10 AGOSTO 1944 – MILANO — 15 PRIGIONIERI UCCISI DALLA BRIGATA NERA A PIAZZALE LORETO COMANDATI DAI TEDESCHI- – Patria Indipendente, 10 dicembre 2006 + Il Manifesto 10 qgosto 2016 + Il Manifesto 11 agosto 2005 – Il MSI e Piazzale Loreto+ Aligi Sassu

 

 

 

Aligi Sassu ( 1 nota in fondo ), I martiri di piazzale Loreto – Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma

Massimo Castoldi, Piazzale Loreto, Donzelli 2020-

da:  https://ilmanifesto.it/i-quindici-martiri-di-piazzale-loreto-10 agosto 2024

 

 

 

 

10 agosto 1944: i 15 martiri di piazzale Loreto - Patria ...

Patria Indipendente

 

 

10 agosto 1944, ore 5,45. Un autocarro tedesco frena di botto e scarica giù 15 uomini in tuta da lavoro. Fa appena giorno a Milano e piazzale Loreto è quasi un deserto. Su un lato della grande spianata circondata dai palazzi, un pugno di militi della Brigata Nera “Aldo Resega” sorveglia le vie d’accesso. Altri uomini, italiani, fascisti della GNR e della Legione “Ettore Muti” attendono di compiere lo sporco lavoro che gli è stato affidato. I prigionieri stanno fermi, in fila, davanti alle armi. La voce del capitano Pasquale Cardella, che comanda il plotone della “Muti”, urla parole di morte. Poi, un ordine secco mette in moto i quindici uomini, velocemente. Con uno scatto improvviso, prima uno e poi un altro cercano scampo. Un portone spalancato, un angolo da svoltare. Due raffiche e pochi metri di vita. Il resto della fila si sbanda, forma una curva, c’è una staccionata. Fermi così! Fermi lì! Colpi, colpi, e anche quei corpi muoiono a terra.

Lì, tutti insieme… Trascinate nel mucchio quegli altri due. Grida di ebbrezza, risate rabbiose. Un cartello: QUESTI SONO I GAP SQUADRE ARMATE PARTIGIANE ASSASSINI. Lì. Fino a sera. State di guardia. Nessuno li muova. Nessuno li tocchi. Niente fiori, nemmeno candele. Tutti li vedano, tutti devono guardare. Che imparino tutti.

La strage è portata a compimento dopo nemmeno quarantotto ore dalle esplosioni che, la mattina dell’8 agosto, nel tratto di viale Abruzzi che conduce a piazzale Loreto, hanno fatto saltare in aria un camion tedesco, provocando il lieve ferimento dell’autista e la morte di diversi passanti. Tutti italiani.

 

 

da ( dove segue con un profilo del 15 martiri ):

10 agosto 1944: i 15 martiri di piazzale Loreto

 

 

 

 

 

da : 

IL MANIFESTO  10 AGOSTO 2016
https://ilmanifesto.it/brigata-nera-a-piazzale-loreto

 

 

 

 

Brigata nera a Piazzale Loreto

 

 

La Storia. Il 10 agosto 1944 quindici prigionieri furono prelevati dal carcere di San Vittore e fucilati in Piazzale Loreto, una strage nazifascista per cui Mussolini, la Petacci e altri gerarchi furono poi appesi dai partigiani in quella stessa piazza. Ora si conoscono i nomi di chi dette l’ordine e di chi sparò. Una verità insabbiata per cinquant’anni. Solo a partire dal 1994 con la scoperta dell’«Armadio della Vergogna» si è potuto ricomporre il puzzle delle responsabilità

 

 

 

Brigata nera a Piazzale Loreto

 

 

 

 

La fucilazione, all’alba del 10 agosto del 1944, di quindici patrioti antifascisti a ridosso di una staccionata in Piazzale Loreto a Milano e lasciati a terra sotto il sole, vilipesi e oltraggiati dai fascisti fino a sera, impedendo ai parenti di avvicinarsi, suscitò un così forte sdegno nella popolazione che fu alla base della decisione successiva della Resistenza di esporre nello stesso piazzale i corpi di Benito Mussolini, di Claretta Petacci e degli altri gerarchi della Repubblica sociale italiana fucilati a Giulino di Mezzegra il 28 aprile 1945.

Ripercorriamo brevemente l’antefatto e le fasi dell’eccidio.

Alle 8,15 dell’8 agosto 1944 due bombe collocate da persone rimaste sconosciute fecero saltare un autocarro tedesco in sosta dalle tre del mattino in viale Abruzzi all’altezza del numero 77, causando il ferimento dell’autista, il caporalmaggiore Kuhn Heinz, e la morte di alcuni passanti italiani. L’attentato non fu mai rivendicato, né fu mai citato nei resoconti dell’attività dei Gap (Gruppi di azione patriottica).

A seguito di questo attentato il colonnello Von Goldbeck, capo del comando militare tedesco a Milano, e il capitano Theodor Saevecke della Sd (Gestapo), progettarono una rappresaglia.

Verso le cinque di mattina del 10 agosto 1944 quindici prigionieri furono prelevati dal carcere di San Vittore e fucilati in Piazzale Loreto. I tedeschi, una volta di più decisero in modo unilaterale, disprezzando l’alleato fascista, ridotto a mero esecutore dei loro ordini.

Molto ormai si conosce riguardo le responsabilità di chi ordinò la rappresaglia. Quasi nulla invece in relazione a chi compose il plotone di esecuzione e materialmente fucilò.

 

La Ettore Muti e la brigata nera

 

Il controspionaggio partigiano indicò da subito nei fascisti della Legione Ettore Muti i responsabili materiali dell’eccidio. La responsabilità della Muti fu confermata da due sentenze della Corte d’Assise Speciale di Milano, una del 20 luglio 1946 e l’altra del 23 maggio 1947.

 

Il 20 luglio 1946 comparve davanti ai giudici milanesi Pietro Petit, ex milite della Muti, imputato di collaborazionismo, di aver partecipato a rastrellamenti di partigiani, nonché di aver fatto parte del plotone di esecuzione di Piazzale Loreto. Fu la moglie, Giuseppina Zoppis, a denunciare il Petit. Inizialmente per maltrattamenti. Poi confessò che ricevette dal marito la confidenza della sua partecipazione alla fucilazione. Egli naturalmente negò, ma nel corso del dibattimento riferì cose che poteva aver appreso solo dai suoi commilitoni. Disse che quella mattina in Piazzale Loreto erano presenti un «tale Griffanti» e due sergenti, Dalla Valle e Ragno, e che quest’ultimo in particolare si vantava di aver preso parte all’eccidio. Il Petit fu assolto per insufficienza di prove.

 

La seconda sentenza del 23 maggio 1947 fu emessa contro Vittorio Rancati, Giacinto Luisi, Luigi Campi, Diego Benedetti, Silvio Borghi, Giovanni Villasanta e Franco Cattaneo, accusati di aver ucciso il patriota Eraldo Soncini che tentò di sottrarsi con la fuga alla fucilazione di Piazzale Loreto. Tutti gli imputati appartenevano alla Brigata Nera Aldo Resega Gruppo Oberdan che aveva sede in Via Cadamosto 4 a Milano, eccezion fatta per il Benedetti Diego che era invece capitano della Guardia Nazionale Repubblicana.

Dal testo della sentenza si apprese che, dopo che i quindici martiri furono fatti scendere velocemente dal camion che li aveva trasportati dal carcere di San Vittore, uno di loro, il Soncini, approfittando dello sbandamento generale tentò la fuga. Immediatamente fu inseguito da un gruppo di fascisti composto da uomini della Muti e della Brigata Nera, tra cui il Luisi e il Campi, che incitati dal maggiore Vitali, spararono ripetutamente contro il malcapitato che, colpito a morte, cadde di fronte al portone di ingresso dello stabile di Via Palestrina 7, dove il Luisi senza alcuna esitazione lo finì con una scarica di mitra.

 

La Corte condannò Giacinto Luisi e Luigi Campi alla pena di morte mediante fucilazione alla schiena, Vittorio Rancati alla pena di dieci anni, Giovanni Villasanta a otto anni, assolse Diego Benedetti per non aver commesso il fatto, mentre per i restanti imputati decretò «il non doversi procedere». Poi tra condoni, amnistie e nuovi condoni i due principali imputati, ossia il Luisi e il Campi si videro ridotta la pena a tredici anni di cui tre di libertà vigilata.

 

 

L’armadio della vergogna

 

Nel 1994, a seguito di reiterate richieste del Procuratore militare Antonio Intelisano, incaricato di preparare l’estradizione dell’ex capitano delle Ss, Erich Priebke,furono rinvenuti casualmente 694 faldoni riguardanti stragi compiute da nazisti e fascisti in un armadio della Procura militare di Roma in Via Cesi. L’armadio che si trovava in fondo a un corridoio aveva le due ante rivolte verso il muro e Franco Giustolisi che per primo ne scrisse, lo chiamò «Armadio della vergogna».

Quando il 19 giugno 1999 l’ex capitano delle Ss Theodor Saevecke fu condannato quale mandante della strage di Piazzale Loreto, si seppe dell’esistenza del fascicolo 2167 dell’Ufficio procedimenti penali contro criminali di guerra tedeschi aperto dalla Procura generale militare del Regno, conservato in quell’armadio.

Nello stesso si menzionavano come imputati il «Gen. Von Tensfeld, Col. Rauff, Capitano Saevecke», ma anche «il Col. Pollini», nonché il «Capitano Cardella, Confalonieri, Manfredini Parti lese: Principato Salvatore, Galimberti Giovanni e altri 13. Fatti di Milano (Piazza Loreto) del 10 agosto del 1944».

Per la prima volta quindi comparirono i nomi di alcuni italiani: il colonnello della Gnr (Guardia nazionale repubblicana) Pollini, il capitano Cardella della Legione Muti, la guardia carceraria Manfredini e l’agente italiano della Sd tedesca (Gestapo) Confalonieri.

 

Tra gli atti degli interrogatori condotti nell’aprile del 1946 dallo Special Investigation Branch figuravano – tra gli altri – quelli riguardanti i citati Petit, Campi e Borghi. Da questi documenti si ebbero nuove rivelazioni che oggi ci permettono di far maggiore chiarezza su cosa accadde il 10 agosto 1944.

 

Alle quattro del mattino i militi della Brigata Nera furono svegliati e condotti in Piazzale Loreto, dove vennero messi a controllare le vie che vi confluiscono. Poco dopo arrivarono i fascisti della Muti, della Gnr e dell’Aeronautica Repubblicana e tutti insieme presidiarono la zona. Infine giunse un autocarro tedesco con a bordo i quindici patrioti che vennero fatti scendere e fatti addossare a una staccionata di legno con le spalle rivolte al plotone d’esecuzione. A questo punto il Soncini tentò la fuga con l’esito che si è detto, mentre gli altri vennero falciati dagli uomini della Muti comandati dal capitano Pasquale Cardella che lesse velocemente la condanna e ordinò il fuoco.

 

Quindi quella mattina sul luogo dell’esecuzione erano presenti: gli uomini della Brigata Nera e gli uomini della Gnr con compiti di «ordine pubblico», alcuni avieri, e i militi della Muti che eseguirono la fucilazione ordinata dai tedeschi rappresentati dal sergente delle Ss Anton Heininger, che insieme a un altro soldato tedesco, tale Jarsko avevano «l’obbligo di riferire al capitano se la fucilazione di alcuni detenuti civili italiani aveva avuto luogo o meno».

 

Sepolti al Campo 10

 

Il capitano Pasquale Cardella fu processato contumace assieme a molti altri della Muti, e condannato a morte nel 1947 dalla Corte d’assise di Milano per l’uccisione di alcuni patrioti e per sevizie. Non fu mai rintracciato risultando disperso.

Il sergente Renato Griffanti morì dalle parti di Vercelli in uno scontro a fuoco con i partigiani nel febbraio del 1945, mentre i sergenti Lamberto Dalla Valle e Santo Ragno finirono i loro giorni uccisi a Milano tra l’aprile e il maggio 1945. Questi ultimi tre furono sepolti al Campo 10 del Cimitero Maggiore, dove sono state progressivamente raccolte le spoglie di quasi un migliaio di caduti repubblichini, tra loro anche alcuni volontari nelle Ss.

 

 

 

Il racconto unitario di un luogo della storia nazionale e milanese

Il primo cippo eretto nel dopoguerra in piazzale Loreto in memoria dei martiri

da :
https://ilmanifesto. 14 dicembre 2021

 

 

 

 

 

ARCHIVIO – IL MANIFESTO  11 AGOSTO 2005
https://archiviopubblico.ilmanifesto.it/Articolo/2003074796

 

 

Milano, 1944

 

 FAZIO LUCA, ━ MILANO

 

Ad alcuni esponenti milanesi di Allenza Nazionale va dato il merito di aver ridato vigore a una delle commemorazioni più trascurate che si tengono a Milano (capita ogni 10 agosto): quel giorno del 1944 i nazifascisti uccisero per rappresaglia 15 detenuti politici presi a caso nel carcere di San Vittore. Li massacrarono in piazzale Loreto, dove otto mesi dopo venne esposto il corpo di Mussolini. Sessantuno anni dopo, continua a non piacere ad Alleanza Nazionale la manifestazione organizzanta dall’Anpi. E questa volta ci si è spinti fino al punto di non gradire la presenza del giudice Guido Salvini alle commemorazioni che si sono tenute ieri, perché «personalità come lui dovrebbero essere al di sopra delle parti». Dunque né con i partigiani né con i nazifascisti, la pensano così i nazional alleati del partito di Fini, che non a caso hanno presentato un disegno di legge – scrive l’Anpi – nel «vergognoso tentativo di parificare a tutti gli effetti i combattenti della Rsi e i partigiani».

Ieri, sotto la stele del partigiano trafitto, oltre al giudice Salvini, erano presenti il sindaco Albertini, l’assessore provinciale al lavoro Vimercati, l’eurodeputato dell’Ulivo Panzeri, esponenti dell’Anpi e Sergio Fogagnolo, figlio di uno dei quindici uccisi. Il sindaco, una volta tanto, è stato capace di non peggiorare la situazione. «La memoria storica è il più autorevole guardiano a cui affidare la nostra libertà, è una sentinella che permette che non si replichino gli orrori del passato. Milano non fu mai in sintonia con la dittatura ma la avversò in tutti i modi». Fogagnolo, invece, commosso, ha chiesto al neo assessore alla cultura del comune di Milano, Stefano Zecchi (quello della televisione), di non modificare il nome a una delle piazze più significative della storia di Milano. «Non è giusto chiamarla piazza della Concordia, sarebbe come cancellare una fetta della storia solo perché scomoda da ricordare». Il consigliere Marcello Saponaro dei Verdi invece si è detto dispiaciuto per l’assenza di An. «Ancora una volta una parte di An si dimostra incapace di accettare la storia e di fare i conti col proprio passato». Giusto. Ma allora, a che pro invitarli in piazzale Loreto?

 

 

 

 

 

(1) NOTA SU ALIGI SASSU E PIAZZALE LORETO

 

 

Aligi Sassu, Guerra civile (I martiri di piazzale Loreto) (1944; olio su tela, 116 x 200 cm; Roma, Galleria Nazonale d’Arte Moderna e Contemporanea)

IL QUADRO

 

La foto che testimonia la strage di piazzale Loreto del 10 agosto del 1944

La foto

 

Sassu raccontò in seguito di essersi recato direttamente sul luogo per osservare quello che i repubblichini, su ordine dei nazisti, avevano fatto. “Fu in forza dell’angosciata confidenza di un amico”, avrebbe poi detto Sassu, “che andai là, sul posto dell’eccidio: ‘Aligi, hanno fatto una strage e i cadaveri sono ancora nella piazza’. Così mi trovai con il cuore gonfio di orrore e di commozione, impotente tra gente impotente, spettatore impietrito del ludibrio a cui i militi repubblichini avevano sottoposto i corpi di quei generosi nostri fratelli. Me ne tornai sconvolto; giunto nella casa di via Bagutta volli subito fissare sulla tela la memoria di quel sacrificio, volli immediatamente celebrare in pittura quanto avevo visto. Ma non avevo una tela e per tante ragioni non avrei potuto procurarmene una sul momento. Allora cominciai a dipingere sopra un altro mio quadro che rappresentava un ciclista. Dopo due giornate di lavoro conclusi I martiri di piazzale Loreto, un’opera che divento tra le più rappresentative e le più note di quel periodo; opera acquistata da Argan per la Galleria d’Arte Moderna a Roma. L’ho già detto, quelle scene mi avevano sconvolto. Eppure vi era in me, nel fuoco che mi agitava mentre dipingevo, nell’ansia che mi riempiva il petto mentre cercavo di esprimere quel che avevo visto, una tristezza immensa. Pensai, alla fine, che da quei corpi insanguinati e inerti si levasse un muto ammonimento per tutti gli italiani e, anzi, per tutti gli uomini: non di vendetta o di rancorosa ricerca dei torti e delle ragioni, ma di pace, di giusta pace”.

In realtà non sappiamo fino a che punto sia attendibile il racconto di Sassu, dal momento che risulta difficile immaginare che subito dopo il 10 agosto circolassero già fotografie della strage: addirittura, secondo lo storico Sergio Luzzatto, andrebbe rivista la datazione dell’opera, la cui fonte è unicamente la testimonianza dell’artista (anche perché, come ha notato il sopra ccitato Castoldi, dipingere un’ingombrante tela di due metri per uno e mezzo avrebbe esposto l’artista a enormi rischi, in quanto, qualora trovata durante un’ispezione da un fascista o da un nazista, “avrebbe significato in quei mesi arresto immediato, e forse fucilazione o deportazione”). Castoldi ha tuttavia sottolineato come nel dicembre di quell’anno la fotografia a cui s’ispirò l’artista venne adoperata per un volantino che fu appeso alle acciaierie Falck nel dicembre del 1944. La prima attestazione dell’opera risale invece al 1951, quando se ne parlò per la prima volta sul quotidiano Milano Sera, che pubblicò una dichiarazione di Sassu, nella quale l’artista riferiva di aver dipinto I martiri di piazzale Loreto “nell’agosto del 1944, subito dopo avere visto il ludibrio che la canaglia repubblichina faceva dei corpi dei nostri fratelli. Eppure vi era in me, nel fuoco e nell’ansia che mi agitava, nel cercare di esprimere quello che avevo visto, una grande pace e non odio, ma una tristezza immensa. Da quei corpi sanguinanti e inerti sorgeva un ammonimento ed un monito a tutti gli uomini. Pace”.

La scelta di rappresentare l’eccidio dei partigiani vuol essere non soltanto un modo per trasmettere la memoria del tragico evento, oltre che una sorta di personale tributo di Aligi Sassu alle vittime della strage e un’esortazione contro le atrocità dell’oppressione e della tirannia. Sassu, col suo dipinto, operò un vero ribaltamento delle intenzioni dei fascisti, che avrebbero poi fatto diffondere la foto da cui è tratta l’opera, sempre come monito alla popolazione. Quella che era una minaccia diventa una testimonianza. L’aria gelida della fotografia s’accende con una pittura dai toni sfaldati, che trasfigura l’immagine documentaria d’una strage in una commemorazione che, pur senza discostarsi dalla foto e pur senza perdere accenti di realismo, attraverso un denso espressionismo carica l’immagine di partenza di un significato del tutto opposto. Il torvo messaggio intimidatorio diventa così un’elegia sentita, a cavallo tra esigenza di fedeltà al fatto storico e necessità di costruire un mito.

 

da :

FINESTRE SULL’ARTE – 24 APRILE 2024

https://www.finestresullarte.info/opere-e-artisti/i-martiri-di-piazzale-loreto-di-aligi-sassu-opera-resistenza

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1 risposta a 10 AGOSTO 1944 – MILANO — 15 PRIGIONIERI UCCISI DALLA BRIGATA NERA A PIAZZALE LORETO COMANDATI DAI TEDESCHI- – Patria Indipendente, 10 dicembre 2006 + Il Manifesto 10 qgosto 2016 + Il Manifesto 11 agosto 2005 – Il MSI e Piazzale Loreto+ Aligi Sassu

  1. DONATELLA scrive:

    Molte vie di Sesto San Giovanni hanno il nome dei martiri di piazzale Loreto. Purtroppo, al di là delle intenzioni, sembra che la storia non insegni proprio niente.

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