+++ SANDRO SPINSANTI, PREFAZIONE AL LIBRO DI LUCIANO FONTANA :  Di verità solo l’ombra. Storie di sanità pubblica, ed. Il Pensiero Scientifico, 2023)

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verità solo ombra

 

(Prefazione a: Luciano Fontana:Di verità solo l’ombra. Storie di sanità pubblicaed. Il Pensiero Scientifico, 2023– p.136)

Una raccolta di racconti, frutto dell’esperienza pluridecennale di un medico geriatra impegnato inizialmente in una RSA e poi in un pronto soccorso alla periferia di Milano.

Luoghi pieni di storie, pazienti che passano veloci, che è facile confondere come se fossero tutti la stessa persona e poi dimenticare. Per impedire questo, per “riconoscere l’essere umano tutte le volte che ce lo troviamo davanti”, l’autore fotografa quello che vede, con testi brevi, a volte brevissimi, scritti per rendere giustizia a quelle vite, ma anche per onorare l’impegno di chi in quei luoghi ci lavora ogni giorno.

I primi testi, ambientati in RSA, sono racconti di anziani, di fuga dalla vecchiaia, una specie di ribellione all’inesorabile declino della vita, imprevedibile e surreale: una finestra, una bolla di immaginazione, una rivoluzione, un viaggio nel tempo. Quindi l’ambientazione si sposta nel pronto soccorso di un ospedale, al confine con Milano, e alle storie dei pazienti si aggiungono storie di vita professionale che, a volte realisticamente, a volte in chiave immaginaria, ritraggono l’impegno dell’autore e la sua appassionata fedeltà alla dimensione pubblica della sanità.

Una sorta di misery report ironico, fantastico e commovente, scritto non dai pazienti, ma da chi “tutti i santi giorni prova a curare facendo i conti con i propri limiti e con gli ostacoli posti di fronte a una professione sempre più difficile da amare, ma anche da abbandonare”. ( Presentazione dell’Editore)

 

PREFAZIONE DI SANDRO PISANTI

 

La medicina ha dei conti in sospeso con la narrazione. Il più pesante ha a che fare con il modello di una medicina muta, che nel rapporto di cura fa a meno della parola, di quella detta come di quella ascoltata. L’archetipo è presente nell’Eneide di Virgilio. Il medico Iàpige, chiamato a curare Enea, ferito in battaglia, si dimostra incapace. La medicina che esercita è qualificata da Virgilio come muta ars (Eneide, XII, 396). Nonostante il suo massimo impegno, Iàpige non riesce a estrarre la freccia dall’eroe ferito, che scalpita per tornare a combattere. Dovrà intervenire la madre stessa di Enea, la dea Venere, cogliendo sul monte Ida, a Creta, l’erba appropriata; il liquido che ne estrae favorisce la miracolosa guarigione. Anche fuori dalla mitologia abbiamo conosciuto una pratica della medicina che riteneva la parola un’appendice superflua della cura. “Lei è in ospedale per guarire, non per far domande”: è la risposta che era solito dare un medico alle richieste dei malati di sapere qualcosa circa la loro malattia e la relativa prognosi. C’è stata un’epoca di medici silenti, anche se efficaci nella cura.

Oltre che dalla medicina che fa a meno della parola dobbiamo distanziarci anche dalla pratica che ha dato diritto di cittadinanza alle comunicazioni menzognere. A fin di bene, naturalmente; quando il medico – e i familiari del malato conniventi – riteneva che le informazioni veritiere potessero incidere negativamente sulla serenità del malato, da proteggere a ogni costo, era autorizzato a mettere in atto la congiura del silenzio o del nascondimento. Una prognosi grave o infausta poteva essere tenuta nascosta al malato o attenuata, dichiarava esplicitamente il Codice deontologico dei medici italiani, fino alla revisione del 1995. Di verità neppure l’ombra, si potrebbe dire parafrasando il titolo di questo libro.

Un libro che accogliamo con gioia, perché ci porta l’ennesima conferma che lo scenario della pratica medica è cambiato. La narrazione è considerata a pieno titolo parte della buona medicina. La cura stessa è vestita di parole e il curante non appare più autorevole se si avvolge nel silenzio. Ancor più: la “competenza comunicativa” – definita come “lo strumento fondamentale per acquisire, comprendere e integrare i diversi punti di vista di quanti intervengono nella malattia e nel processo di cura”:

è la definizione di Medicina Narrativa fornita dal documento prodotto dalla conferenza di consenso dell’Istituto Superiore di Sanità per identificare il suo ruolo in ambito clinico-assistenziale – è un elemento essenziale dello strumentario terapeutico dei nostri giorni, a complemento della “scienza e coscienza” del passato.

Oggi i bravi terapeuti ascoltano e parlano con coloro ai quali rivolgono le cure. E raccontano la loro professione. Non solo quando questa li porta a valicare le frontiere più audaci del progresso bio-medico, ma anche nella prosaica realtà quotidiana. Il dottor Luciano Fontana è consapevole di non avere conquiste stupefacenti da raccontare: non è di queste che è intessuta la sua pratica di geriatra, esercitata in un ospedale che non fa parte del circuito delle istituzioni sanitarie “stellate”. La sua narrazione non è finalizzata a farci spalancare la bocca per la meraviglia, ascoltando i progressi della tecnologia su cui fa leva la medicina. Serve anzitutto a lui stesso: per fargli consolidare un’identità nuova. Non più quella eroica di chi si orienta alla professione sanitaria per salvare vite, ma quella che nasce dalla scoperta che curare significa anche saper accompagnare chi procede faticosamente nella palude della cronicità, verso vette di età sempre più alte e più scivolose dal punto di vista dell’autogestione, ma con la volontà di conservare la propria dignità fino all’ultima soglia.

Un narrare che, oltre che al narrante, serve a chi presta orecchio, con interesse e rispetto, alla sua narrazione. Perché è un racconto che aiuta ad aprire gli occhi. Passando attraverso lo scanner della scienza medica, le nostre patologie acquistano un nome e, sperabilmente, dei rimedi appropriati. Ma non è tutto; forse non è neppure la parte più importante. Della verità – la verità piena – le cartelle cliniche riflettono solo l’ombra, ci assicura il dottor Fontana. Non ci parlano della persona in cura nella sua totalità e pienezza, delle sue emozioni, delle relazioni familiari soggette a strappi, di ciò che la spinge a volersi alzare sulla punta dei piedi o ad accasciarsi esausta. Ciò che il terapeuta scrive nella cartella non parla neppure della collocazione della persona nel tessuto sociale: di quanto si senta sostenuto o tradito dalla sanità pubblica, della precarietà della condizione di anziano in una società che cancella senza scrupoli chi rimane indietro nella corsa. Sì, certo: non siamo (ancora) nello scenario distopico immaginato da Stephen King nel romanzo La lunga marcia, in cui coloro che si iscrivono alla gara accettano la sfida mortale di venir eliminati con un colpo di fucile alla prima caduta o malore, sotto lo sguardo indifferente della società dello spettacolo. Ma la sensazione di non poter contare su una solidarietà diffusa raggela la nostra convivenza e colloca la medicina stessa in un contesto di competizione che incombe sugli svantaggiati.

È quanto mai opportuno che qualcuno ci aiuti a educare il nostro sguardo verso la verità piena, senza accontentarci della sua ombra. Anche se è quella autorevolmente offerta dalla scienza medica. Ci vuole coraggio per affermare che ciò che in grado di cogliere la pratica della medicina, caratterizzata da un riduzionismo sistemico, è solo una parte, e neppure quella decisiva, della salute. Poco più che un’ombra. Questo aiuto a raggiungere la piena consapevolezza ci viene offerto proprio dalla narrazione di un medico, ostinatamente orientato a considerare la cura un’impresa più ampia che fornire la guarigione di una patologia. E se per i successori di Iàpige del nostro tempo la risorsa prodigiosa che conferisce efficacia alla cura fosse proprio la parola, che scioglie la rigidità della muta ars?  Benvenga, allora, la narrazione, nelle sue diverse articolazioni, figlia della dea Cura, a pieno diritto.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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1 risposta a +++ SANDRO SPINSANTI, PREFAZIONE AL LIBRO DI LUCIANO FONTANA :  Di verità solo l’ombra. Storie di sanità pubblica, ed. Il Pensiero Scientifico, 2023)

  1. DONATELLA scrive:

    Se c’è qualcosa che non funziona nell’attuale medicina è proprio la parola: il più delle volte l’unica comunicazione tra medico e paziente ( parlo soprattutto della medicina di base) è la “ricetta”: sia il medico che il paziente sono consci che quel pezzo di carta è l’unica cosa che momentaneamente li unisce. Sicuramente non è responsabilità né dell’uno né dell’altro, ma il valore dei due soggetti ne esce tragicamente sminuito.

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