WARSAN SHIRE ( Nairobi, 1988 ) : la sua poesia ” Home ” ( casa ) ha la forza di risvegliare in chi legge l’esperienza vissuta dagli emigrati –da link varii —

 

 

la trovi su Twitter al suo nome

 

Il poeta Warsan Shire scrive principalmente dell'esperienza degli immigrati, ma twitta anche sui reality.Il poeta Warsan Shire scrive principalmente dell’esperienza degli immigrati, ma twitta anche sui reality. FOTOGRAFIA DI CREDITO DI AMAAL SAID

 

 

Una giovane poetessa keniana Warsan,

nata da genitori somali in fuga dalla guerra civile,

scrive:

 

 

WARSAN SHIRE  :

Home

 

 

nessuno lascia casa a meno / che casa non sia la bocca di uno squalo.
solo si fugge verso il confine / al vedere la città / intera fuggire.
i tuoi vicini che corrono più veloci / di te, il ragazzo con cui andasti a scuola / che ti baciò vertiginosamente dietro / la vecchia ferriera / carico di un fucile più grande del suo corpo, / solo si lascia casa / quando è la casa a non lasciarti restare.
nessuno lascia casa a meno che non sia la casa / a cacciarti, fuoco sotto i piedi, / sangue caldo nella pancia.
non è qualcosa che avresti mai pensato / di fare, e pur facendolo – / hai conservato l’inno a portata di respiro, / aspettando di essere nel bagno di un aeroporto / per fare a pezzi il passaporto inghiottendo, / ogni boccone di carta mette in chiaro che / non saresti tornata indietro.
capisci, / nessuno affida i propri bambini ad una barca / a meno che l’acqua non sia più sicura della terra.
chi sceglierebbe di passare giorni / e notti nel ventre di un camion / a meno che il tragitto percorso / significhi più di un viaggio.
nessuno sceglierebbe di strisciare sotto recinti / essere picchiata fin quando la tua ombra non ti abbandona, / violentata, annegata, costretta al fondo / della barca per il colore della pelle, esser venduta, / ridotta alla fame, venir sparata alla frontiera come un animale ferito, / essere compatita, perdere il proprio nome, perdere la propria famiglia, / chiamare casa un campo profughi per un anno, o due, o dieci, / spogliata e perquisita, in prigione ovunque / e se sopravvivi venire accolta dall’altra parte / con andatevene a casa neri, rifugiati / sporchi immigrati, richiedenti asilo / parassiti / scuri, con le mani pendule / odorano strano, di selvaggio – / guarda cosa hanno fatto dei loro Paesi, / cosa faranno al nostro?
il disprezzo negli sguardi per strada / più lieve rispetto ad un arto strappato, / l’umiliazione quotidiana / più dolce di quattordici uomini che / assomigliano a tuo padre, tra / le tue gambe, gli insulti più facili da inghiottire / che le macerie, che il corpo del tuo bambino / a pezzi – per ora, dimentica l’orgoglio / sopravvivere è più importante.
voglio andare a casa, ma casa è la bocca di uno squalo / casa è una canna di pistola / e nessuno lascerebbe casa / a meno che non sia la casa a cacciarti a riva / a meno che la casa stessa ti dica / di lasciare dietro di te ciò che non puoi, / anche fosse umano.
nessuno lascia casa finché casa / non diventa una voce angosciosa all’orecchio che dice / parti, scappa da me adesso, non so cosa / sono diventata.

Nessuno lascia la casa a meno che la casa non sia la bocca di uno squalo /
Scappi al confine solo quando vedi tutti gli altri scappare / I tuoi vicini corrono più veloci di te / il fiato insanguinato in gola /
Devi capire che nessuno mette i figli su una barca / A meno che l’acqua non sia più sicura della terra /
Nessuno si brucia i palmi sotto i treni / Sotto le carrozze /
Nessuno passa giorni e notti nel ventre di un camion nutrendosi di carta di giornale / A meno che le miglia percorse non siano più di un semplice viaggio /
Nessuno striscia sotto i reticolati / Nessuno vuole essere picchiato / compatito / Nessuno sceglie campi di rifugiati o perquisizioni a nudo che ti lasciano il corpo dolorante / Né la prigione. […]
Nessuno ce la può fare / Nessuno può sopportarlo / Nessuna pelle può essere tanto resistente […]
Voglio tornare a casa, ma casa mia è la bocca di uno squalo /
Casa mia è la canna di un fucile / E nessuno lascerebbe la casa /
A meno che non sia la casa a spingerti verso il mare /
A meno che non sia la casa a dirti / Di affrettare il passo / Lasciarti dietro i vestiti / Strisciare nel deserto / Attraversare gli oceani.
Annega / Salvati / Fai la fame/
Chiedi l’elemosina, Dimentica l’orgoglio.
È più importante che tu sopravviva […]

 

La versione originale di “Home”, in inglese e nell’ultima versione dell’autrice, è QUI (pdf).

da :

Ieri [7 febbraio 2017] “WOTS – Walking on the South” ne ha pubblicato la traduzione che ne abbiamo fatto Tina Magazzini ed io.
E’ un testo lacerante, ma che vi consiglio di leggere con attenzione.

“Home”, la poesia di Warsan Shire tradotta in italiano

 

 

L’AUTRICE

 

Nata a Nairobi in Kenya nel 1988 da genitori somali  in seguito migrati a Londra e in fuga dalla guerra civile, la poetessa afro-britannica Warsan Shire non ha mai vissuto in prima persona il dramma dei viaggi della speranza, ma le parole della sua poesia più famosa, Home, sono diventate un simbolo, una chiave di lettura lucida e toccante delle storie dei rifugiati di questo secolo, quelli che varcano le frontiere ai confini del Messico così come le porte dell’Europa. Leggerla fa bene e allo stesso tempo fa male, risveglia le coscienze ma colpisce in pieno petto, e non a caso alcuni suoi versi sono stati citati anche per raccontare la strage del peschereccio affondato il 26 febbraio a Steccato di Cutro, in Calabria. Tragedia in cui hanno perso la vita 67 persone14 erano bambini.

“Nessuno mette i suoi figli su una barca a meno che l’acqua non sia più sicura della terra” scrive Shire, quasi a voler fugare il dubbio che si fa strada nella testa di ogni genitore che vive al di qua del confine, e non ha mai dovuto scegliere tra vita o morte, tra marchio a fuoco o fuga, tra possibilità di salvezza o schiavitù. Le parole della poetessa scuotono dentro più dei freddi bollettini diramati dalle ong (che stimano 26.000 morti in 10 anni nel Mediterraneo) perché danno voce a chi voce non ha e sono un proclama politico.

I versi di Home sono infatti nati da Conversation about home (at a deported centre), una serie di incontri dell’autrice con un gruppo di migranti africani che nel 2006 si erano rifugiati dentro l’edificio dell’ex ambasciata della Somalia a Roma. Il giorno prima del suo arrivo, un ragazzo si era gettato giù dal tetto. «Ho scritto la poesia per loro, per la mia famiglia, per chiunque abbia vissuto il dolore e il trauma in quel modo» ha dichiarato la poetessa.

Conoscere Warsan Shire è facile: sul web le sue letture impazzano ed è considerata una delle voci più influenti dei black british poets e della spoken word poetry. 

Nel 2015 viene citata dall’attore Benedict Cumberbatch in un video sui rifugiati siriani e nel 2016 viene notata anche dalla superstar Beyoncé, che dopo aver letto il suo primo libro di poesie (Teaching My Mother How to Give Birth) la chiama per partecipare al visual album Lemonade, dove compaiono anche la tennista Serena Williams e la modella Winnie Harlow.

 

 

IL LIBRO PUBBLICATO IN ITALIANO

 

 

 

Titolo: Benedici la figlia cresciuta da una voce nella testa
Autrice: Warsan Shire
Traduttrice: Paola Splendore
Fandango Libri, 2023

 

Lo scorso gennaio ha pubblicato la prima raccolta delle sue opere, Benedici la figlia cresciuta da una voce nella testa (Fandango, 16 euro, 149 pagine), in cui dà spazio a temi come l’immigrazione e l’adolescenza, i disturbi alimentari e i conflitti con la fede. “La poesia mi ha salvato la vita” si legge nella sintesi del libro.

Di certo, i suoi versi sanno penetrare nel profondo e hanno il potere di non lasciarci più indifferenti.

 

 

da :

 

La Svolta

https://www.lasvolta.it/6509/warsan-shire-la-poetessa-dei-migranti

 

 

 

QUATTRO POESIE DA POETARUM SILVAE  /link al fondo

 

 

Benedici la figlia brutta

Conosce a fondo la perdita.
Bambina evitata dai parenti,
sembrava legno scheggiato, odorava
di acqua di mare, richiamava
la sete, la guerra.

Neonata costretta a sciacquarsi la bocca con acqua
di rose, affumicata nell’uunsi per ogni
impurità che ha ereditato.

Tua figlia ne è piena.
I denti sono piccole colonie,
lo stomaco un’isola,
le cosce sono confini.

Pochi vorranno starsene sdraiati
a guardare il mondo che brucia
dalla stanza da letto.

La faccia di tua figlia è un piccolo tumulto,
le sue mani una guerra civile,
dietro ogni orecchio si nasconde un campo
di rifugiati, il suo corpo, un corpo sporcato
di brutte cose

ma Dio,
come lo porta bene
il mondo.
*

 

 


Mio padre, l’astronauta

 

Se la luna era l’Europa, mio padre era l’astronauta che morì
mentre andava sulla luna.
Mio padre, l’esploratore lunare mancato, accecato dallo
spazio. Mio padre, il cosmonauta nero, in delirio
per la sete. Mio padre che sentì la voce di Dio, chiara come
il richiamo alla preghiera, sospesa in quel deserto oscuro.
Mio padre con la tuta spaziale squarciata dal desiderio, che
avanzava vorticando nel vasto deserto.
Una notte, dopo che gli angeli avranno richiuso le ali,
potresti scorgere mio padre
che sfreccia nello spazio, il suo corpo trasportato dall’
assenza di gravità, il sangue che gli va alla testa,
le sue lacrime, grumi rosa viscosi, incapaci di cadere.
*

 

 

 

All’indietro

La poesia può cominciare con lui che entra all’indietro in una stanza.
Si toglie la giacca e resta seduto per il resto della vita,
è così che ti riportiamo indietro papà.
Posso farmi risalire il sangue dal naso, le formiche saltano in un buco
I nostri corpi diventano più piccoli, i miei seni scompaiono,
le tue guance si fanno morbide, i denti riaffondano nelle gengive.
Posso farci amare, basta che tu lo voglia.
Mozzagli le mani anche se solo una volta ci hanno toccato senza permesso,
Posso scrivere la poesia e farla scomparire.
Il patrigno risputa il liquore nel bicchiere,
Il corpo di mamma rotola all’indietro su per le scale, l’osso si rimette a posto,
forse terrà il bambino.
Forse andrà tutto bene, ragazzina?
Riscriverò tutta questa vita e questa volta ci sarà tanto amore,
che non riuscirai a vedere altro.

Non riuscirai a vedere altro,
Riscriverò tutta questa vita e questa volta ci sarà tanto amore,
Forse andrà tutto bene, ragazzina,
forse terrà il bambino.
Il corpo di mamma rotola indietro su per le scale, l’osso si rimette a posto,
Il patrigno risputa il liquore nel bicchiere.
Posso scrivere la poesia e farla scomparire,
mozzagli le mani se anche una volta sola ci hanno toccato senza permesso,
posso farci amare, basta che tu lo voglia.
Le tue guance si fanno morbide, i denti riaffondano nelle gengive
I nostri corpi diventano più piccoli, i miei seni scompaiono.
Posso farmi risalire il sangue dal naso, le formiche saltano in un buco.
è così che ti riportiamo indietro papà.
Si toglie la giacca e resta seduto per il resto della vita,

La poesia può cominciare con lui che entra all’indietro in una stanza.
*

 

 

Hooyo è andata via
da Idra Novey

 

Quando avevamo 5, 6 o 7 anni.
Quando la guerra nel nostro paese non finiva mai.
Mentre le nostre madri dormivano.
Mentre ci cacciavano i denti di latte giù per la gola.
Prima che Israfil increspasse le labbra e sospirasse.
Prima che le areole si spandessero come inchiostro.
Oltre la soffice polpa dei datteri.
Oltre lo specchio, qualcosa ci osserva.
Dopo che entrato di soppiatto nella stanza da letto.
Dopo che ti sei strappata quasi tutti i capelli.
Come madri che ci portano dagli esorcisti.
Come tentacoli che ci spuntano dalle gonne.
Mentre le statistiche dicono 1 ragazza su 3,1 ragazzo su 5.
Mentre il santone ci inonda di tahlil.
Quando il corpo ricorda, scalcia selvaggiamente.
Quando cerchiamo di guarire, l’odore fantasma ritorna.
Mentre sotto la doccia, hai una crisi di nervi.
Mentre ti lavi il corpo ti accorgi che non è il tuo.
E allo stesso tempo è l’unico corpo che hai.
*

 

 

*** nel link sotto, trovate un breve test letterario sull’autrice che è di 
Annachiara Atzei

 

 

Le poesie, meno la prima,  sono da:

poetarum silvae

Warsan Shire, “Benedici la figlia cresciuta da una voce nella testa” (a cura di Annachiara Atzei)

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1 risposta a WARSAN SHIRE ( Nairobi, 1988 ) : la sua poesia ” Home ” ( casa ) ha la forza di risvegliare in chi legge l’esperienza vissuta dagli emigrati –da link varii —

  1. DONATELLA scrive:

    Comunicare l’orrore vissuto e nello stesso tempo una via di fuga dall’odio: questo è forse il messaggio che ci colpisce al cuore, comunicandoci una possibilità di uscita dall’orrore di noi stessi e del mondo.

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