” Sul teatro ebraico- russo ” — ANTONIO ATTISANI, SOLOMON MICHOELS E VENIAMIN ZUSKIN –OPEN EDITION BOOKS.ORG, Accademia University Press

 

Solomon Michoels e Veniamin Zuskin

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Solomon Michoėls nel 1936, (  Dwinsk ( =  Daugavpils (Lettonia )16 marzo 1890 – Minsk1213 gennaio 1948) è stato un attore sovietico di etnia ebraica.
foto : w:Mosfilm

Il suo ruolo più noto, quello che lo fece passare alla storia, fu però quello di Re Lear nell’omonimo dramma di Shakespeare, di cui fornì un’interpretazione particolarmente drammatica.

 

Albert Einstein, il poeta yiddish Itsik Fefer e l’attore russo Salomon Michoels

 

SOLOMON MICHOELS E VENIAMIN ZUSKIN

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Antonio Attisani

 

1 Vite parallele, quelle di Solomon Michoels1 e Veniamin Zuskin,2 immerse nella speranza suscitata da un nuovo regime che per la prima volta nella storia riconosceva parità di diritti agli ebrei e che poi è precipitato nel terrore staliniano, peggiore persino di quello nazista. Il primo stato socialista del mondo attribuiva al lavoro culturale e artistico un ruolo fondamentale e gli ebrei progressisti contavano su questo presupposto anche per emanciparsi dal conservatorismo che caratterizzava gran parte della loro tradizione. Per quei giovani, moderni ma educati in un ambiente fortemente permeato dallo “spirito della musica”, l’arte e il teatro si incontravano ora con le istanze della rivoluzione e ciò appariva come la migliore opportunità che si potesse desiderare. Purtroppo l’utopia defluì nel giro di pochi anni in una violenta reazione opposta, destinata a seppellire sotto la pesante cappa del realismo socialista il critico, gioioso e trascendente grottesco del teatro yiddish, provocando uno scontro che volse in tragedia e si concluse con la morte di quasi tutti i protagonisti della cultura yiddish nella prima patria del socialismo realizzato. Perciò nel caso sovietico è bene cominciare dall’epilogo delle vicende personali.

 

Marc Chagall, Introduzione al teatro ebraico, 1920 (particolare) – tempera e caolino su tela, 284 x 787 cm – Galleria di Stato Tretjakov di Mosca © The State Tretyakov Gallery, Moscow, Russia © Chagall ®, by SIAE 2018

 

2 Dopo che la Rivoluzione d’Ottobre aveva spazzato via il vecchio mondo, le vocazioni e le scelte individuali si trovarono di fronte a un fatale bivio, nel regime autoritario, tra il conformismo e il cammino della conoscenza, conoscenza che secondo quanto i Nostri avevano appreso soprattutto dalla Bibbia sarebbe dovuta coincidere con l’amore. Scelsero il teatro come ricerca della verità e ne subirono le amare conseguenze.

 

3 Nell’Unione Sovietica staliniana la vita e la morte degli artisti, degli intellettuali e dei militanti politici erano regolate da un complesso sistema di segnali che partivano dalle stanze del potere e giungevano al destinatario in una forma al tempo stesso enigmatica e precisa. Quando si riceveva l’annuncio di essere stati ripudiati, ossia la ferita preparatoria, l’unica possibilità di sottrarsi alla condanna, quasi sempre a morte, era la fuga. Pochi lo facevano, sia per la difficoltà di lasciare il paese in brevissimo tempo, e con i propri cari che altrimenti sarebbero stati oggetto di rappresaglie, sia per l’ambiguità di quell’annuncio, che ufficialmente suonava soltanto come il rimprovero più o meno severo, tuttavia sempre paterno, rivolto a un figlio della patria comunista che si era allontanato dalla retta via. Chi riusciva a espatriare, come Michail Čechov,3 diventava ufficialmente un traditore e il suo nome veniva affogato nel silenzio e nel disprezzo. Nessuno era in grado di dimostrare che l’avesse fatto per salvarsi la vita e non per assicurarsi all’estero i privilegi degli sfruttatori imperialisti.

 

 

LIntroduzione al teatro ebraico

 

4 Il protocollo normale della punizione prevedeva l’arresto del colpevole, del quale i familiari non avevano più notizie, poi la tortura, la confessione dell’imputato e la sentenza di morte. Alla tortura, cui a quanto pare quasi nessuno ha resistito, seguiva di solito la ritrattazione, ribadita inutilmente nel corso delle ultime udienze del processo, poco prima della condanna a morte immediata o ai lavori forzati. A Mejerchol´d, Babel´ e molti altri toccò la fucilazione; altri ancora, più numerosi e magari meno importanti, vennero inviati nei campi di concentramento dove per lo più morivano di stenti. Di tutto ciò né l’opinione pubblica né i familiari sapevano.

5 Il caso di Michoels fu però diverso, perché il popolare attore e direttore del Teatro Ebraico di Stato moscovita non aveva mai manifestato un’aperta ostilità al regime, inoltre era troppo noto e amato per essere arrestato e lo stesso Cremlino gli aveva sempre concesso, o meglio imposto, grandi responsabilità, per esempio quella di girare il mondo come rappresentante degli ebrei sovietici per raccogliere fondi necessari alla guerra antinazista.

 

Introduzione al teatro ebraico

 

IMMAGINI DI CHAGALL
DA
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6 Michoels, messo alla testa del Teatro Ebraico di Mosca dopo l’autoesilio del fondatore Aleksej Granovskij nel 1928, aveva del lavoro teatrale una concezione autonoma e distante da quella di tanti colleghi (era amico di Aleksandr Tairov, ma l’unico uomo di teatro per il quale provava un’ammirazione incondizionata era il discusso Vsevolod Mejerchol´d), sempre però relativamente a questioni poetiche o professionali, sempre cercando di interpretare l’utopia emancipatrice della Rivoluzione d’Ottobre e sollecitando gli ebrei a fornire il proprio peculiare contributo. In effetti nei primi anni di comunismo gli ebrei rimasti nel paese avevano conosciuto una nuova libertà d’azione e la maggior parte di loro erano tutt’altro che ostili al regime, tanto che occupavano diversi posti di responsabilità in tutti i settori.

 Michoels invitava spesso gli osservatori stranieri a riflettere su «come è risolta la questione razziale nel nostro paese» e aggiungeva orgogliosamente: «Questo è l’unico teatro ebraico al mondo sovvenzionato dallo Stato». Le vere difficoltà per lui e i suoi compagni cominciarono alla fine degli anni Venti e conobbero una relativa pausa durante la seconda guerra mondiale, quando erano necessari l’impegno e la collaborazione di tutte le componenti sociali.

 

7 «Per liquidare la cultura ebraica in Urss bisognava innanzitutto sbarazzarsi di colui che ne era alla testa», con queste parole la figlia Natalija definisce il movente sostanziale del regime sovietico, ma la questione si fa più complessa quando si consideri la natura particolare dei “crimini” commessi da Michoels e il modo conseguente con cui il potere volle sanzionarli. A ben vedere, su entrambi i fronti, culturale e politico, la motivazione è la stessa e non riguarda tanto i contenuti quanto – potremmo dire – il “modo di recitare”, lo stile.

Può sembrare strano, ma è così: le poetiche e le opzioni estetiche in molti casi assumono un’importanza cruciale proprio perché esprimono qualcosa di molto più incisivo dei contenuti e per questo presentano forti implicazioni politiche. Non solo, ciò che si “afferma” con un gesto poetico non è qualcosa di esplicitamente censurabile, poiché non è concepibile alcuna norma di legge che possa proibire di esprimere entusiasmo o dolore, incredulità o ironia; dunque il potere che accusa quel colpo è costretto a reagire escogitando altre ragioni, legali o ideologiche. Nel nostro caso si potrebbero citare molti episodi significativi in proposito. Dalle memorie di Natalija Vovsi ne segnaliamo tre:

8 Nel 1928 – agli albori del manifestarsi del virulento antisemitismo sovietico – il Teatro Ebraico di Mosca effettuò una tournée in diverse città d’Europa ottenendo un grande successo di critica e di pubblico che però destò il sospetto delle autorità sovietiche. Su «Izvestija» del 6 ottobre uscì un inquietante articolo che parlava di un «successo mitigato» dovuto al fatto che la stampa borghese e dell’emigrazione aveva rilevato che «in questo teatro non si trova alcuna traccia dell’ideologia sovietica». L’articolo aggiungeva che i responsabili del Goset ( = acronimo di ” Il Teatro Ebraico (Yiddish) Statale di Mosca “, è stata una compagnia teatrale yiddish fondata nel 1919 e chiusa nel 1948 dalle autorità sovietiche.  /wikipedia ) non si erano impegnati a fare chiarezza in questo senso e auspicava che le autorità li richiamassero in patria, revocando l’estensione della tournée negli Stati Uniti, come puntualmente avvenne.

( Com’è noto, il regista Granovskij non ritornò a Mosca con la compagnia e la sua defezione alimentò il clima di sospetto. Attacchi sempre più virulenti erano rivolti a quasi tutti gli spettacoli realizzati e il fondatore del Goset veniva indicato come il principale colpevole, dal quale l’attuale direzione, ora affidata a Michoels, era invitata a prendere le distanze. Invece Michoels si impegnò senza ipocrisie a difendere l’operato del teatro e i meriti storici di Granovskij (del quale diceva con prudenza che era «temporaneamente rimasto a Berlino»), accusando i potenti critici di regime di «leggerezza e cinismo irresponsabili». Naturalmente i rari riscontri che ottenne furono molto freddi e confermavano l’inversione di tendenza nei confronti del teatro. )

9 Michoels si ritrovò quindi direttore dell’istituzione senza esserne pronto, oltre tutto diventando il catalizzatore di molti conflitti interni, causati dalle richieste più disparate di attori, attrici e aspiranti registi facenti parte della compagnia (che in realtà non esprimerà alcun grande regista oltre i suoi due direttori).

Il primo nuovo spettacolo che Michoels mise in cartellone nel 1930, affidandone la regia a Sergej Radlov, fu Il sordo di David Bergel´son, scrittore che era anche uno dei suoi migliori amici. Tratto da un racconto del 1907, Il sordo aveva per protagonista un lavoratore che si sente estraneo al contesto in cui vive a causa del proprio handicap e per questo nemmeno prende parte al movimento rivoluzionario. L’esito fu dei più lusinghieri e lo spettacolo restò per lungo tempo in repertorio, pur essendo bersaglio della critica ufficiale, che entrava anche nel merito delle scelte artistiche. L’ambientazione della storia nella Russia zarista non impedì né agli avversari né ai simpatizzanti del teatro di cogliere la metafora di un disagio che perdurava anche nella “patria delle opportunità”.

Alcuni anni dopo, nel 1946, un esausto Michoels recitò la scena finale del dramma in occasione di una serata dedicata a Bergel´son e in questa circostanza – ricorda Natalija – le ultime poche parole che il personaggio pronunciava facevano pensare ai gemiti strazianti di un animale braccato che sta per morire.

La commozione e gli applausi del pubblico fecero tutt’uno con la paralisi di terrore che colse Natalija, nella percezione diffusa e non esprimibile a parole che l’attore e la sua causa stavano per essere sopraffatti. Anche in questo caso – come più tardi per il consenso sovietico al riconoscimento di Israele – una verità d’attore, il modo di dire e non le cose dette superavano ogni barriera ideologica e univano un’intera comunità in un sentimento antiautoritario.

10 Lazar´ Kaganovič era rimasto, alla fine del secondo conflitto mondiale, il solo ebreo membro del massimo organismo politico dell’Urss, il Politburo, e la sua posizione era molto delicata.

Aveva incontrato Michoels per la prima volta nel 1936-37, in occasione delle rappresentazioni de Il bandito Boytre di Moyshe Kulbak (russo: Moisej Kul´bak) e si era molto arrabbiato. Il bandito protagonista, interpretato da Veniamin Zuskin, era un disertore che rapinava i ricchi ebrei per distribuire il bottino ai poveri. Kaganovič fece una sfuriata alla compagnia riunita tra le quinte perché trovava inaccettabile e pericolosa tale raffigurazione di un ebreo, straccione e ribelle anziché fieramente rivoluzionario, seppure nel quadro della vecchia Russia zarista. Michoels e la sua giovanissima figlia, dopo quell’intervento, erano addolorati e sgomenti per l’assurda sintesi di potere e paura che la figura di Kaganovič esprimeva. Da allora i suoi rapporti con il teatro erano rimasti sempre tesi e alla morte di Michoels inviò la propria figlia per consigliare caldamente, ma di nascosto, i suoi familiari di non fare domande sulla fine del padre e accontentarsi delle versioni ufficiali.

 

11 La questione “estetica” vale anche per quanto riguarda le prese di posizione politiche. Si pensi – è il terzo esempio proposto – all’ultimo intervento pubblico di Michoels, la classica goccia che fa traboccare il vaso. Alla fine del 1947 si celebrava l’anniversario di Mendele Moicher Sforim (  autore della novella I viaggi di Beniamino Terzo ) da cui era stato tratto, nel 1927, uno dei maggiori successi del Goset. I protagonisti, interpretati da Michoels e Zuskin, erano due amici in fuga dalla loro shtetl (piccola città o villaggio con una significativa presenza ebraica) alla ricerca di Eretz Israel e dopo alcune tragicomiche disavventure scoprivano di essere tornati al proprio villaggio. Prima di recitare la scena topica dello spettacolo, a Michoels era stato chiesto di tenere un discorso. L’attore, forse improvvisando, a un certo punto disse che lo scopo del viaggio intrapreso da Beniamino e Senderl´ era stato finalmente realizzato dalla storia, poiché l’Unione Sovietica aveva annunciato alle Nazioni Unite di essere favorevole alla costituzione del nuovo Stato d’Israele. A questo punto il pubblico esplose in una ovazione di dieci minuti e fu proprio questo entusiasmo a irritare il potere, perché per la nuova superpotenza sovietica si trattava anzitutto di insediare uno Stato tendenzialmente socialista in una regione del mondo ideologicamente ostile, oltre che creare una possibile valvola di sfogo della questione ebraica, mentre quel pubblico, agli occhi della dirigenza stalinista, sembrava festeggiare l’avverarsi del mito sionista, la creazione di uno Stato ebraico nella Terra Promessa. Il giorno dopo Michoels andò alla radio per ritirare la registrazione della serata e gli fu comunicato che era stata cancellata “per errore”. Tornato a casa, disse a Natalija che si trattava di un segno nefasto, ma non si poteva reagire in alcun modo. Dopo una settimana arrivò l’ordine di partire per il viaggio fatale.

12 La decisione in alto loco era già presa. Occorreva distruggere il carisma e la rappresentatività di Michoels e mettere in guardia, attraverso la sua liquidazione senza un processo, tutti gli altri sospetti o potenziali sionisti (per esempio Sergej Ejzenštejn).

Conclusa e vinta la seconda guerra mondiale le cose erano cambiate e l’accusa più grave rivolta soprattutto agli intellettuali e agli ebrei era quella di “cosmopolitismo”, vale a dire di provare simpatia per le opzioni culturali e politiche di altri paesi.

La soluzione finale della questione ebraica in Urss avvenne attraverso persecuzioni e punizioni esemplari per delitti tanto efferati quanto inesistenti, come il “complotto dei camici bianchi”, ossia dei medici, accusati di voler assassinare la dirigenza sovietica (dopo la tortura alcuni di loro – tra cui il cugino di Michoels – ammisero persino di aver tentato di sbranare a morsi le proprie vittime).

13 I regimi autoritari sostituiscono sempre uno spettacolo al teatro della verità.  Michoels combatteva con il teatro, il regime lo ha eliminato con uno spettacolo.

14 Un breve recente documentario realizzato con materiali d’archivio permette di comprendere molto bene l’atmosfera di cordoglio e terrore creata dall’assassinio dell’attore ebreo Solomon Michoels; la qualità del silenzio che traspira dalle immagini parla più di mille descrizioni, e la contraddizione tra l’efferato assassinio e la celebrazione funebre, con la sua scenografia e i discorsi ufficiali, i volti disperati e spenti dei presenti, costituisce l’inappellabile testimonianza di cosa sia in concreto una dittatura. 

 

SEGUE UN BREVE RACCONTO DELL’ASSASSINIO DI SALOMON MICHOELS,  COMINCIA AL PUNTO  15

NEL LINK :

https://books.openedition.org/aaccademia/5846

 

SEGUE :

Alla morte di Michoels, Veniamin Zuskin fu costretto ad assumere la direzione di un teatro che si trovava in una situazione disperata, che non riceveva più fondi pubblici e al quale nessuno più si abbonava per non essere schedato come sospetto sionista.

La sua fine fu crudelmente classica: mentre era ricoverato in ospedale per un grave esaurimento e sottoposto a una cura del sonno, venne prelevato da agenti dei servizi nella notte tra il 23 e il 24 dicembre 1948, contro il parere dei dottori, e si risvegliò nella cella dell’interrogatorio e della tortura. Da quel momento sparì per tutti e il teatro venne definitivamente chiuso. Le accuse erano le stesse rivolte a Michoels e agli altri. Le sue fotografie dopo l’arresto e i primi duri interrogatori si commentano da sole. La sua fine annunciata fu lunghissima, straziante, soffocata nel mutismo e nel terrore, avvelenata da una speranza irrazionale di giustizia o di clemenza che fino all’ultimo, a intermittenza, affiorava e lo rendeva incoerente. Le torture lo portarono a sottoscrivere confessioni senza capo né coda anche contro Michoels, che poi tentò invano di ritrattare.

 Il processo del tribunale militare si teneva con i soli giudici, senza procuratore e senza avvocato. Alla fine Zuskin, premettendo di non chiedere clemenza ma soltanto di voler lasciare una corretta immagine di sé negli atti del processo, chiese ai giudici di ascoltare la storia della sua vita. «Purché la faccia breve», concesse il presidente. Zuskin esordì dichiarandosi «parzialmente colpevole» con questa motivazione: «Sono un attore. Sono colpevole di essermi concentrato esclusivamente sul mio lavoro di attore».

La famiglia seppe della sua morte per fucilazione, ma non di cosa l’avesse preceduta, soltanto nel 1955, dopo avere vissuto in esilio fino al 1954 in quanto familiari di un «traditore della Madrepatria».

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2 risposte a ” Sul teatro ebraico- russo ” — ANTONIO ATTISANI, SOLOMON MICHOELS E VENIAMIN ZUSKIN –OPEN EDITION BOOKS.ORG, Accademia University Press

  1. DONATELLA scrive:

    Agghiacciante quello che può fare una dittatura, di qualsiasi segno sia.

  2. marina gori scrive:

    molto interessante, ahimè, l’articolo e straordinarie le illustrazioni del grande Chagall

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