DANIELE GIGLIOLI, ALL’ORDINE DEL GIORNO E’ IL TERRORE. I cattivi pensieri delle democrazia. iL SAGGIATORE, 2018

 

 

 

Daniele Giglioli

All’ordine del giorno è il terrore

I cattivi pensieri della democrazia

Il Saggiatore, 2018

 

 

Dacci oggi il terrore quotidiano. Il terrore che è il rovescio della democrazia, il suo doppio segreto e insostituibile, il suo miglior nemico. Perché nulla come il terrore genera assetti politici, suscita desideri, costruisce identità e immaginario. Guerriglieri, folli isolati e fanatici religiosi; regimi autoritari che praticano la violenza di Stato e regimi democratici che ordinano bombardamenti o torture; aerei dirottati, camion dirottati, spari all’impazzata nei luoghi pubblici: sono il metronomo del presente, la mitologia giornaliera di una specie che si nutre di simboli come quella umana. Eppure nessuno si definisce terrorista: il terrorismo è sempre la violenza dell’altro. Eppure nessuna definizione permette di carpire la natura del terrore, perché non bastano la morte o la paura a distinguerlo da altre forme di violenza, e non basta il suo intento prettamente comunicativo, se è vero che in ogni violenza politica la vittima è il messaggio. 

Al centro del terrore c’è un vuoto, pronto a ricevere da noi impotenza e paura, violenza e desiderio, per restituire immaginario, identità e fantasmi. In una parola: mito. La letteratura cala i personaggi in quel vuoto. Non spiega cos’è o come funziona: ci mostra cosa succede ad abitarlo. Non chiarisce com’è fatto il terrore ma ci permette di profanare la sua sacralità, di farne esperienza lasciandoci indossare i panni del mostro. È quello che fanno gli autori attorno a cui si snoda All’ordine del giorno è il terrore, da Artaud a Ballard, da Dostoevskij a Updike, da Sade a Ellroy.

Attraverso i loro testi, Daniele Giglioli decostruisce la più potente macchina narrativa contemporanea, mostrando come tra i suoi fumi sulfurei si celi l’impotenza del soggetto moderno, la fragilità dei nessi sociali, l’estromissione dell’individuo dalla sfera pubblica. Il terrorista è uno di noi: uno spettatore, un escluso. Questo sembra dirci il killer per caso, l’emarginato Oswald in Libra di Don DeLillo, finalmente inquadrato dalla telecamera nel momento della morte: «Requisito nel cielo senza atmosfera della gloria mediatica, il suo quarto d’ora di celebrità durerà in eterno».

 

 

recensione:

 

IL MANIFESTO 11 NOVEMBRE 2018
https://ilmanifesto.it/la-letteratura-convocata-per-decifrare-i-paradossi-della-violenza-politica

 

 

ALIAS DOMENICA

La letteratura convocata per decifrare i paradossi della violenza politica

 

SAGGI. Arricchito da una lunga postfazione che ne sottolinea i motivi di fondo – il terrorismo come forma tangibile delle inadempienze nelle democrazie moderne, il terrorista come immagine deformata e speculare […]

 

La letteratura convocata per decifrare i paradossi della violenza politica

Londra, attentato, 1940

 

— vedi al fondo

 

 

Arricchito da una lunga postfazione che ne sottolinea i motivi di fondo – il terrorismo come forma tangibile delle inadempienze nelle democrazie moderne,il terrorista come immagine deformata e speculare dell’abitante tipico dell’Occidente, l’assoluta modernità del fenomeno in quanto elemento costituente della forme di vita associativa, e delle sue mancanze – torna in libreria, cambiando editore, il saggio che Daniele Giglioli aveva pubblicato nel 2007 da Bompiani, All’ordine del giorno  è il terrore I cattivi pensieri della democrazia (Il Saggiatore, pp. 269, euro 22,00).

L’autore vi aggiunge ora una importante riflessione sulla funzione eversiva che, nel cuore delle democrazie occidentali, sembra essersi potenziata nel nome della «gente che non ne può più».

Mettendo a servizio del tema di fondo, ovvero il terrorismo come alterità sviluppata all’interno della democrazia che se ne pretendere separata, le sue notevoli conoscenze sociologico-letterarie, e utilizzando le citazioni in modo da farvi convergere precipitati di senso da cui rilanciare ogni volta le sue tesi, Giglioli amplia continuamente il tema, chiamando in causa la letteratura perché funzioni da spunto di riflessione sull’indagine sociologica, di decifrazione sintomatica di ciò che la sociologia non riesce più a esprimere.

Se è vero che si leggono spesso, in questi tempi di indignazione tanto moralistica quanto impotente, lamentazioni sulla mancanza di intellettuali in grado di indagare quanto sta accadendo, i saggi di Giglioli contribuiscono a rendere l’accusa infondata.

Certo, non è lecito aspettarsi soluzioni immediatamente consumabili sul piano politico, perché ogni risposta seria implica la presa di coscienza dell’atomizzazione (avrebbe detto Lukács) che ci riguarda, vale a dire della disconnessione di quel tessuto sociale da cui far partire una risposta collettiva. Sulla scia di Hannah Arendt, proprio questa atomizzazione viene letta da Giglioli come uno tra gli elementi al tempo stesso fondativi del terrorismo e essenziali all’efficacia del Terrore.

L’estrema personalizzazione e individualizzazione delle nostre esistenze, la promessa implicita di un surplus di libertà nello scollegarsi di ciascuno di noi dall’insieme sociale, rivela in realtà una grande dipendenza dai fenomeni collettivi e la coscienza di quanto l’individuo sia impossibilitato ad agire e a determinare il corso del reale.

Il Terrore, le cui manifestazioni Giglioli segue sia dal punto di vista storico che letterario, partendo dalla Rivoluzione Francese e arrivando agli attentati del nuovo secolo, viene da sempre rappresentato come un territorio altro (selvaggio, ostile, orientalizzato), ma la macchina totalizzante che quel territorio rappresentava (i totalitarismi del XX° secolo) e tutt’ora rappresenta (il terrorismo islamico) contiene in sé l’idea di una possibile azione individuale che è affine a quella offerta dalle democrazie occidentali.

Gli scritti di Furio Jesi, che Giglioli cita, rimandano al Terrore come macchina mitologica impegnata nel tentativo di soddisfare un bisogno evaso dalla democrazia; resta però il fatto che i singoli non riescono a emanciparsi da quella autoreferenzialità che ne denuncia l’impotenza, vale a dire la mancata efficacia sul piano politico della prassi collettiva (interessanti a questo proposito i paralleli che il libro stabilisce con l’avanguardia artistica).
Il soggetto del Terrore, dice altrove Giglioli, caduto in uno stato di minorità, «sogna» di farsi altro rispetto al sistema cui si oppone, ma paradossalmente funziona da cartina di tornasole del sistema stesso, di cui condivide, sebbene rovesciandole, le strategie coercitive, a cominciare dalla negazione di un rapporto conoscitivo con la totalità del reale.

 

 

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MINIMA MORALIA, 21 GIUGNO 2022 –

UN’ESTRATTO DAL LIBRO DI MIMMI CANGIANO:

CULTURA DI DESTRA E SOCIETA’ DI MASSA

NOTTETEMPO, 2022

 

 

Pubblichiamo un estratto dal libro Cultura di destra e società di massa Europa 1870-1939, di Mimmo Cangiano, uscito per nottetempo: ringraziamo autore e editore.

di Mimmo Cangiano

Un caso emblematico dello sviluppo di tali direttive culturali è quello rappresentato da Knut Hamsun. Il norvegese, già grazie a un viaggio negli Stati Uniti nel 1882 (poi descritto nel volume del 1890 La vita culturale dell’America moderna), comincia a riflettere, descrivendo la vita dei suoi compatrioti emigrati in Wisconsin, su una serie di tematiche che formeranno l’ossatura (in Francia, come in Germania e in Italia) di questa temperie culturale. Romanticamente convinto dell’esistenza di un carattere individualizzante dei popoli, Hamsun registra come, nelle città americane, la perdita di tale carattere vada all’unisono con lo sviluppo dell’individualismo che infrange i legami fra i norvegesi emigrati. Se tale immagine degli Stati Uniti sarà, come vedremo, un tratto caratteristico di questo orizzonte culturale, Hamsun, rientrato in Europa, passa però anche a contrapporre sistematicamente la vita rurale ancora intatta in Norvegia (non devastata dall’industrializzazione) a ciò che ha visto nelle grandi metropoli europee, scorgendo i tratti dell’emergere di una ragione strumentale che egli assegna all’elemento europeo più direttamente collegato (razzialmente e socialmente) a quanto visto negli Stati Uniti: l’inglese.

In Au pays de contes, per esempio, vediamo un inglese che, quando la carrozza su cui viaggia investe una bambina lasciandola quasi moribonda, risulta preoccupato (guarda insistentemente l’orologio) solo per il tempo perduto. Vediamo qui già emergere quel tratto, tipico delle concezioni di questo posizionamento intellettuale (Sombart, Malaparte ecc.), che assegna i tratti pertinenti dell’universalismo capitalistico a una specifica nazione o etnia.

Negli anni successivi, mentre lo sviluppo industriale avanza nella stessa Norvegia, Hamsun insisterà, conseguenzialmente, sulla mutazione di paesaggio e caratteri che l’attività capitalista crea, infrangendo (come già visto in Hofmannsthal) quella corrispondenza valoriale che teneva uniti aristocrazia e popolo, e spaccando l’unità della Gemeinschaft lungo due linee di lotta: borghesia vs aristocrazia e proletariato vs borghesia (La Ville de Segelfoss).

Ciò conduce al propagarsi di una concezione materialistica dell’esistenza e, da copione, al dissolversi delle certezze valoriali nel quadro della scomparsa dello stesso paternalismo nobiliare. Il valore non riposa più infatti sulla tradizione condivisa, ma viene deciso dai nuovi strumenti nelle mani della borghesia avanzante e del nuovo, sradicato, proletariato: Parlamento e denaro.

Come sempre, dunque, il nuovo sistema economico non distrugge solo la comunità, ma anche la Kultur a questa sottesa. In uno dei suoi romanzi più celebri, Il risveglio della terra (1917), per esempio, l’abbandono delle attività agricole a favore dell’apertura di una miniera di rame, e il conseguente decadimento dell’aristocrazia locale, portano certo alla decadenza della stessa comunità, ma questo tracollo introduce anche un nichilismo valoriale che condurrà Barbro Olsen a uccidere il figlio al semplice scopo di semplificare la propria vita. In tribunale Barbro sarà per l’appunto difesa da un’attivista per i diritti delle donne, cioè da colei che Hamsun considera un’agente della dissoluzione razionalistica della comunità (e della Kultur) nell’ottica dell’ingresso della modernità. Di fronte al gesto di Barbro quello di Inger, che uccide il figlio in quanto marchiato dal suo stesso labbro leporino, è infatti giustificabile, perché direttamente collegato al sistema tradizionale di credenze.

Gli elementi osservati rapidamente in Hamsun ricompaiono costantemente in un ampio numero di intellettuali europei attivi fra il 1880 e il 1914.

In Francia, dove il processo industriale si è sviluppato su un lungo arco temporale (e dove la borghesia ha saldamente le redini dello Stato), la critica si concentra sulla funzionalità dello stesso Stato democratico, supposto custode di interessi polarizzati (non generalizzati), lontano dal senso di comunità che caratterizza la nazione, complice delle spinte disgregatrici che provengono dalle classi inferiori. Tali tematiche si inseriscono poi in un contenitore culturale generalizzante, quello della decadenza (anche demografica) della nazione, che trova una supposta conferma nell’incapacità di recuperare Alsazia e Lorena (revanscismo).

La decadenza – come spesso avviene nel pensiero Kulturkritik – viene interpretata, secondo un principio platonico-romantico (lo stesso visto in Hofmannsthal), come allontanamento dal carattere vero della nazione stessa. Il nazionalismo di Barrès, per esempio, mira a esaltare le consuete virtù di radicamento e continuità proprio attraverso una continua valorizzazione della tradizione e dei simboli nazionali. Barrès inserisce però i già citati temi romantici all’interno di un contenitore determinista che li adatta alla nuova società di massa mediante la legittimazione scientifico-positivista. La visione della Francia come unità spirituale si inserisce nel mito di un persistente carattere popolare che determina, biologicamente e culturalmente, il patrimonio spirituale della generazione in corso (“la razza […] esercita il proprio dominio sui viventi con la mediazione dei morti”).

La fedeltà alla terra è dunque fedeltà alla persistenza della tradizione passata che governa l’individuo stesso, facendone un momento dell’evoluzione dell’intera collettività nazionale, che viene così salvaguardata da quella disconnessione introdotta dall’azione cosmopolita e disgregante di capitalismo e ideali democratici.

In consonanza con Le Bon, secondo cui i defunti controllano il campo dell’inconscio dei viventi, Barrès riscopre il fondamento dell’individualità all’interno dell’essere-sociale che la determina, quello comunitario, dove dominano gli istinti della tradizione e dell’ereditarietà, perché, come scrive l’antropologo antisemita Vacher de Lapouge nel volume L’Aryen, “a questa potenza infinita degli avi l’uomo non può non essere sottomesso”.

I tre romanzi del ciclo Le Culte du moi (e in particolare Sous l’œil des barbares del 1888) raccontano appunto l’allegorico passaggio dal culto individualistico giovanile alla coscienza di un’individualità concresciuta sul modello degli antenati, e reiterata in quella concrezione della Kultur che sono i monumenti, i costumi locali, il linguaggio, vale a dire concrezioni socio-simboliche che preservano i legami sociali esistenti:

“Siamo il prodotto di una collettività che parla dentro di noi”. La Kultur, naturalmente, non è un puro mito del passato, ma è invece, al tempo stesso, ciò che si era, si è, si deve tornare a essere, come è anche la concretizzazione collettivizzata del Sé ora a rischio di perdersi nell’individualismo a-valoriale. Questo Sé, appunto per evitare tale rischio, deve allontanare tutto ciò che è straniero, come l’esempio della Lorena, che resiste alla germanizzazione imposta, illustra. La necessità del progetto comunitario su base identitaria richiede cioè la definizione di ciò che è straniero all’identità stessa, e dunque estraneo alla comunità e tendenzialmente pericoloso per questa.

 

 

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1 risposta a DANIELE GIGLIOLI, ALL’ORDINE DEL GIORNO E’ IL TERRORE. I cattivi pensieri delle democrazia. iL SAGGIATORE, 2018

  1. Chiara Salvini scrive:

    chiara, per quanto difficle sembri – e sia- seguire questi autori, Cangiano e Giglioli, dopo un po’ ti sembra di intuire qualcosa del mondo di oggi che a te sembra così assurdo e inspiegabile. Certo bisognerebbe almeno rileggere, ma la pigrizia parla più forte.

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