IL FATTO QUOTIDIANO DEL 2 AGOSTO 2023
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Vitalizi e stipendi: la Casta fa razzia dei ricchi sussidi
MALLOPPO – Oggi odg per aumentare le indennità dei deputati, dopo i regali a sindaci, ex senatori ed ex consiglieri regionali
DI LORENZO GIARELLI
“È per quelli come te che poi la gente va in strada a bruciare le bandiere”. Non parlate di “casta” a Giorgio Mulè, uno dei colonnelli di Forza Italia. A costo di ignorare l’aumento dei vitalizi, l’indennità aggiuntiva per i capigruppo, l’aumento degli stipendi dei sindaci e tutto il resto. Un netto dietrofront che nell’ultimo paio d’anni ha eroso pezzo dopo pezzo tutte quelle norme anti-spreco e anti-privilegi approvate sull’onda dell’indignazione.
Ieri, ospite a Omnibus, Mulè se l’è presa con Francesco Anfossi, giornalista di Famiglia Cristiana reo di aver invitato la maggioranza a “non far tornare la casta”, con particolare riferimento alla recente indennità extra da 1.269 euro al mese accordata dall’Ufficio di presidenza di Montecitorio ai presidenti dei gruppi, con fondi tolti dal finanziamento dei gruppi stessi.
Non certo un caso isolato, perché mentre si tira la cinghia da una parte (per esempio sforbiciando il Reddito di cittadinanza), la classe politica non ha alcuna voglia di mandare segnali di buon senso rinunciando anch’essa a qualcosa. Ne è prova quanto succederà oggi alla Camera, dove si deve approvare il bilancio.
Maurizio Lupi, leader di Noi Moderati, ha presentato un ordine del giorno (che vale come emendamento) per equiparare il trattamento economico dei deputati a quello dei senatori, con conseguente regalo da qualche centinaio di euro (oltre ai benefit) per gli onorevoli. I 5stelle presenteranno un testo per scongiurare variazioni delle indennità, se non al ribasso, ma per capire l’aria che tira basta ricordare quanto Mulè aveva promosso, per conto di FI: un “adeguamento periodico” delle indennità dei parlamentari, cancellando il blocco che da oltre 15 anni non le aggancia più a quelle dei presidenti di sezione della Corte di Cassazione: “Sulle indennità c’è grande ipocrisia – aveva detto Mulè al Fatto due settimane fa – oltre a un evidente problema giuridico. Se qualcuno facesse ricorso contro il mancato adeguamento e vincesse, i costi sarebbero enormi”.
LEGGI – Vitalizi, ora gli ex parlamentari imbavagliano il Parlamento
La proposta per il momento è superata e la destra, questa volta sponda FdI, presenterà un odg con cui giura di non voler aumentare i vitalizi alla Camera. Il perché è presto detto, visto cosa sta succedendo in Senato sul tema. Il mese scorso, il Consiglio di garanzia, composto da 5 ex senatori, ha votato per ripristinare gli assegni interi per i beneficiari di Palazzo Madama, annullando il taglio firmato da Maria Elisabetta Alberti Casellati nel 2018.
In fumo un risparmio teorico di oltre 20 milioni l’anno, per la gioia di tutti gli ex senatori compresi quelli condannati per reati gravi.
Nel 2015 l’allora presidente Pietro Grasso aveva ordinato che l’assegno fosse revocato a chi era stato riconosciuto colpevole in via definitiva a più di due anni per alcuni reati contro la Pubblica amministrazione o particolarmente gravi (fatti di mafia e terrorismo), ma nel 2021 gli organi di giustizia interna di Palazzo Madama sono tornati al vecchio regime, restituendo il denaro a Roberto Formigoni e agli altri ex senatori pregiudicati. Alla Camera, per adesso, va un po’ meglio, dato che durante la presidenza di Roberto Fico i tagli sono sopravvissuti (rimodulazioni a parte).
Finita qui? Macché. Mica solo in Parlamento c’è aria di restaurazione. Quasi tutte le Regioni, come consentito dalla legge nazionale, hanno appena approfittato dell’inflazione per alzare i vitalizi per gli ex consiglieri. Qualche Consiglio regionale ha avuto il buon gusto di approvare almeno aumenti limitati, altri, come la Liguria, hanno superato l’11 per cento. L’ultima notizia arriva dal Lazio, dove a seguito di ricorsi e sentenze la Regione ha preso atto che gli ex consiglieri pagavano troppe tasse sui vitalizi e perciò da adesso le trattenute saranno più leggere, facendo lievitare la somma netta incassata dai politici.
E ancora: grazie al governo Draghi, esultano pure i sindaci, le cui indennità sono state collegate a quelle dei presidenti delle rispettive Regioni, in maniera proporzionale al numero di abitanti della città. Niente male, anche perché a sua volta lo stipendio del sindaco si porta dietro quello degli assessori e, dall’anno prossimo, potrebbero pure essere ripristinate le Province, come a disegno di legge incardinato in commissione. Ergo: nuovi presidenti, nuove giunte, nuovi consiglieri. Fino al sogno di parecchi in Parlamento (FI in testa): tornare al caro vecchio finanziamento pubblico ai partiti, cesoiato dieci anni fa. Ma guai a chiamarla casta.
Sembra di essere tornati al tempo di Luigi XVI e di Maria Antonietta: che chi non ha pane mangi brioches. Attenzione a quello che è avvenuto dopo.