[audio:https://www.neldeliriononeromaisola.it/wp-content/uploads/2013/07/09-Niño.mp3|titles=09 Niño]
poeta nero di lingua francese (Guayana Francese 1912-Washington 1978). A Parigi, dove studiò diritto, fondò, con Césaire e Senghor, il movimento della négritude. Ex deputato della Guayana, autore di un rapporto sulla colonizzazione nel suo Paese (Retour de Guyane, 1939), insegnò letteratura africana all’Università di Harvard (USA). In Pigments (1937) Damas ritrova il ritmo delle danze afro-americane in una poesia semplice e diretta in cui l’ironia nasconde l’emozione; in Veillées noires (Veglie negre) e in Poèmes nègres sur des airs africains egli traspone il folclore delle Antille e d’Africa. Dopo le delicate poesie d’amore di Graffiti (1952), Damas si allinea, con Black Label (1956) alla corrente militante della letteratura negra. Tra le altre opere: Névralgies (1966).
testo originale in seguito
TITOLO (TAGLIATO): ILS ONT
(entrambi i testi da: “Poemi dalla Negritudine”, Modu Modu editore 2013—da un immigrato africano che lo vendeva, insieme ad altri libri, a piazza Duomo a maggio)
chiara:
“loro hanno
loro hanno saputo così bene fare
saputo così bene fare le cose
le cose
che un giorno noi abbiamo mandato
abbiamo mandato tutto a farsi fottere di noi stessi
tutto a farsi fottere di noi stessi“.
HO VISTO QUESTA REAZIONE PSICHICA
non solo in me stessa
ma in altri malati mentali
in altre donne
in dipendenti
l’ho vista in Brasile
in persone che dal nord venivano a lavorare a San Paulo otto ore al giorno–– dopo quattro/cinque di pullman all’andata e altrettanti al ritorno—-
(una ragazza così andava a stirare e legava la figlia piccola tutto il giorno, perché temeva si facesse male senza che lei potesse accudirla)
l’ho vista in tante ragazze che venivano sempre dal nord del Brasile (il nostro sud)
impiegandosi nelle case, abitando nelle case ferie comprese, non sapendo dove andare
a volte con bambini piccoli ( se la padrona accettava)
che in genere non riuscivano a stare in un posto più di un mese, pur ben trattate e rispettate (come a casa mia) perché dovevano sempre cambiare, andare a sbattersi di qui e di là, contro ogni loro interesse di sopravvivenza…
nel malato mentale, questa reazione significa, in extremis, “suicidio” o tentativo di o “desiderio-pensiero di”…
e i “cari parenti” non sanno affatto quante volte sono loro a dettarla…
ma anche rifiuto delle medicine o, addirittura, “impossibilità a” prendere le medicine se queste lo curano davvero o, anche a fare una psicoterapia…
perché:
(non ho detto una cosa fondamentale che è questa):
se qualcuno ti maltratta o tratta male (la differenza puo’ essere sottile) – d’accordo sei tu che senti, ma la realtà esiste, boia faust! –
ti prende – a me prende –
una “vergogna” inesprimibile,
ti chiedi, magari a settantanni, magari agli ottanta come a venti:
” ma cosa ho mai fatto per subire un’umiliazione di tutto il mio essere”?
E francamente non riesci a risponderti.
E’ sempre lo stesso processo mentale di cui parlo, anche se lo giro da più angoli:
” se ti attaccano, attaccano anche l’immagine, più o meno degna, che hai di te, diciamo un’immagine semplice, senza particolari brillii, “con cui poterci vivere”
in alcuni casi possono addirittura “buttarla a terra”, e – se ne rimani privo- la tua angoscia è letteralmente insostenibile.
oppure, possono intaccarla: qui chi soffre, se accettate il linguaggio freudiano, è la nostra immagine ideale, quella che racchiude i nostri valori (anche se magari siamo capaci di riconoscerli, in noi reali, in grado minore), tutta la nostra dignità e, perché no, tutto il nostro orgoglio che ci viene dal combaciare nella vita- nel nostro vero essere, almeno in parte, con i nostri valori…
da qui nasce un senso di indegnità e anche un senso di ingiustizia, specie se sappiamo – piccolo o grande che sia – il nostro “valore”, quello che magari abbiamo raggiunto in tutta la vita “tentando di passare muri con in cima i cocci di bottiglia”…
E ti ergi – letteralmente – nel tuo essere : “ma con che diritto… come osano?”
E sai, li vedi nitidamente, che sono dei miserabili:
ma sono FORTI:
più forti di un malato mentale e di una donna, di un lavorante e di un suddito…proprio forse perché principi veri non ne hanno, fuori la loro retorica che è sempre smagliante e logorroica—oltre che falsa (un tempo di parlava di “falsa coscienza”…do you remember?)
Comunque sia: tu, con il tuo senso del tuo valore di persona, cosa fai?
chiara non lo sa. E voi?
Comunque sia, un’altra delle possibili conseguenze di questa umiliazione di te stesso è, a volte, “non poter guarire”: no alle medicine, no alla terapia, no a tutto, se dubito che mi faccia star bene.
perché, ragazzi, nella nostra ideologia occidentale, “l’umiliazione si espia, la colpa (colpa rispetto alla nostra immagine ideale, non rispetto agli altri) si paga”…ai tempi di Lutero con denaro sonante, oggi chissà? Ma le brave persone, oneste davanti a loro stesse, loro la pagano in termini di vita, anche di tutta se necessario.
La mia storia di malata, la mia guarigione (a parte una fragilità allo stress che aumenta con gli anni) è stata così dura, ho dovuto lottare così tanto, proprio come si dice, “con le unghie e con i denti” perché appartenevo a quei malati “che non possono guarire perché indegni come sono di vivere, devono passare la vita ad espiare”. (le cause, un’altra volta; io lo scrivevo nei diari, è lì ancora)
Ma, oltre che parenti, possono anche essere medici infermieri e badanti a…”fare del bene”:
il mio primo ricovero in Brasile è stato deciso e attuato proprio da me (che tanta paura mi ero fatta negli ospedali e cliniche italiane, ma piu’ che altro per “come” ero stata ricoverata- dalla polizia e legata per tre ore – già detto varie volte)
A San Paulo, i parenti mi avevano messo in casa due infermiere, una di giorno e una di notte, una “mi curava” (senza strumenti se non la cosiddetta “umanità”…quella che lastrica l’inferno…) dicendomi che, per uscire da quella crisi,– tanto per dire- dovevo andare a destra, e l’altra alla notte mi diceva: “a sinistra”…Dopo una settimana, ho avuto (io) una reazione sana (direi l’unica della “troupe”!) perché ho chiesto all’infermiera di giorno di essere portata all’ospedale tal dei tali dove lavorava lo psichiatra chiamato dai parenti ecc.ecc….avevo un tennis alto rosso e bianco…uno stecco…”elegante!”
—infatti, tu, parente, che sei sempre “pronto a fare il bene del povero cristo di turno”, come li controlli, nel suo dire, un’infermiera-e/ o un badante? Chiunque cui affidi il tuo malato? Ti fidi del parere medico o delle conoscenze, ma poi…non sei lì.
E poi ancora:
le donne! (è la realtà che è lunga questa volta, non io, caro Nemo-telegramma)
Troppi troppi casi ho visto, oltre sempre a me stessa.
Il fatto è che se ti maltrattano e hai paura di reagire “appropriatamente”,
o non sai come,
non hai mai imparato ad aver a che fare con la tua aggressività…
+++ l’aggressività, così come l’amore, la cattiveria, la distruttività…è energia che da qualche parte deve andare:
o sei in grado di rimbalzarla su chi ti opprime o, anche, su un altro malcapitato più debole di te, di solito il figlio se bambino –
oppure…anche ammessa l’entropia…metti pure che un po’ si volatilizzi!!…
l’altra, che è in te, se non vuoi scoppiare come una pentola a pressione, te la devi ingoiare e scaricare
ma su di te:
“abbiamo mandato tutto a farsi fottere di noi stessi
tutto a farsi fottere di noi stessi”
Le conseguenze le sapete: dalle malattie cosiddette psicosomatiche / a gente — che “vanno a male” (sono donne in genere, ma conosco anche uomini, alcuni li vedo ogni giorno per strada : bevono, droghe, oppure diventano obese (sono di più le donne) o magrissime…oggi la bulimia e l’anoressia da tanti psichiatri è considerata una malattia mentale grave (psicosi)…tante forme di “suicidio lento o lentissimo” tra cui il fumo… un suicidio lento ma sistematico del tipo: “nullae dies sine linea”, non sprechiamo neanche un giorno…di vita!
Oppure “mandiamo tutto a farsi fottere di noi stessi”:
smettendo di lottare per quello in cui crediamo, a partire da quell’elementare valore che abbiamo imparato da bambini, da giovani e che era/sarebbe: “lasciamo il giardino che abbiamo trovato con meno erbacce almeno piantiamoci qualcosa che dia frutto nel tempo, perché questa è la nostra vera eternità”.
(domanda: come mai non mi è uscito “è”, invece di solo “era/sarebbe? I veri sintomi si rivelano da minuscoli dettagli, se non sempre, molto spesso, almeno nel mondo della mente. Lascio a voi interpretare!)
Abbiamo cosi’ tanto tempo davanti a noi, a noi settantenni, che altro verrà alla mente… e il resto, oggi e negli anni, lo direte voi…ciao, ‘notte