernità e la visione alta e morale della sua politica, e ancora di più l’importanza di una passione politica che mette al centro, con rigore e serietà, il bene collettivo e non quello privato, di pochi o di pochissimi.
Di una politica fatta di visione, certo, ma anche della voglia e della capacità di realizzarla, modulando il rispetto delle proprie idee con la necessità di comunicare e collaborare col prossimo, financo con l’avversario. Di saper fare compromessi e di non chiudersi in un massimalismo stantio e niente affatto identitario, nel nome dell’unità di un paese diviso e lacerato.

È chiaro, quindi, che quello di Segre non è un film santino, ma un film che cerca, attraverso l’esplicita differenza tra quel passato e il nostro presente, un dialogo sicuramente polemico ma mai distruttivo con la politica di oggi. Ed è chiaro che la lingua cinematografica scelta da Segre per farlo è perfettamente coerente con quello che racconta.
Berlinguer. La grande ambizione è un film serio, sobrio e rigoroso anche dal punto di vista del cinema. È un film che bada alla sostanza e agli obiettivi, ma che non dimentica mai la necessità di produrre una visione. È un film che l’immagine – spesso precisa, filologica, perfino elegante – la costruisce sempre su delle fondamenta fatte di idee, e che le parole – importanti, importantissime – le utilizza sempre e soltanto in considerazione del loro peso, della loro capacità evocativa e mimetica, della loro morettiana importanza.
Anche per questo – e non solo in virtù della misura e della serietà della recitazione – la galleria di personaggi che affollano le scene del film, i dirigenti del PCI, i papaveri della Democrazia Cristiana, che Segre accompagna sempre, la prima volta che appaiono sullo schermo, con una didascalia che ne indica nome e cognome, non regala mai l’effetto bagaglino. E tanto più l’estetica del film di Segre ci parla filologicamente del passato, tanto più rimpiangiamo ciò che passato è, ingiustamente, senza tracce.

 

 

 

 

1. RECENSIONE DI  FEDERICO PONTIGGIA- IL FATTO QUOTIDIANO, 17 ottobre 2024

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2024/10/17/del-pci/7733260/

 

 

Apre il “biopic” di Andrea Segre – Buona politica e nostalgia. Pur agiografico, il film ha un ottimo cast con protagonista Germano: “Siamo sicuri che serva un leader forte? Enrico era un ‘segretario’…”

 

 

17 Ottobre 2024

“Non abbiamo pensato alla politica attuale, ma oggi un modello di destra, lo sgomitare, si sposa perfettamente con il mercato”. Elio Germano è il segretario del Pci in Berlinguer – La grande ambizione di Andrea Segre, e aprendo la XIX Festa del Cinema di Roma non le manda a dire: “Qui e ora la deriva è una salvezza individuale, non collettiva, e si esprime nei nostri posti di lavoro: anche i medici pensano più al profitto personale che alle persone. E così i politici. Oggi si fa un gran parlare di leaderismo, ma siamo sicuri che la risposta a tutto sia da ricercare in un leader? Berlinguer era un ‘segretario’, e a livello semantico dice molto questa differenza”. In esergo al film, dal 31 ottobre in sala, c’è Antonio Gramsci:  “Di solito si vede la lotta delle piccole ambizioni, legate a singoli fini privati, contro la grande ambizione, che è indissolubile dal bene collettivo”.

 

Il bene fatto popolo, partito e segretario: siamo negli anni Settanta, e il Pci ha la preminenza nel mondo occidentale, con un milione settecentomila iscritti, più di dodici milioni di elettori, e il “compromesso storico”, con la Democrazia cristiana, da perfezionare per cambiare l’Italia.

A conti fatti più che ambizione, fu la grande illusione? Segre non ci sta: “Quella stagione ha prodotto risultati molto importanti, con l’incontro Dci e Pci, per esempio nella sanità pubblica. Quella dimensione dell’agire sociale e politico si è un po’ persa”. Ma subito il regista rettifica: “Nella destra oggi c’è una grande ambizione, la sinistra è più disorientata: la chiarezza della prospettiva politica sta a destra”.

Fa strano il contrappunto tra schermo e realtà: nell’Italia meloniana e affratellata attuale un film tutto a sinistra, laddove la destra, strategia della tensione ed eversione stragista a parte, deve accontentarsi di uno strapuntino chez Fanfani e Andreotti.

Germano guarda oltre: “Mettersi a disposizione della comunità non è un’illusione, per la nostra Costituzione fare il proprio mestiere assicura un contributo materiale e spirituale alla nazione, sicché dobbiamo disvelare la menzogna di una felicità prodotta dalla competizione, dall’accumulo, dal vincere. È un discorso trasversale al partitismo”.

Dunque, Berlinguer, e il piano – anch’esso quinquennale – di andare al governo, sfidando il bipolarismo della Guerra Fredda e perseguendo il dialogo con le forze popolari: dal 1973, allorché scampa a Sofia a un attentato dei Servizi bulgari, al ’78, con l’assassinio del presidente della Dc Aldo Moro, passando per comizi, congressi, mozioni unitarie, discussioni in sezione, concertazioni in famiglia, vittorie elettorali. Vita è politica, pubblico privato, con Segre che rivendica “la correttezza filologica, frutto di una decisione etica, politica e poetica” e Germano che focalizza la fatica di Enrico: “La si vede dal suo corpo, dalla postura quasi cristica: oggi la politica ha dimenticato la rappresentanza del popolo, quella modalità assembleare, collettiva”.

Dal Cile non più di Allende al rischio del colpo di Stato in Italia e all’imperialismo Usa, dal referendum sul divorzio a Fanfani che Berlinguer in sogno apostrofa “farabutto”, dal futuro segretario che a Sassari giocava alla Rivoluzione francese incarnando Robespierre al “grigio funzionario” che Letizia (Elena Radonicich) credeva d’aver sposato, da Breznev alla triangolazione via Moro con Andreotti, fino al funerale in repertorio sui titoli di coda: un milione e mezzo di “fedeli”, e il cinema presente, da Fellini a Scola, da Antonioni a Mastroianni e Vitti.

Come lo sono Segre e il cosceneggiatore Marco Pettenello (motore: “La prima volta che da bambini abbiamo visto un adulto piangere è stato quando è morto Berlinguer”), Berlinguer – La grande ambizione è un film serio, ben interpretato da Germano e, su tutti, Paolo Pierobon, che non fa rimpiangere Il Divo Servillo: “Quando Andrea mi ha richiesto, ho obbedito come un comunista, dovendo fare un democristiano. Andreotti era talmente forte di suo che ho cercato togliere; via i tic, dentro l’evocazione, per qualcosa di onirico”. Tra i pregi del non biopic, la contemplazione semplice ma non semplicistica di un periodo storico complesso, la partitura drammaturgica corale attorno a Enrico in continuità con la linea apolitica, la colonna sonora di Iosonouncane; tra i difetti, la mancanza di difetti del Nostro– nel finale emenda in forma epistolare anche il privato latitante – passibile di agiografia, gli imbarazzanti “effetti speciali” nel rendere pubblico e folla a congressi e comizi. L’emozione, al netto di un tot di sussiego e una certa aria compassata, non latita.

Troveremo agli Oscar, invece, l’apertura di Alice nella Città, la sezione autonoma e parallela della Festa: Nickel Boys, magnificamente diretto da RaMel Ross. Adattando il romanzo premio Pulitzer di Colson Whitehead sulla segregazione razziale che lega e condanna due ragazzi neri nella Florida anni Sessanta, affida alle soggettive (Pov) degli interpreti e all’interpolazione dell’archivio un effetto straniante e politicissimo. Non per tutti, ma tutto per qualcuno: arriverà su Prime Video, segnate.

 

 

 

IL MANIFESTO – 17 OTTOBRE 2024

https://ilmanifesto.it/andrea-segre-volevamo-ripercorrere-la-storia-di-berlinguer-attraverso-il-suo-popolo

 

Andrea Segre: «Volevamo ripercorrere la storia di Berlinguer attraverso il suo popolo»

 

Andrea Segre: «Volevamo ripercorrere la storia di Berlinguer attraverso il suo popolo»

Andrea Segre e Elio Germano alla Festa di Roma – foto Ansa

 

 

Redazione Visioni

ROMA

 

«Ho cominciato a pensare a questo film leggendo il libro di Piero Ruzzante sugli ultimi giorni di Berlinguer (Eppure il vento soffia ancora, Utet, 2020). Ne ho parlato con Marco Pettenello (lo sceneggiatore del film), ci sembrava incredibile che il cinema italiano non avesse raccontato quella stagione politica portata avanti da un uomo votato da un terzo degli italiani che ha prodotto dei risultati molto importanti. L’incontro tra Dc e Pci ad esempio ha permesso la nascita della sanità pubblica».

E aggiunge: «Non volevamo fare un biopic ( s. ingl. [comp. di bio(graphical) «biografico» e picture «film») genere cinematografico incentrato su tematiche biografiche ), così abbiamo individuato degli anni chiave su cui lavorare, e il periodo fra il 1973 e il 1978, ci sembrava che esprimesse un momento di tensione centrale nel nostro Paese e in un mondo diviso in due». Così Andrea Segre sul suo nuovo film, Berlinguer. La grande ambizione – che ha aperto ieri la Festa di Roma e uscirà nelle sale il prossimo 31 – nel corso dell’incontro con la stampa.

Il presidente Mattarella vedrà il film insieme alla famiglia Berlinguer al Quirinale e un messaggio è arrivato da Elly Schlein: «Ci tenevo moltissimo a partecipare, non solo per l’importanza di questo film che esce a quarant’anni dalla scomparsa di Enrico Berlinguer, ma anche perché conosco e stimo il lavoro di Andrea Segre. Purtroppo non mi è possibile esserci dovendo assicurare la mia presenza domattina presto al prevertice socialista a Bruxelles in vista del Consiglio europeo. Questa sera ci sarà una nutrita delegazione del Partito democratico ad assistere alla proiezione. Io recupererò il film al più presto, voglio intanto esprimere i miei complimenti al regista, al cast e a tutta la produzione per aver dedicato quest’opera a una figura straordinaria alla quale siamo molto legati».

Quegli anni di cui parla Segre, lungo i quali si snoda la narrazione di Berlinguer. La grande ambizione vanno dall’omicidio di Allende, nel 1973, a quello di Aldo Moro nel ’78, e sono appunto la trama in cui si svolge la vita pubblica e privata del segretario del partito comunista più grande d’Europa; un politico amato e rispettato da tutti, anche dagli avversari. Il lavoro di ricerca è durato due anni, fra studio dei materiali e interviste. « Abbiamo parlato coi figli, con la scorta, i parenti anche più lontani, tutti i membri del partito della sua generazione ancora vivi, il tesoriere Cervetti, ma anche quelli più giovani: D’Alema, Veltroni, Bassolino c’era sempre qualcuno che si commuoveva» dicono ancora gli autori. «Ci siamo immersi nell’Istituto Gramsci che conserva tutte le riunioni dattilografate coi suoi appunti. Avremmo fatto un film di dodici ore, è stato un viaggio intellettuale stupendo». E oggi, cosa è rimasto di tutto questo? Risponde Andrea Segre: «Una cosa è certa, adesso nel mondo c’è più chiarezza di prospettive nella destra mentre la sinistra è certamente più disorientata».

A DARE vita a Berlinguer è Elio Germano che spiega: «Ho cercato di non caratterizzarlo troppo, di restituirne o qualche dettaglio. Ho lavorato soprattutto sulla sua particolare prossemica (1 nota sotto ), l’inadeguatezza, la fatica che mostrava il suo corpo, il peso della responsabilità verso gli altri e l’assoluta mancanza di attenzione verso l’esteriorità» dice. Impensabile per l’attore immaginare un parallelo coi politici del nostro tempo: «Berlinguer si metteva al servizio degli altri, noi ora siamo tutti una serie di monadi individualiste».

 

 

(1) prossemica

a. vocabolario

prossèmica s. f. [dall’ingl. proxemics, der. di prox(imity) «prossimità», prob. col suff. –emics di phonemics «fonemica» e sim.]. – Parte della semiologia che studia il significato assunto, nel comportamento sociale dell’uomo, dalla distanza che l’individuo frappone tra sé e gli altri e tra sé e gli oggetti, e quindi, più in generale, il valore attribuito da gruppi sociali, diversi culturalmente o storicamente, al modo di porsi nello spazio e al modo di organizzarlo.

 

b. enciclopedia online+ vocabolario

Parte della semiologia che studia il significato assunto, nel comportamento sociale dell’uomo, dalla distanza che l’individuo frappone tra sé e gli altri e tra sé e gli oggetti, e quindi, più in generale, il valore attribuito da gruppi sociali, diversi culturalmente o storicamente, al modo di porsi nello spazio e al modo di organizzarlo. Uno spazio (fisico, o sociale) può essere vissuto in modi differenti sia che si tratti, per es., di uno spazio (fisico) angusto e accidentato, oppure esteso e facilmente occupabile, sia che si tratti di uno ‘spazio’ all’interno di un partito politico, di una entità di lavoro, della famiglia, del gruppo di vicinato, e così via. Nell’ambito della famiglia, per es., fenomeni quali l’espansione affettiva, l’isolamento, la promiscuità dei sessi e delle generazioni sono strettamente dipendenti dall’organizzazione e dall’occupazione degli spazi interni. Lo stesso vale per la formazione di gruppi di vicinato negli agglomerati urbani, dove, per quanto gli spazi siano notoriamente piccoli, si assiste a una scarsa formazione di interazione, in quanto vengono a mancare le occasioni di incontro tra gli inquilini. La sociologia stessa può essere definita una p. generale. L’analisi di una società, infatti, può essere limitata, senza che perda tuttavia rilevanza sociologica, allo studio della distribuzione della popolazione sullo spazio fisico, alle trasformazioni impresse al territorio, alle forme di insediamento e così via

 

da ( sopra e sotto ) :

TRECCANI
https://www.treccani.it/enciclopedia/prossemica/

 

 

2.  RECENSIONE

 

IL MANIFESTO — 17 OTTOBRE 2024

https://ilmanifesto.it/berlinguer-e-la-grande-ambizione-della-collettivita-perduta

 

 

Berlinguer e la grande ambizione della collettività perduta

 

 

 

Berlinguer e la grande ambizione della collettività perduta

Elio Germano in una scena da «Berlinguer. La grande ambizione» di Andrea Segre

La diciannovesima edizione della Festa del Cinema di Roma è iniziata con la proiezione del film in concorso, Berlinguer – La grande ambizione (in sala dal 31 ottobre), quinto lungometraggio di Andrea Segre che, tra numerosi documentari e finzioni, per la prima volta si cimenta con il racconto biografico e, in particolare, con la vita di un uomo le cui parole e azioni sono parte fondante della nostra recente storia e forse, ancor più, di un immaginario da difendere in un’epoca nella quale si avverte il declino, se non il tracollo, della politica e dell’etica.

Fa rabbia e tristezza, vedere e ascoltare per circa due ore Enrico Berlinguer (interpretato da Elio Germano) all’indomani della prima spedizione di una nave militare italiana partita con sedici migranti a bordo e arrivata in Albania. Eppure è così. Sono bastati pochi decenni per seppellire definitivamente la grande ambizione. Anni nei quali è scomparsa la tensione verso il bene della collettività. E dunque dai compagni combattivi ed entusiasti delle fabbriche che chiedono come progredire, come realizzare l’eguaglianza, come impedire lo sfruttamento, come comportarsi nei confronti dell’Unione Sovietica (oggi che sembra quasi impossibile esprimersi su Israele), si è passati a trattare le persone come nudi corpi privati di identità e diritti. A leader, sostenuti dal consenso, che incarnano l’idea de L’État, c’est moi!.

Nel percorso cinematografico di SegreBerlinguer – La grande ambizione rappresenta un passaggio quasi obbligato. Come se tutti gli incontri fatti in precedenza con i migranti e i lavoratori, da Marghera canale nord a Come un uomo sulla Terra, da Io sono Li a Welcome Venice, avessero trovato in Berlinguer la voce capace di accogliere istanze, comprendere traiettorie, cercare nuove direzioni.

Il regista nato a Dolo ( area metrop. di Venzia ) ha raccontato cinque anni cruciali, dal 1973 al 1978, dalla caduta di Salvador Allende in Cile, con la conseguente presa di coscienza che il Partito Comunista non avrebbe potuto governare nemmeno con il cinquantuno percento, al rapimento e omicidio di Aldo Moro, che segna il tramonto (senza una vera alba) del «compromesso storico».

UN QUINQUENNIO decisivo tanto per il segretario del Pci quanto per l’intero Paese, scosso da attentati nei treni e nelle piazze, da violenti conflitti per le strade dove perdevano la vita giovani donne e uomini che speravano di cambiare il mondo e non di perderlo. Eravamo sull’orlo di un baratro, tra tentativi di colpi di stato, soppressione delle libertà, eversioni, profonde crisi economiche, in mezzo a una Guerra Fredda e arsenali atomici pronti a mostrare la loro distruttiva potenza.

Non solo violenza, però. Perché in quel periodo le elezioni politiche e amministrative premiavano i comunisti italiani. Bandiere rosse sventolavano in festa, nonostante Papa Paolo VI, Giovanni Agnelli e Amintore Fanfani. Avversari e nemici non così temibili, a dire il vero, come quelli che provenivano da Ovest, anche se si nutrivano tiepide speranze per il nuovo presidente Jimmy Carter, e da Est, con i vertici sovietici che non tolleravano l’Eurocomunismo e tramavano contro l’italiano che parlava di democrazia.

Al di là della mimesi e della ricostruzione di un’epoca attraverso costumi e scenografie, il film rielabora per frammenti lo spirito di un tempo, non sempre riuscendo a evitare interventi eccessivamente didascalici, soprattutto in alcuni dialoghi che invece di rivelare una dimensione privata (e magari più tormentata), si limitano a spiegare lo stato delle cose.

Proprio in questi giorni è uscito nelle sale italiane Megalopolis di Francis Ford Coppola (evento di pre-apertura della Festa del Cinema di Roma e di Alice nella Città). Un film che insieme a Berlinguer – La grande ambizione spinge a riflettere, attraverso modalità cinematografiche decisamente diverse, sul senso dell’utopia in un frangente della pur modesta storia umana nella quale a prevalere è il distopico.

 

DA QUESTO punto di vista, i materiali d’archivio recuperati da Segre, le movenze di Germano, lo spettrale Roberto Citran che ridà vita ad Aldo Moro, unito alle fantasmagorie di Coppola, narrano di ideali che si ha il dovere di inseguire, di tempi futuri che si possono immaginare, di azioni volte a provocare il benessere del prossimo. E come canta Pierangelo Bertoli nel film: «Un’isola intera ha trovato nel mare una tomba, il falso progresso ha voluto provare una bomba, poi pioggia che toglie la sete alla terra che è viva, invece le porta la morte perché è radioattiva. Eppure il vento soffia ancora spruzza l’acqua alle navi sulla prora e sussurra canzoni tra le foglie e bacia i fiori li bacia e non li coglie».

 

 

PIERANGELO BERTOLI, 1975 — EPPURE SOFFIA

testo di Pierangelo Bertoli e musica di Alfonso Borghi

 

 

E l’acqua si riempie di schiuma, il cielo di fumi,
la chimica lebbra distrugge la vita nei fiumi,
uccelli che volano a stento malati di morte,
il freddo interesse alla vita ha sbarrato le porte.

Un’isola intera ha trovato nel mare una tomba,
il falso progresso ha voluto provare una bomba,
poi pioggia, che toglie la sete alla terra, che è viva,
invece le porta la morte perché è radioattiva.

Eppure il vento soffia ancora,
spruzza l’acqua alle navi sulla prora
e sussurra canzoni tra le foglie,
bacia i fiori, li bacia e non li coglie.

Un giorno il denaro ha scoperto la guerra mondiale,
ha dato il suo putrido segno all’istinto bestiale,
ha ucciso, bruciato, distrutto in un triste rosario
e tutta la terra si è avvolta di un nero sudario.

E presto la chiave nascosta di nuovi segreti:
(questo non è tradotto)
così copriranno di fango persino i pianeti,
vorranno inquinare le stelle, la guerra tra i soli:
i crimini contro la vita li chiamano errori.

Eppure il vento soffia ancora,
spruzza l’acqua alle navi sulla prora
e sussurra canzoni tra le foglie,
bacia i fiori, li bacia e non li coglie.

Eppure sfiora le campagne,
accarezza sui fianchi le montagne
e scompiglia le donne fra i capelli,
corre a gara in volo con gli uccelli.
Eppure il vento soffia ancora!!!

 

 

per chi mai volesse:

STADIO E BRANDUARDI — E soffia ancora

 

 

 

un disco dedicato a Pierangelo Bartoli da parte di vari gruppi e cantanti- 7 ottobre 2005
Pierangelo Bertoli (Sassuolo, 5 novembre 1942 – Modena, 7 ottobre 2002 )

 

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