LIMESONLINE DEL 1 AGOSTO 2022
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La nuova Costituzione può cambiare la geopolitica del Cile
Il presidente del Cile Gabriel Boric riceve la bozza della nuova costituzione dalla presidente della Convenzione costituente María Elisa Quinteros e dal vicepresidente Gaspar Domínguez il 4 luglio 2022.
Foto di Marcelo Hernandez/Stringer via Getty Images.
CILE — mappa : Viaggiatori.net
Nel referendum sulla revisione della Carta (4 settembre) sarà in gioco anche la proiezione internazionale di Santiago, attualmente molto ligia ai dettami del Washington consensus e poco interessata ai rapporti con il resto dell’America Latina.
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La Convenzione costituente del Cile ha consegnato al presidente Gabriel Boric la bozza della nuova Costituzione. Dovrà sostituire quella del 1980, emanata durante la dittatura di Augusto Pinochet (1973-1989).
Il prossimo 4 settembre la popolazione sarà chiamata ad approvare il nuovo testo in un referendum. I sondaggi indicano un possibile rifiuto del disegno preparato dalle sinistre e fortemente sostenuto dall’esecutivo. Boric ha dovuto prendere atto dell’impopolarità del progetto, ma ha anche assicurato che il suo governo troverebbe comunque altre strade per modificare la Costituzione attuale.
La bozza contiene alcuni aspetti che modificherebbero la proiezione geopolitica del Cile.
Dall’insediamento del regime militare nel 1973, in seguito al golpe, il Cile è diventato il paese dell’America Latina più ligio alla logica dell’apertura economica e al Washington consensus. Ha accettato di buon grado le regole del modello neoliberista e, più di ogni altro paese sudamericano, ha stabilito trattati bilaterali d’investimento e accordi di libero scambio con il resto del mondo.
Nonostante l’alternanza dei governi a Santiago, i capisaldi economici e commerciali della politica estera cilena sono rimasti invariati nel tempo. Alla loro base c’è la volontà di includere il Cile nella catena del valore globale attraverso forme di partenariato con le principali potenze. Negli ultimi decenni, a Stati Uniti ed Unione Europea si sono aggiunti la Cina e altri paesi del Sudest asiatico.
In questo modo sono state ignorate le proposte di integrazione sudamericana fiorite nella regione. Inoltre, la politica estera è stata consegnata nelle mani di un’élite molto ristretta, composta da funzionari e imprenditori locali e stranieri.
La nuova Costituzione nasce dalle rivendicazioni dei movimenti che contestano il modello vigente. Troppo ridotto – dicono – è lo spazio dedicato all’integrazione latinoamericana, troppa la segretezza con cui vengono negoziati i trattati internazionali, troppe le concessioni alle grandi industrie straniere nei settori minerario ed energetico. L’adesione dei diversi governi alla visione di Washington ha prodotto l’isolamento del Cile rispetto ai propri vicini della regione.
La riforma proposta dalla Convenzione costituente riguarda anche gli affari internazionali. La principale novità si trova nell’articolo 14, comma 3: l’America Latina e i Caraibi vengono dichiarati «zona prioritaria» per le relazioni estere del paese. Tale definizione è già presente nelle costituzioni di Bolivia, Colombia, Ecuador e Venezuela, ma nel caso cileno rappresenterebbe un significativo cambiamento nella proiezione geopolitica, che oggi è chiaramente indirizzata verso l’Asia-Pacifico.
Lo stesso Boric aveva definito l’America Latina come una priorità, ma ciò non ha portato ad accantonare gli obblighi assunti coi paesi asiatici. Il presidente in occasione del suo primo viaggio all’estero, a Buenos Aires, si è smarcato dall’asse creato dai suoi omologhi di Argentina e Messico (Alberto Fernández e Andrés Manuel López Obrador), prendendo nettamente le distanze dai governi di Venezuela e Nicaragua.
Il Cile di Boric sembra perciò rappresentare una nuova strada per la sinistra latinoamericana. Slegata dalla devozione all’Avana e a Caracas; più legata a tematiche come il clima, il genere e il multiculturalismo. Questa alternativa troverà proprio nel referendum costituzionale il suo battesimo del fuoco. Se l’attuale bozza superasse il referendum, Santiago potrebbe scoprire un protagonismo nelle relazioni internazionali, in particolare regionali, alieno alla sua storia.
Un’altra modifica rilevante riguarderebbe il sistema di approvazione dei trattati internazionali. Al parlamento sarebbe concesso un ruolo più attivo rispetto a quanto previsto dalla Carta del 1980. Da allora i presidenti cileni hanno sempre avuto ampi margini di libertà per la sottoscrizione di accordi commerciali e le concessioni a capitali stranieri; solo con la riforma costituzionale del 2005 i parlamentari hanno guadagnato la possibilità di presentare rimostranze sugli accordi in via di approvazione o, addirittura, di bocciarne la ratifica. Il nuovo testo segnala molto più precisamente il ruolo delle due Camere.
Non è del tutto chiaro cosa accadrà agli accordi attualmente in fase di negoziazione. L’alto rappresentante dell’Unione Europea per gli Affari esteri, Josep Borrell, ha assicurato che le trattative per l’aggiornamento dell’accordo di libero scambio riprenderanno soltanto dopo il referendum del 4 settembre. Inoltre un settore importante della coalizione che sostiene Boric chiede la revisione degli accordi di libero scambio firmati in precedenza. L’approvazione della nuova Costituzione potrebbe costituire un sostegno politico implicito per questa ala del governo.
Il testo presentato dalla Convenzione mantiene comunque il controverso iperpresidenzialismo nella politica estera. È evidente nel caso delle nomine di ambasciatori e funzionari diplomatici, ma non solo: la partecipazione parlamentare nei negoziati internazionali resterebbe comunque meno ampia rispetto alle prerogative presidenziali.
Potrebbe sembrare un tecnicismo. Eppure, per un paese che pone le proprie risorse naturali come principale strumento per allacciare rapporti con il resto del mondo, la questione ha grande rilevanza. Uno degli aspetti più dibattuti è infatti legato allo sfruttamento minerario; il Cile è il primo produttore di rame al mondo e – assieme a Bolivia e Argentina – detiene la più grande riserva di litio del pianeta. La questione ambientale, legata alle industrie estrattive, è stata alla base delle proteste che hanno portato alla realizzazione del processo costituente.
Il testo definitivo dedica un intero capitolo all’industria mineraria e introduce alcune limitazioni alla sua attività. A esclusione dei ghiacciai e delle zone protette, al settore viene imposto un limite «sociale e ambientale» e sono concesse allo Stato le facoltà di impedire o sospendere le operazioni di estrazione. Tale impostazione ha generato fortissime resistenze da parte delle aziende del settore, che oggi controllano circa il 70% delle miniere cilene e denunciano una certa «insicurezza giuridica» di fronte al nuovo testo costituzionale.
Fonte: Statista, 2021
La lobby del settore minerario nazionale e straniero è stata la grande protagonista della discussione nella Convenzione. La proposta originale, nel capitolo su ambiente e risorse naturali, prevedeva la nazionalizzazione delle miniere di rame, una misura che precipitò il golpe contro Salvador Allende nel 1973. A ciò si aggiungerebbe anche quella del litio.
Le correnti di sinistra della Convenzione intendevano sostituire le concessioni all’usufrutto vigenti con autorizzazioni temporali e sotto controllo dello Stato, possibilità che è stata però esclusa. Tuttavia, qualora il nuovo testo fosse approvato, la Costituzione consentirà al nuovo parlamento di approvare centinaia di leggi e regolamenti mediante cui potrebbe aumentare il controllo statale sulle risorse minerarie, specialmente il litio. Potrebbero essere create aziende pubbliche di controllo ed estrazione, con le quali le aziende private sarebbero obbligate ad associarsi.
In America Latina, le miniere di litio, oro, argento e terre rare sono uno dei settori di maggior penetrazione delle potenze extraregionali, particolarmente Cina e Russia. Le esportazioni cilene verso Pechino, con cui Santiago ha stabilito un accordo di libero scambio nel 2006, sono due volte e mezzo più ampie di quelle dirette negli Usa e riguardano per 80% i minerali.
Negli ultimi 10 anni l’acquisto di rame da parte della Repubblica Popolare è triplicato e le aziende cinesi hanno cominciato a investire direttamente nell’estrazione in loco. Nel 2019 l’investimento diretto cinese ha sfiorato i 5 miliardi di dollari, mentre negli ultimi mesi è aumentata la partecipazione di Pechino al mercato del litio. A seguito dell’acquisizione del 25% di Sqm (una delle principali compagnie cilene dedicate all’estrazione del metallo) da parte di Tianqi Lithium, la cinese Byd Chile si è aggiudicata uno dei cinque bandi emessi per l’estrazione di 80 mila tonnellate nei prossimi 7 anni. Per quanto riguarda la Russia: l’impresa statale statale Uranium One si era assicurata un investimento da 30 milioni di dollari nel giacimento di litio di Tolillar, in Argentina, tuttavia i contatti con le autorità cilene sono rimasti in sospeso dopo l’invasione dell’Ucraina.
La Casa Bianca guarda a queste tendenze con grande preoccupazione. Di recente, la comandante dello US Southern Command (Southcom), Laura J. Richardson, ha sottolineato la necessità di una maggiore presenza della diplomazia statunitense a sostegno delle imprese in America Latina, con lo scopo di contrastare la penetrazione cinese. Anche Borrell ha annunciato la preparazione di Route 2023, un piano per l’approfondimento delle relazioni tra Unione Europea e America Latina, volto a riempire gli spazi lasciati scoperti dall’Occidente negli ultimi anni.
Si parla spesso della lealtà cieca di Santiago nei confronti di Washington, ma il concetto andrebbe relativizzato. In questo senso si può ricordare il sonoro «No, Mr. President» dell’allora presidente cileno Lagos al suo omologo statunitense George W. Bush nel 2003, con cui intendeva ribadire la decisione di non avallare l’invasione dell’Iraq nel Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Inoltre, alla fine del suo mandato l’allora presidente Piñera decise di annunciare l’avvio delle prime telecomunicazioni commerciali attraverso la rete 5G. I bandi sono stati assegnati a tre aziende: la svedese Ericsson, la finlandese Nokia e la cinese Huawei, in barba alle pressioni fatte dalle amministrazioni di Donald Trump e Joe Biden.
La bozza della nuova Costituzione cilena ha raccolto elogi in tutto il mondo da chi ha apprezzato il riconoscimento dei popoli indigeni e il suo spirito democratico, come anche il chiaro profilo ambientalista e l’attenzione alle tematiche femminili. Invece i gruppi di potere che hanno contribuito al «miracolo cileno» negli ultimi decenni sono molto critici rispetto al nuovo testo, poiché apre alla possibilità di un cambiamento nella collocazione internazionale del paese.
Dal punto di vista geopolitico, la sua rilevanza sta nel maggior grado di controllo del parlamento sui trattati internazionali e nell’orientamento verso l’America Latina.