Si Mohand ( Icherɛiwen, 1848 circa – Aïn El Hammam, 28 dicembre 1905) è stato un poeta e filosofo berbero dell’Algeria (Cabilia).

 

Abbiamo trovato questo compositore e cantante  della Cabilia Mhenni Amroun  (At Amirouche) —

E’ nato il 3 dicembre 1938, è morto il 19 aprile 2012 nel villaggio di Ath ouizguane, nel comune di Bouzeguene, Wilaya di Tizi-ouzou (Algeria), età 74, lo abbiamo appreso da una fonte del villaggio. ( da un giornale )

 

 

 

La Cabilia (in berbero: ⵜⴰⵎⵓⵔⵜ ⵏ ⵍⴻⵇⴱⴰⵢⴻⵍ, Tamurt n Leqbayel; in arabo بلد القبائل?; in francese Kabylie) costituisce una regione geografica e culturale dell’Algeria, situata a est di Algeri e che si estende lungo la costa da Dellys fino oltre Béjaïa, comprendendo la catena montuosa del Djurdjura.

La regione si caratterizza per la composizione etno-linguistica della sua popolazione, per la stragrande maggioranza di etnia berbera e di lingua berbera cabila. Nelle città costiere vi sono antiche comunità di moriscos arabofoni.

Nell’antichità questa regione, dominata dal Mons Ferratus (l’odierno Djurdjura) era abitata dalle Quinque Gentes (“Cinque tribù”), ricordate per la loro insofferenza al potere di Roma e per le rivolte descritte da Aurelio Vittore (De Caesaribus 39.22: “nationes Quinquegentanae”) e da Eutropio (Breviarium ab Urbe condita, 9.22: “Quinquegentiani”).

Nonostante la relativa omogeneità della popolazione e della lingua, la Cabilia non ha una “personalità” amministrativa.
La Cabilia ebbe esistenza amministrativa durante la guerra d’Algeria, in quanto costituì la Wilaya III dell’organizzazione della resistenza.

segue : https://it.wikipedia.org/wiki/Cabilia

 

 

 

POESIE  ::  Si Mohand

 

 

Il suo seno mi ha stregato
balzando fuori dal corsetto:
fratelli, a momenti ne morivo.
Ha messo il rossetto alle labbra
che promessa di dolcezza
ma mi ha vietato di baciarla.
La figlia del capitano Ravez
mi ha in suo potere
ha giurato che non mi sposerò

 

 

 

Che gioia, cuore mio, che gioia
quando, piombata in mezzo alle danze,
I suoi seni son come mele
di muschio è il suo profumo
e i capelli son biondi come il mais.
Ourdia, stella del mattino,
se mi tirassi indietro sarei imperdonabile
questa notte caleranno i pantaloni.

 

 

Di’ alla ragazza dagli occhi verdi,
dal sopracciglio ben curato,
pernice rinchiusa nelle gabbie,
che mi ha gettato nel tormento,
con le sue ciglia aggraziate
e i seni puntati come pistole
quello che vorrei tanto è un caffè
da bere con lei
nella tazzina sotto la cintura…

 

 

Se penso a quand’ero un ragazzino:
mi manteneva il lavoro di mio padre;
Nekseb tiÌezza n Camlal avevamo buone terre a Chamlal22
oltre a quelle su in montagna
e promettevano un raccolto abbondante.
Ora mi puntello su una canna scricchiolante
e la mia sorte volge al peggio
Oh, i bei tempi andati di una volta!…

 

 

 

Eccomi qua, come un’aquila ferita
invischiato nella nebbia
in preda al pianto e alle lacrime.
Quando potevo ancora battere le ali,
ero il primo a partire
attraversando in volo monti e valli
ogni gioia mi ha lasciato
i galletti prendono a beccate il falco!

 

 

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Una presunta immagine Si Mohand. Secondo Abdesselam 2005, il poeta sarebbe il personaggio in piedi a sinistra, alto, con la barba bianca e l’inseparabile sacchetto con la pipa

 

 

Si Mohand U Mhand n At Hmadouch (Icherɛiwen1848 circa – Aïn El Hammam28 dicembre 1905) è stato un poeta berbero dell’Algeria (Cabilia).

 

Nato in una famiglia agiata, educato secondo gli studi islamici tradizionali (da qui il titolo Si, “dottore” che precede il suo nome), la sua vita fu segnata dalla repressione che seguì la rivolta del 1871 contro il potere coloniale francese. La durissima repressione che si abbatté sul paese lo privò di tutto. Il padre fu giustiziato, lo zio paterno (il religioso Arezki n At Hmadouch) fu esiliato in Nuova Caledonia e tutti i possedimenti di famiglia vennero confiscati. Piombato in miseria, invece di emigrare in Tunisia (come fecero la madre e i fratelli) preferì rimanere in patria, adattandosi ai lavori più umili, in un continuo vagabondare senza mai stabilirsi da qualche parte. I dati biografici sicuri sono pochi. In particolare, si ricordano una visita al pio marabutto sceicco Mohand ou-Lhocine, che diede luogo a una memorabile tenzone poetica tra i due, ed un viaggio a piedi fino a Tunisi, dove sembra sia stato ricevuto malvolentieri dalla famiglia dei fratelli. Morì di tubercolosi a 57 anni nell’ospedale S.te-Eugénie di Michelet.

Nel corso della sua vita errante compose infinite poesie in lingua berbera, che ben presto divennero conosciutissime e gli diedero una fama leggendaria. L’argomento delle poesie giovanili è soprattutto l’amore (che è rimasto anche nel suo repertorio dell’età più matura), ma quello che lo ha reso particolarmente amato dai conterranei è il tema dell’esilio e della perdita dei valori tradizionali in seguito al grande sovvertimento del colonialismo europeo.

Molti suoi versi sono diventati modi di dire affermati, e il suo grido a nerrez wal’a neknu (“mi spezzo ma non mi piego”) è stato ripreso nel 1945 da Mohand Idir Ait Amrane nel primo canto “berbero-nazionalista” Ekkr a mmi-s Umazigh (“sorgi, o figlio di Amazigh!”), e successivamente fu lo slogan della Primavera berbera del 1980, in cui per la prima volta la rivendicazione culturale e linguistica dei Berberi venne portata in piazza e affrontò una dura repressione.

Il metro preferito, nuovo rispetto alla poesia tradizionale, è l’asefru (pl. isefra), una sorta di breve sonetto, di tre strofe di tre versi ciascuna. Le rime seguono lo schema aab aab aab, mentre la lunghezza dei tre versi di ogni strofa è 7+5+7 sillabe.

 

La prima raccolta di poesie venne pubblicata nel 1904 da Boulifa, all’interno di un volume di poesie cabile, mentre il poeta era ancora vivo. Successivamente si ricordano le raccolte di Mouloud Feraoun (1960), di Mouloud Mammeri (1969) e di Younes Adli (2000).
In Italia, alcune sue poesie vennero tradotte (dal francese) da Rino Dal Sasso negli anni ’60 e da Domenico Canciani negli anni ’90. La prima grande raccolta di poesie tradotte in italiano (direttamente dal berbero e col testo a fronte) è di Vermondo Brugnatelli (2016).

 

«Mi spezzo ma non mi piego». La poesia di Si Mohanda Ou-Mhanda (1849-1905) - Vermondo Brugnatelli - copertina

2016

 

La romantica figura di Si Mohand ha ispirato anche un film, Si Mohand Ou M’hand, l’insoumis di Lyazid Khodja (2004), in lingua berbera, con Dahmane Aidrous, Fodhil Hamla, Hadjira Oulbachir, Taha el-Amiri, Djamila Amzal e Larbi Zekal.

 

testi in italiano:

  • CANCIANI Domenico (a cura di), 1991: Le parole negate dei figli di Amazigh. Poesia berbera tradizionale e contemporanea, Abano Terme, Ed. Piovan.

 

 

 

ALTRI VERSI

 

 

Questo secolo meschino
ha svilito il nostro valore
ed ogni giorno va sempre peggio.
Un tempo, quand’ero un cavaliere,
avevo rassicuranti ricchezze
ero di esempio per molti.
Adesso che il momento è sfavorevole,
e la mia fortuna dorme
subirò la prova fino in fondo.
Accetta questo mio consiglio, o tu che mi capisci
sii misurato con le parole
il mio male non lo rivelerò a nessuno.
È dura la vita in questo mondo
chi prospera tien stretto quello che ha
ahimè, quanti ne conosco!
hanno lasciato ogni speranza di felicità
ed è Dio che glie l’ha portata via

 

 

Il due di picche conta come l’asso
ricordàtelo, voi cui nulla sfugge
in questo mondo non c’è più posto per ciò che vale.
Perfino il merlo ghiotto di bacche
si permette di parlare
quando sente che il falco non c’è più.
Rinuncio a portare i pantaloni
ed a comporre poesie
finché questa vita non sarà finita.

 

 

Numerosissimi sono nelle poesie di Si Mohand gli accenni ad una “malattia” che lo mina e gli impedisce di gustare le gioie della vita. È trasparente la valenza metaforica di questa “malattia”; ciononostante, non è escluso che il poeta fosse affetto anche da reali problemi di salute, che peraltro non vengono mai specificati con chiarezza.  È interessante comunque notare come il poeta giochi abilmente su quest’ambiguità, permettendo in ogni caso una lettura allegorica, che ha fatto sentire vicino a lui intere generazioni di Cabili, che identificavano questa “malattia” con il malessere che li affliggeva di volta in
volta, sia sotto l’oppressione coloniale, sia nelle difficoltà dell’emigrazione, sia infine sotto i governi militari del dopo-indipendenza.

 

 

 

Potessi afferrare il Dispensatore come un cabilo
qualunque,
lasciarlo sotto la pioggia,
fargli passare la notte tra i torrenti!
Di parole me ne ha donate tante
non ha fatto economia
il suo servizio lo ha fatto
Ma la mia primavera fu senza fiori
ancora non l’ho goduta
e i miei giorni son già bell’e finiti

 

 

 

Giuro, da Tizi Ouzou
fino al colle dell’Akfadou
nessuno di quelli mi comanderà
mi spezzo ma non mi piego
preferisco essere un maledetto
là dove governano i ruffiani
L’emigrazione è il mio destino
per Dio, meglio l’esilio
che la legge dei porci.

 

 

Ecco, il mio cuore ha il fiato grosso
mentre giura, e non si smentirà,
che non abiterà più a Icheraiouen.
Quando i tempi erano belli
ho percorso tutti i suoi vicoli
e la gente ascoltava le mie parole.
Adesso che la vita mi ha afferrato
le prove si sono moltiplicate
ogni gioia per me se n’è andata: facciamola finita

 

nota : Icheraiouen è il paese dove è nato il poeta, si trova nel distretto di
Tizi Rached, in Cabilia

 

 

Nessuna descrizione della foto disponibile.

IL POETA ALGERINO

DAL FACEBOOK

Made in Tamazgha

 

 

Une mosquée d’architecture Kabyle située dans le village de Tala Amara dans la commune de Tizi Rached en Kabylie

 

 

fuori Wikipedia, i testi delle poesie e qualche piccola osservazione è presa da questo link:

sono lezioni trascritte in pdf di  VERMONDO BRUGNATELLI, a cui dobbiamo la prima grande raccolta di poesie tradotte in italiano (direttamente dal berbero e col testo a fronte) – editore L’Harmattan, 2016
http://www.brugnatelli.net/vermondo/didattica/bicocca/SiMohand.pdf

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