Riproponiamo, dato l’impegno di Putin a proteggere i russi fuori dalla Russia ::: Mauro De Bonis, LA SAGA DEI ‘PIEDI ROSSI’ -Sono circa 30 milioni i russi in diaspora negli Stati sorti dal crollo dell’Urss e in altri paesi. I variabili usi geopolitici di questa massa per nulla omogenea. — LIMES ONLINE DEL 13 DICEMBRE 2021

 

LIMES ONLINE DEL 13 DICEMBRE 2021

https://www.limesonline.com/cartaceo/la-saga-dei-piedi-rossi

 

 

 

LA SAGA DEI ‘PIEDI ROSSI’

 

Carta di Laura Canali - 2021

Carta di Laura Canali – 2021

 

 13/12/2021

Sono circa 30 milioni i russi in diaspora negli Stati sorti dal crollo dell’Urss e in altri paesi. I variabili usi geopolitici di questa massa per nulla omogenea. Il ‘mondo russo’ evocato da Putin e reinterpretato dal patriarca Kirill si fonda anche su di loro

 

 

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di Mauro De Bonis

 

Pubblicato in: CCCP, UN PASSATO CHE NON PASSA – n°11 – 2021

1. La caduta dell’Unione Sovietica segna in un giorno il destino di milioni di suoi ex cittadini che si ritrovano di colpo residenti in un paese straniero.

Un incubo dal quale non ci si può svegliare se non fuggendo il sogno di aver vissuto in un impero incrollabile e tentando ora di tornare in una delle tante patrie che compongono il puzzle delle terre sovietiche.

 

Non tutti però lo fanno. Molti preferiscono rimanere nel nuovo Stato appena diventato indipendente, dove, più o meno integrati, ancora vivono insieme alla progenie. Sono testimoni/vittime di quelle strategie sovietiche individuate dal regime per forgiare una comune identità per le decine e decine di etnie che compongono l’Unione, e allo stesso tempo annacquarne sentimento nazionale e attaccamento alla propria terra. E che spingono milioni di sovietici a spostarsi in altre regioni, a volte costretti altre incentivati a farlo, soprattutto verso zone meno popolate e sviluppate, come i tanti provenienti dalle repubbliche sovietiche dell’Asia centrale che dalla fine degli anni Settanta migrano in Russia per lavorare 1.

 

In base all’ultimo censimento targato Urss del 1989 si contano circa 73 milioni di «piedi sovietici» che a un paio d’anni dal crollo dell’impero vivono oltre i confini della repubblica d’appartenenza, con 12 milioni di non russi che risiedono nella sola Repubblica Socialista Federativa Sovietica Russa (Rsfsr) 2.

 

Ed è proprio in quegli anni, tra la fine del miraggio riformatore gorbacioviano e la decisiva dissoluzione dei soviet, che inizia una consistente migrazione di rientro sia all’interno delle diverse repubbliche dell’Urss sia oltre i confini sovietici. Anche molti russi tornano a casa, o preferiscono mete più lontane, terre dei loro avi come Israele e Germania ma anche Stati Uniti, almeno fino al 1990 quando Washington decide di frenarne l’afflusso dal paese nemico.

Al momento del crollo, i sovietici che nel censimento citato dichiarano quella russa come propria nazionalità ammontano a più di 25,2 milioni di persone, un esercito che dopo dieci anni rimpatria solo per un quinto 3. Gli altri restano dove sono.

Sono i «piedi rossi» nati e cresciuti nella repubblica sovietica dove sono diventati stranieri in un giorno. Tanti hanno una casa e un lavoro ben retribuito, hanno goduto di privilegi dovuti al fatto di appartenere all’etnia dominante e credono di poterli mantenere. Altri ancora non sanno dove e in che condizioni tornare: la loro patria era l’Urss e adesso che non c’è più, la Russia appare lontana e aliena. Tutti però formano quella diaspora d’eredità sovietica con cui la nuova Russia avrà un approccio complicato e un rapporto che muterà col passare del tempo e in conseguenza della distanza che si misurerà nelle relazioni con l’Occidente e coi paesi ex sovietici che ne entreranno a far parte.

 

Se la caduta dell’Unione Sovietica fissa i confini terrestri della Federazione Russa, i «piedi rossi» rimasti fuori arrivano a disegnare quelli d’appartenenza a un mondo russo (russkij mir) che li travalica e che Mosca intende salvaguardare.

«La nazione russa», spiegava il presidente Putin nel marzo 2014 a crisi ucraina esplosa e riconquista della Crimea quasi completata, «è diventata uno dei più grandi, se non il più grande gruppo etnico al mondo a essere diviso da confini» 4.

Un universo frammentato che storia, cultura e lingua comuni sono chiamate a tenere insieme, punto di riferimento per milioni di compatrioti all’estero da difendere contro vessazioni e politiche discriminatorie messe in atto da alcune delle repubbliche ex sovietiche.

 

Diaspora da utilizzare sul posto a difesa degli interessi della Federazione, specie di quinta colonna attraverso la quale influenzare strategie e politiche dei paesi «ospitanti»; o da convincere a tornare sfoggiando il passaporto russo, per poi utilizzarla come bacino dal quale attingere per rimpolpare la scarna demografia e per agevolare lo sviluppo di alcune regioni federate bisognose di fondi ma soprattutto di manodopera, meglio se qualificata come spesso lo è quello russa proveniente dai paesi ex sovietici. Una comunità che col passare degli anni vede ampliare i requisiti per accedervi, registra i diversi approcci delle autorità moscovite nei suoi confronti e assiste al dibattito tutto russo, spesso infuocato e ancora in divenire, sulla sua gestione e affidabilità. Questo perché col passare delle generazioni e una sempre maggiore integrazione difficilmente la diaspora potrà rispondere alle esigenze geopolitiche della leadership russa, diverse da quelle quotidiane dei suoi compatrioti all’estero.

 

2. La presenza russa in ogni angolo dell’Unione Sovietica segue la logica del controllo e della gestione territoriale da parte dell’etnia dominante e ricalca le migrazioni di genti russe verso le periferie del paese iniziate oltre tre secoli fa, intorno alla metà del XVI secolo, e che hanno seguito l’espandersi dell’impero fino alla caduta di quello sovietico. Movimenti consistenti di popolazione che dopo la rivoluzione bolscevica il regime agevola per completare collettivizzazione e industrializzazione anche nelle regioni più remote. Accelerati durante la seconda guerra mondiale con lo spostamento di un quinto delle industrie sovietiche lontano dalla linea del fronte e il relativo trasferimento di lavoratori russi qualificati, in generale coordinati e sorvegliati da specifiche politiche di pianificazione «etnica» 5.

 

Massa enorme di persone appartenenti a una maggioranza privilegiata, titolare del russo, lingua franca dell’intera Unione, più istruita e specializzata e con status socioeconomico più alto delle popolazioni autoctone nelle repubbliche sovietiche dove in media rappresentano a fine anni Ottanta il 18,2% del totale, con picco del 45% dell’intera diaspora.

Si contano 11,3 milioni di russi in terra ucraina, fino ai poco più di 51 mila residenti in Armenia.Percentuali importanti che determinano un elevato grado di influenza politica all’interno della repubblica, dove i russi preferiscono concentrarsi nelle capitali o nelle grandi città, mantenere tra loro stretti legami e utilizzare pochissimo le lingue del posto.

Lampante l’esempio del Kazakistan, dove nel 1989 si registra la presenza di oltre 6 milioni di russi, che nella capitale sono sei su dieci tra i residenti, dei quali meno dell’1% parla il kazako, anche come seconda lingua 6.

 

Si sentono a casa i russi nelle rispettive comunità presenti in tutte le repubbliche dell’Unione Sovietica: possono parlare il loro idioma e rispettare le tradizioni e la cultura russe. Lo fanno meglio, anche per motivi storici, in alcune aree geografiche dell’impero dove la loro concentrazione è più elevata, come nell’Ucraina orientale, in Crimea (sono il 67% dell’intera popolazione), nelle regioni settentrionali del Kazakistan o nell’Estonia orientale dove nella città di Narva sono ancora oggi oltre l’80% 7.

I russi della diaspora sovietica sono occupati in genere nel settore industriale e in quello pubblico e sono in media più istruiti, tra loro molti professori e scienziati. Soprattutto però sono nati o hanno trascorso ampia parte della loro vita nelle repubbliche sovietiche di residenza. Quelli di loro che hanno visto la luce in Kazakistan sono ad esempio oltre il 66% della locale comunità russa e a Minsk oltre il 42%.

Dell’intera diaspora quasi la metà ha sempre vissuto nella repubblica non russa dov’è nato e circa un quarto lo ha fatto per più di vent’anni 8.

 

Così quando l’Urss cessa di esistere nel dicembre di trent’anni fa, la scelta che si pone a molti milioni di persone tra tornare in terra russa o restare oltreconfine non è né semplice né immediata. Molte delle repubbliche appena diventate ex sovietiche non vogliono privarsi della preparazione e competenza dei russi in settori chiave dell’economia, soprattutto in un momento in cui il futuro del loro paese appare incerto e confuso. Quasi tutte concedono cittadinanza alla diaspora russa interna, più o meno tutte rifiutano la richiesta di Mosca di concedere ai «piedi rossi» la doppia cittadinanza 9.

Inizia così un esodo di rientro che coglie impreparate le autorità russe, decise in un primo momento a non farlo diventare di massa, come rischiava di diventare perché sospinto dalle politiche discriminatorie verso russi e russofoni adottate da alcune delle repubbliche ormai indipendenti.

Esodo frenato dalla poca voglia dei «piedi rossi» di abbandonare quella che per molti è casa, il posto dove sono nati e/o cresciuti, tra privilegi e poca nostalgia della madrepatria, visto che soprattutto per i russi coincideva con l’intera Unione Sovietica andata poi in frantumi.

 

3. L’approccio dei decisori moscoviti ai connazionali rimasti nelle repubbliche ex sovietiche non è tra i più agevoli, complicato da un acceso dibattito che si scatena intorno alla struttura con cui si intende catalogare la diaspora.

Per molti deve assumere una connotazione sovietica, aperta a ogni singolo cittadino dell’ex impero che intende mantenere una relazione con la Federazione Russa erede legittima dell’Urss appena crollata; per altri deve invece includere esclusivamente i russi etnici rimasti oltreconfine. A cercare di dirimere il confronto, la legge federale del 1992 che elenca i requisiti necessari per ottenere la cittadinanza nella nuova Russia «democratica». In base a questi, vengono considerati cittadini russi tutti gli abitanti dell’Unione Sovietica residenti nella Federazione al 6 febbraio di quell’anno, giorno dell’entrata in vigore dell’ordinamento. Soprattutto, tra le altre possibilità per ottenere la cittadinanza spicca quella destinata ai cittadini ex sovietici residenti in altre repubbliche della già Urss purché ne dichiarino l’intenzione entro l’ultimo giorno dell’anno 2000 10.

 

 

Carta di Laura Canali 2021

Carta di Laura Canali 2021

 

Quello che le autorità russe vogliono evitare è un repentino ritorno in massa entro i confini della Federazione. Troppo costosa e complicata la gestione di milioni di persone che si rituffino insieme tra le braccia di madre Russia. Meglio puntare sulla doppia cittadinanza, strumento dalle molteplici valenze, tra cui quella di consentire a Mosca di mantenere una certa influenza nelle repubbliche ex sovietiche e meglio difendere la sua diaspora da soprusi e discriminazioni.

Comunità, quella dei connazionali all’estero, che proprio in quegli anni inizia ad assumere importanza nei programmi del Cremlino. Congegno da valorizzare e organizzare per tornare a contare in tempi rapidi nel cosiddetto estero vicino, ufficialmente definito importante per la Federazione nel concetto di politica estera elaborato nel maggio 1993.

Partono così negoziati con tutti gli Stati ex sovietici per ottenere la doppia cittadinanza in favore delle rispettive minoranze russe, ma a parte il Sì di Turkmenistan e Tagikistan, e più tardi di Kirghizistan e Armenia, Mosca ottiene un pugno di No.

Soprattutto, la proposta viene respinta dalle repubbliche ex sovietiche che ospitano i tre quarti della diaspora russa decretando di fatto l’insuccesso dell’iniziativa: Bielorussia, Kazakistan e Ucraina. Vatti a fidare degli amici 11.

 

Lo strumento della doppia cittadinanza viene in qualche modo messo momentaneamente da parte dalle autorità russe. Con la nuova legge del 2002 vengono apportate misure restrittive proprio in questo campo, come quella per i richiedenti costretti a rinunciare preventivamente alla cittadinanza di un altro paese. Decisioni frutto anche della spinta proveniente dalle forze di sicurezza e da una burocrazia molto prudente nel concedere la cittadinanza russa. Atteggiamento mantenuto in parte anche quando il presidente Putin a fine decennio scorso imprime una svolta decisiva alla questione con alcune modifiche alla legge. Nel frattempo e nonostante la resistenza interna, la Russia concede oltre sei milioni di passaporti tra il 1992 e il 2017. La maggioranza degli ex sovietici che lo hanno ricevuto non è di etnia russa 12.

 

Dopo la prima fase di relativa armonia tra la Federazione e l’Occidente a guida americana, segue un lungo periodo di incomprensioni e contrasti che dura tuttora.

Prima la guerra russo-georgiana del 2008, poi lo strappo ucraino e la seguente annessione della Crimea allargano a dismisura il divario tra le parti, con Mosca preoccupata di perdere dopo Kiev influenza anche su altri tre paesi «vicini» ospitanti buona parte della diaspora rimasta fuori dai confini russi.

 

Carta di Laura Canali - 2021Carta di Laura Canali – 2021

 

Inoltre, gli emendamenti decisi dal Cremlino puntano ad alleviare il problema demografico che vede la popolazione della Federazione calare inesorabilmente.

Il primo passo è del 2017 ed è diretto agli ucraini che da quel momento possono inoltrare domanda per la cittadinanza russa presentando un semplice documento con la richiesta di rinuncia a quella ucraina senza aspettare l’ok di Kiev.

Il secondo è del 2019 e prevede su indicazione del presidente Putin una procedura accelerata per l’ottenimento della cittadinanza russa dei residenti negli interi territori di Luhans’k e Donec’k,

NOTA :

se vuoi, apri qui per sapere chi sono Lunans’k e Donec’k

https://www.limesonline.com/cartaceo/doneck-e-luhansk-prove-tecniche-dindipendenza

 

CONTINUA IL TESTO :

 

oltre che degli ex cittadini sovietici rimasti apolidi e ai loro figli. Infine, nel luglio dello scorso anno entrano in vigore le modifiche che semplificano la richiesta di cittadinanza per ucraini, kazaki, bielorussi e moldovi: non serviranno più cinque anni di residenza ininterrotta in Russia né la rinuncia a una seconda cittadinanza. Agevolazioni che Mosca spera coinvolgano fino a dieci milioni di russofoni sparsi in questi paesi ex sovietici, anche se sarà difficile convincere bielorussi e kazaki perché possono già godere dei vantaggi ottenuti in base agli accordi vigenti nell’Unione Economica Eurasiatica, i primi anche di quelli relativi allo Stato dell’Unione con la Russia 13.

Le strategie per attrarre nuovi cittadini ex sovietici a tamponare il problema demografico e migranti per cercare di risolvere quello relativo a sviluppo e ripopolamento di alcune regioni federate si combinano con il desiderio di integrare soprattutto persone che «conoscono e rispettano la cultura russa e che parlano russo», dunque facilitate più di altre a integrarsi in Russia, come appunto «bielorussi, ucraini e moldovi». Questo il pensiero del presidente Putin espresso nel 2019, connesso a un altro: quello di un russkij mir da irrobustire e formalizzare attraverso le politiche su cittadinanza e migrazione 14. Concetto culturale e geopolitico con al centro la diaspora russa ex sovietica e non solo, che già durante il primo mandato, precisamente nel 2001, il leader russo aveva così formulato: «La nozione di mondo russo si estende lontano dai confini geografici della Russia e persino dai confini dell’etnia russa» 15.

 

4. Il bacino di popolazione al quale il leader del Cremlino si rivolge è soprattutto quello interno al fu impero sovietico, con i russi della diaspora chiaramente in testa. Genti disponibili con gradazioni diverse a raccogliere un concetto di mondo russo che racchiude quello più profondo di identità nazionale, più facile da veicolare in territori e tra popolazioni etnicamente affini ma che può far breccia anche tra gli ex sovietici, complici una cultura e soprattutto una lingua russe rimaste dominanti per l’intera avventura targata Urss. La nuova Federazione può offrire ancora molto, in termini di relazioni economiche e lavoro, sicurezza e valida alternativa a un Occidente avviato verso un declino inesorabile, sospinto solo da interessi egoistici e bassi valori morali. Si può facilmente appartenere al mondo russo, basta parlare la lingua che fu di Cirillo e sentirsi russo dentro.

 

Washington e i suoi alleati si allontanano. Mosca è ormai consapevole che la forbice nelle relazioni si allargherà ancora. Gli occidentali hanno tentato rivolte «colorate» per ridimensionare le ambizioni russe negli ex territori sovietici e non intendono mollare la presa, anzi l’Alleanza Atlantica e l’Unione Europea si allargano e premono a ridosso dei confini russi occidentali.

Il Cremlino disegna così le sue contromosse e inizia a concepire diaspora e mondo russo come strumento per difendere la sua influenza nell’ex impero potendo contare anche su un esercito di «piedi rossi» presente oltre i confini nazionali e sulla loro lealtà, si spera.

È il 2007, l’anno del discorso a Monaco del presidente Putin, quando si decide di mettere in piedi la Fondazione Russkij Mir, sponsorizzata dal ministero degli Esteri e destinata a connettere la comunità russa rimasta oltreconfine con i fratelli in patria attraverso appositi programmi culturali e sociali. Segue l’anno successivo la creazione dell’agenzia federale Rossotrudničestvo, col compito di programmare iniziative di diplomazia pubblica e difendere gli interessi dei connazionali 16. Nascono giornali e riviste per la diaspora finanziati dalle autorità russe. Anche la Chiesa si muove per aggiungere al concetto di mondo russo il tassello religioso e spirituale.

 

Dichiarazione comune di papa Francesco e del patriarca Kirill di Mosca e di tutta la Russia - Wikipedia

PATRIARCA KIRILL ( CIRILLO I ) — ( Leningrado, 20 novembre 1946)

 

È il patriarca Kirill, appena eletto a capo dell’ortodossia russa, a enunciarne la visione durante un viaggio in Ucraina nel 2009, dove utilizza alternativamente il termine mondo russo e quello di Santa Russia a seconda del suo interlocutore. Per il patriarca hanno significato sovrapponibile e sono proiezione territoriale che abbraccia quei territori storicamente legati a nascita e sviluppo dell’ortodossia, ovvero la Russia insieme a Ucraina, Bielorussia e in parte Moldova e Kazakistan, paesi sovrani chiamati a far fronte unito al cospetto di altre civiltà 17.

 

L’obiettivo di una strenua difesa della diaspora e dell’identità russa oltre i confini della Federazione resta tema costante per i decisori di Mosca. La costituzione russa lo prevede in due suoi articoli, 61 e 69, con cui garantisce protezione e sostegno per gli interessi dei propri cittadini e la custodia dell’identità culturale; la nuova Strategia per la sicurezza nazionale, presentata a luglio, lo ribadisce come garanzia di sicurezza e obiettivo di politica estera, e lo fa precedere da un lungo preambolo sulla necessità di tamponare i tentativi (occidentali) di intaccare il ruolo e il posto della Russia nel mondo, la sua immagine, l’utilizzo di lingua e media russi, mentre denuncia la costante discriminazione nei confronti dei suoi connazionali all’estero 18.

 

Carta di Laura Canali - 2021Carta di Laura Canali – 2021

 

Non sarà facile mantenere unita e con lo sguardo rivolto verso Mosca una comunità di circa 30 milioni di persone sparse tra ex Unione Sovietica e altre parti del mondo. Diaspora che non gode ancora di piena fiducia tra le autorità russe e che viene considerata spesso mero strumento per alleviare alcune delle problematiche interne alla Federazione. Dopo le citate modifiche alla legge sulla cittadinanza del 2020, sono ad esempio arrivate nuove restrizioni per chi può goderne e che impediscono tra l’altro di ricoprire cariche federali o lavorare per le agenzie di sicurezza russe 19.

Mentre a chi decide di tornare in base al programma statale per il reinsediamento volontario viene data la possibilità di scegliere la residenza soltanto in una delle regioni che hanno aderito al progetto, che non sono mai quelle più ricche e attraenti. L’obiettivo è chiaro: ripopolare e sviluppare le aree più in difficoltà della Federazione, ma spesso le autorità regionali non sono contente di spendere in accoglienza per compatrioti che a volte non risultano quei lavoratori specializzati dei quali hanno bisogno 20.

 

I russi rimasti in terra ex sovietica vivono realtà diverse, mondi distanti. Alcuni risiedono in paesi che oggi fanno parte dell’Unione Europea e godono dei vantaggi che questo comporta. Tutti hanno accesso a fonti non russe dalle quali attingere per informarsi. Molti sono i discriminati ma tanti gli integrati nel paese in cui vivono da tempo o dove sono nati. Non sarà agevole per Mosca mantenere alta la loro concentrazione per le sorti della madrepatria e il senso di appartenenza a un’identità nazionale che rischia di indebolirsi col passare del tempo e delle generazioni, quando i giovani avranno della Federazione Russa l’immagine studiata su libri di scuola non necessariamente scritti in russo.

 

Note:

1. D. Rahmonova-Schwarz, «Migrations during the Soviet Period and in the Early Years of USSR’s Dissolution: A Focus on Central Asia», Revue Européenne des Migrations Internationales, vol. 26, n. 3, 2010, bit.ly/3nSPjSg

2. Y. Jang, «Migration and Ethnic Diversity in the Soviet and Post-Soviet Space», The London School of Economics and Political Science, settembre 2018, bit.ly/3DUyDz1

3. T. Heleniak, «Migration of the Russian Diaspora After the Breakup of the Soviet Union», Journal of International Affairs, vol. 57, n. 2, 2004.

4. «Address by the President of the Russian Federation», kremlin.ru, 18/3/2014, bit.ly/3CVimbQ

5. Ö. Sencerman, «Russian Diaspora as a Means of Russian Foreign Policy», Military Review, marzo-aprile 2018, bit.ly/3xla3oK

6. T. Heleniak, op. cit.

7. F. Martinez, «Narva as Method, Urban Inventories and the Mutation of the Postsocialist City», berghahnjournals.com, 1/9/2020, bit.ly/3xl8uXX

8. T. Heleniak, op. cit.

9. I. Zevelev, «Russia in the Post-Soviet Space: Dual Citizenship as a Foreign Policy Instrument», globalaffairs.ru, 18/6/2021, bit.ly/30T6oCV

10. A. Salenko, Eudo citizenship observatory – Country report: Russia, Robert Schuman Centre for Advanced Studies, luglio 2012, bit.ly/3r9VOC8

11. I. Zevelev, op. cit.

12. Ibidem.

13. R. Ganohariti, «Between politics and geo-politics: Russia amends its citizenship law», globalcit.eu, 28/4/2020, bit.ly/314h69r

14. I. Zevelev, op. cit.

15. A. Cheskin, A. Kachuvevski, «The Russian-Speaking Populations in the Post-Soviet Space: Language, Politics and Identity», Europe-Asia Studies, vol. 71, n. 1, 2019, bit.ly/3nOlIJA

16. A. Williams, «Russian Compatriots in the US: Soft Power Tools or Trojan Horses?», imrussia.org, 2/9/2020, bit.ly/3DTJwRU

17. M. Suslov, «“Russian World” Concept: Post-Soviet Geopolitical Ideology and the Logic of “Spheres of Influence”», Geopolitics, 25/1/2018.

18. Ukaz Prezidenta Rossijskoj Federacii ot 02.07.2021 g. 400, «O Strategii nacional’noj bezopasnosti Rossijskoj Federacij» (Decreto del presidente della Federazione Russa del 2/7/2021 n. 400, «Sulla Strategia di sicurezza nazionale della Federazione Russa»), kremlin.ru, bit.ly/3raatgK

19. I. Zevelev, op. cit.

20. E.V. Donets, O.S. Chudinovskikh, «Russian policy on assistance to the resettlement of compatriots against the background of international experience», populationandeconomics.pensoft.net, 25/9/2020, bit.ly/3xlDeYC

 

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