IL TASSO BARBASSO, SE LO GUARDATE BENE, E’ PROPRIO COME CE LO DESCRIVE DONATELLA ( in due puntate )… + CARAVAGGIO ( lo dipinge ) + MANZONI ( lo descrive ) nei ” Promessi Sposi, 1840 – Capitolo_XXXIII– La povera vigna di Renzo

 

 

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Una pianta che spesso viene rappresentata, a contorno di opere d’arte, è il tasso barbasso, ovvero il verbascum thapsus, un’erba biennale estremamente diffusa, che possiamo trovare in qualsiasi campo e persino ai bordi di strade e autostrade. Ha le foglie carnose e coperte di peluria, un fusto molto alto con dei fiori gialli che sbocciano lungo lo stelo. La pianta, conosciuta dagli antichi romani come candelaria (perché le sue foglie secche erano utilizzate come stoppini per le lucerne), ha molte proprietà terapeutiche e, secondo la tradizione, aveva moltissimi usi dovuti per esempio alla capacità di rallentare il deperimento della frutta avvolgendola nelle sue foglie. Questa qualità di “trattenere la vita” ha reso il tasso barbasso un simbolo importante, ricorrente nell’arte come portatore del significato salvifico della resurrezione di Cristo, significato definito e scoperto nel 1994 dall’iconologo Rodolfo Papa.

 

 

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” Mi piace tantissimo, per il suo nome, il tasso barbasso. Me lo immagino accogliente ( non riesco a capire se sorride). Allunga i suoi rami per abbracciare chi si avvicina, racconta favole ai bambini, nasconde prudentemente dei folletti che vi si rifugiano. E’ un vero amico “.

” Tasso Barbasso, come si può facilmente intuire, è decisamente un pacifista: lascia crescere vicino a sé altre erbe e non ha mai tentato di invadere il campo altrui. Offre accoglienza ad insetti e piccoli uccelli, che ormai lo chiamano famigliarmente “Zio Barba”. E’ rispettato nel suo entourage e sappiamo da altri ( lui non lo direbbe mai per modestia) che riesce a fare da paciere tra erbe particolarmente aggressive, come Gramigna e Ortica. Mantiene una corrispondenza amichevole e fraterna con Mirto, Basilico e Menta. Nella sua adolescenza ha avuto una passione travolgente per Salvia, che non sappiamo se l’abbia mai corrisposto. “

( donatella )

 

 

 

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Il verbasco (nome scientifico Verbascum thapsus L.), ma è anche volgarmente detto tasso barbasso è una pianta erbacea biennale appartenente alla famiglia delle Scrofulariaceae. Cresce fino a oltre 2 metri di altezza, è ricoperto di fitta e soffice peluria, i fiori sono gialli e hanno un diametro di 1,5-3 cm.

 

 

 

”  CARAVAGGIO E IL TASSOBARBASSO “

IMMAGINI E TESTO ( tra virgolette ) DAL FACEBOOK 

Achille Pacciani – 3 agosto 2021 

 

 

” Il tasso barbasso è ben rappresentato anche in molti dipinti del Caravaggio; lo troviamo, ad esempio, nel San Francesco in estasi , primo dipinto di soggetto apertamente religioso del Merisi– 1594-1595; conservato al Wadsworth Atheneum, Hartford (Connecticut)

 

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oppure ai piedi di san Giovanni Battista nelle sue varie versioni ( Caravaggio realizzò almeno otto dipinti con questo tema) , ad indicare la prefigurazione della Nascita, Morte e Resurrezione di Gesù Cristo.

 

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Ancora, nel Riposo durante la fuga in Egitto, 1597, Galleria Doria Pamphilj di Roma

 

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nella Conversione di Saulo (Odescalchi) sulla strada di Damasco, 1600-1601
Cappella Cerasi della Basilica di Santa Maria del Popolo a Roma.

 

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e infine nella Deposizione.

 

 

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La Deposizione, 1602-1604 ca. Olio su tela, 300 × 203 cm. Città del VaticanoPinacoteca vaticana.
Opera propriaLafit86

Qui, nello spazio in basso, pensato non come un sepolcro, ma come campo antistante, il Merisi ha dipinto due piante e non una sola. A destra, in ombra, sta una pianta ormai morta, con foglie reclinate, a sinistra, invece una pianta ben viva, vigorosa, che tocca il candido sudario /sindone del Cristo. Il segno, pur essendo semplice, è chiarissimo e conforme all’iconografia tradizionale del sepolcro e della resurrezione. Con la morte di Cristo si sta passando dalla morte alla vita – si pensi solo ai rami secchi e poi fogliati della Resurrezione di Piero della Francesca. ”

 

 

IL TASSO BARBASSO E  ALESSANDRO MANZONI

 

 

E andando, passò davanti alla sua vigna; e già dal di fuori potè subito argomentare in che stato la fosse. Una vetticciola, una fronda d’albero di quelli che ci aveva lasciati, non si vedeva passare il muro; se qualcosa si vedeva, era tutta roba venuta in sua assenza. S’affacciò all’apertura (del cancello non c’eran più neppure i gangheri); diede un’occhiata in giro: povera vigna! Per due inverni di seguito, la gente del paese era andata a far legna “ nel luogo di quel poverino, ” come dicevano. Viti, gelsi, frutti d’ogni sorte, tutto era stato strappato alla peggio, o tagliato al piede. Si vedevano però ancora i vestigi dell’antica coltura: giovani tralci, in righe spezzate, ma che pure segnavano la traccia de’ filari desolati; qua e là, rimessiticci o getti di gelsi, di fichi, di peschi, di ciliegi, di susini; ma anche questo si vedeva sparso, soffogato, in mezzo a una nuova, varia e fitta generazione, nata e cresciuta senza l’aiuto della man dell’uomo. Era una marmaglia d’ortiche, di felci, di logli, di gramigne, di farinelli, d’avene salvatiche, d’amaranti verdi, di radicchielle, d’acetoselle, di panicastrelle e d’altrettali piante; di quelle, voglio dire, di cui il contadino d’ogni paese ha fatto una gran classe a modo suo, denominandole erbacce, o qualcosa di simile. Era un guazzabuglio di steli, che facevano a soverchiarsi l’uno con l’altro nell’aria, o a passarsi avanti, strisciando sul terreno, a rubarsi in somma il posto per ogni verso; una confusione di foglie, di fiori, di frutti, di cento colori, di cento forme, di cento grandezze: spighette, pannocchiette, ciocche, mazzetti, capolini bianchi, rossi, gialli, azzurri. Tra questa marmaglia di piante ce n’era alcune di più rilevate e vistose, non però migliori, almeno la più parte: l’uva turca, più alta di tutte, co’ suoi rami allargati, rosseggianti, co’ suoi pomposi foglioni verdecupi, alcuni già orlati di porpora, co’ suoi grappoli ripiegati, guarniti di bacche paonazze al basso, più su di porporine, poi di verdi, e in cima di fiorellini biancastri; il tasso barbasso, con le sue gran foglie lanose a terra, e lo stelo diritto all’aria, e le lunghe spighe sparse e come stellate di vivi fiori gialli: cardi, ispidi ne’ rami, nelle foglie, ne’ calici, donde uscivano ciuffetti di fiori bianchi o porporini, ovvero si staccavano, portati via dal vento, pennacchioli argentei e leggieri. Qui una quantità di vilucchioni arrampicati e avvoltati a’ nuovi rampolli d’un gelso, gli avevan tutti ricoperti delle lor foglie ciondoloni, e spenzolavano dalla cima di quelli le lor campanelle candide e molli: là una zucca salvatica, co’ suoi chicchi vermigli, s’era avviticchiata ai nuovi tralci d’una vite; la quale, cercato invano un più saldo sostegno, aveva attaccati a vicenda i suoi viticci a quella; e, mescolando i loro deboli steli e le loro foglie poco diverse, si tiravan giù, pure a vicenda, come accade spesso ai deboli che si prendon l’uno con l’altro per appoggio. Il rovo era per tutto; andava da una pianta all’altra, saliva, scendeva, ripiegava i rami o gli stendeva, secondo gli riuscisse; e, attraversato davanti al limitare stesso, pareva che fosse lì per contrastare il passo, anche al padrone.

Ma questo non si curava d’entrare in una tal vigna; e forse non istette tanto a guardarla, quanto noi a farne questo po’ di schizzo.

 

DA : https://it.wikisource.org/wiki/I_promessi_sposi_(1840)/Capitolo_XXXIII

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  1. DONATELLA scrive:

    Tasso Barbasso, come si può facilmente intuire, è decisamente un pacifista: lascia crescere vicino a se’ altre erbe e non ha mai tentato di invadere il campo altrui. Offre accoglienza ad insetti e piccoli uccelli, che ormai lo chiamano famigliarmente “Zio Barba”. E’ rispettato nel suo entourage e sappiamo da altri ( lui non lo direbbe mai per modestia) che riesce a fare da paciere tra erbe particolarmente aggressive, come Gramigna e Ortica. Mantiene una corrispondenza amichevole e fraterna con Mirto, Basilico e Menta. Nella sua adolescenza ha avuto una passione travolgente per Salvia, che non sappiamo se l’abbia mai corrisposto

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