LIMESONLINE DEL 17 GIUGNO 2022 : Fabrizio Maronta, Federico Petroni, Niccolò Locatelli — ” Sedicesima settimana di guerra in Ucraina “

 

 

LIMESONLINE DEL 17 GIUGNO 2022
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IL MONDO OGGI

 

🔍🌎 Cosa rimane della sedicesima settimana di guerra in Ucraina

Carta di Laura Canali - 2020

Carta di Laura Canali – 2020.

Riassunto geopolitico degli ultimi 7 giorni di conflitto.

analisi di 

Fabrizio MarontaFederico PetroniNiccolò Locatelli

 

LE GUERRE DI LOGORAMENTO

di Niccolò Locatelli

 

Questa settimana è divenuto più chiaro che la guerra d’Ucraina non potrà essere vinta a breve sul terreno e si sta trasformando in uno o più conflitti di logoramento – il calcolo dei conflitti dipende dagli Stati considerati.
Lo attestano le decisioni non solo militari prese dai principali paesi coinvolti, a parte la stessa Ucraina.

La Russia ha ridotto le forniture di gas a Italia e Germania e interrotto indirettamente quelle alla Francia (che riceve il gas russo dalla Germania) nelle stesse ore in cui il primo ministro italiano, il cancelliere tedesco e il presidente francese si recavano insieme in visita a Kiev per la prima volta dall’invasione.

La mossa non ha prodotto grandi scossoni nell’immediato perché i paesi dell’Ue hanno iniziato da fine febbraio la ricerca di fornitori alternativi di energia; proprio questa settimana la Commissione Europea ha siglato un accordo in tal senso con Egitto e Israele. I membri dell’Ue si stanno preparando a un futuro senza gli idrocarburi russi, ma se il presidente Vladimir Putin decidesse di replicare o ampliare il taglio delle forniture a ridosso dell’inverno, potrebbe fare molto male alle economie europee.

Gli Stati Uniti hanno stanziato un ulteriore miliardo di dollari in aiuti militari all’Ucraina. Si tratta di armi per le quali è richiesto un periodo di addestramento, il che dimostra che gli Usa sono convinti che il conflitto non finirà presto e che sarà possibile logorare la Russia in Ucraina ancora per un po’. Nel frattempo, l’inflazione aumenta e la disponibilità di grano per i paesi più poveri diminuisce, con il rischio di nuove ondate migratorie scatenate dalla fame.

Putin scommette che il peggioramento delle condizioni economiche logorerà gli Stati europei al punto da indurre un ripensamento sulle sanzioni a Mosca e sul sostegno al presidente ucraino Volodymir Zelens’kyj (Zelensky). Il messaggio inviato dalla visita di Draghi, Scholz e Macron a Kiev è di segno opposto, ma chissà se sarà ancora valido in autunno. Biden vorrebbe tenere impegnata la Russia in Ucraina ancora per qualche tempo, ma non può distrarsi troppo: questa settimana la Cina ha varato la sua terza portaerei e il presidente Xi Jinping ha aperto le porte a un maggior coinvolgimento dell’Esercito di liberazione popolare in operazioni militari “diverse dalla guerra”.

Considerando che per la Russia “amica senza limiti” della Cina persino l’invasione dell’Ucraina non è una guerra ma una “operazione militare speciale”, la scelta lessicale cinese chiama l’attenzione. Nel breve periodo, potrebbe giustificare l’apertura di nuove basi e un dispiegamento maggiore di truppe all’estero; nel medio periodo, qualcosa in più. Sviluppi contro i quali si batteranno gli Stati Uniti, per i quali rimane facile non farsi logorare dalla guerra d’Ucraina.


SCONFIGGERE LA RUSSIA SÌ, MA FIN DOVE?

 


LA FINE DI UN’EPOCA

 

di Fabrizio Maronta

Quel 0,75 è la fine di un’epoca. Il denaro a costo stracciato, nullo o addirittura negativo (le banche dovevano pagare per tenere i soldi parcheggiati nei conti presso le banche centrali) ci accompagna, in forma estrema, dalla crisi dei mutui subprime del 2007-8. Ma in forma più blanda dagli anni Novanta, premiata invenzione di sua maestà Alan Greenspan che da longevo presidente della Federal Reserve (1987-2006) concorse alla finanziarizzazione dell’economia statunitense, dunque mondiale, inondandola con fiumi di danaro a prezzi da saldo. Il rialzo dei tassi deciso dalla Fed è la certificazione che il risveglio dalla sbornia monetaria è brutale. Di fronte al ritorno in grande stile del “rischio geopolitico”, com’è genericamente definito negli ambienti economico-finanziari tutto quanto esuli da economia e finanza stricto sensu, il re si scopre nudo.
Cioè: i governi e le “loro” banche centrali – a proposito: tanti saluti alla presunta indipendenza delle seconde dai primi, finzione buona per i giorni radiosi del clintoniano “it’s the economy, stupid!” – si vedono impossibilitati a contrastare gli effetti recessivi di guerra, sanzioni, Covid-19 con l’arma dei tassi d’interesse. Perché questa è stata usata e abusata al punto da renderla inservibile.

Di fronte allo spettro della stagflazione – il connubio recessione-inflazione che, sfidando la teoria economica, fece da sfondo al ventennio perduto giapponese e alla cura lacrime e sangue imposta da Ronald Reagan e dal suo banchiere centrale Paul Volcker – la Fed, presto seguita dalla Bce e tutti gli altri, mette mano al bazooka. Sparando un primo, forte colpo a cui quasi sicuramente seguiranno altri (rialzi dei tassi).

Oggi come ieri, a innescare la crisi stagflattiva è un’inflazione energetica che si somma ad altri macroscopici guasti. Su tutti, una pluridecennale stagnazione dei redditi medi che falcidia il potere d’acquisto anche in condizioni di alta occupazione.

Sullo sfondo, la tellurica revisione della “globalizzazione” imperniata sull’osmosi Usa-Cina, che precede il Covid-19 ed è da questo accentuata. Che oggi Washington contempli la revoca di alcune sanzioni a Pechino per attenuare l’inflazione esogena (importata) non sovverte questo stato di cose. Semmai ne sottolinea ulteriormente difficoltà e contraddizioni.

Le economie emergenti, già minacciate da cambiamenti climatici e crisi alimentare, vedranno accentuarsi la fuga di capitali occidentali ora che il risparmio sarà meglio pagato nei paesi delle valute dominanti (dollaro, euro, sterlina e yen). Questo, in prospettiva, schiude ulteriori margini d’azione alla Cina in regioni – Africa, America latina, Sud-Est asiatico – cruciali nella competizione geopolitica presente e futura.
Può l’Occidente permettersi quest’ulteriore perdita d’influenza? A noi contemporanei la non troppo ardua sentenza.


📙/🛂🚧 LA CORTINA DI ACCIAIO


 

L’IMPAZIENZA DEGLI USA

di Federico Petroni

Nel giro di una settimana, dagli Stati Uniti sono arrivati tre segnali di impazienza nei confronti dell’Ucraina.

Primo, le agenzie d’intelligence d’Oltreoceano si sono lamentate delle scarse informazioni condivise da Kiev sull’andamento della guerra. Gli ucraini sarebbero assai parchi di dettagli sulle loro sconfitte sul campo. Comprensibile non rivelarli pubblicamente, molto meno con chi ti paga e ti arma.

Secondo, il presidente Joe Biden ha criticato la sua controparte Volodymyr Zelens’kyj (Zelensky) per non aver creduto all’allarme americano sull’imminenza dell’invasione russa.

Terzo, i media statunitensi riferiscono che Biden ha rimproverato i suoi segretari di Stato e della Difesa, Antony Blinken e Lloyd Austin, per aver detto che l’obiettivo di Washington è indebolire in modo permanente la potenza militare della Russia. Il presidente avrebbe chiesto ai suoi di abbassare i toni.

Il rimprovero risale a fine aprile, la notizia viene diffusa soltanto ora. Non è un caso.

Il conflitto volge verso una guerra di logoramento che gli ucraini non possono vincere. La guerra economica non sta funzionando, anzi sta frazionando il fronte europeo. L’inflazione e i timori di una recessione in America spingono il governo ad autorizzare ampie evasioni alle sanzioni (come a quelle sui fertilizzanti russi), persino a sospendere alcune delle misure contro la Cina. Il mondo non occidentale mostra disinteresse verso la guerra e fastidio verso le sue ricadute economiche.

L’interesse principale degli Stati Uniti non è sconfiggere la Russia ma logorarla. Non sottrarle la Crimea ma impedirle di prendere Kiev. Il tutto senza innescare una guerra nucleare, senza spaccare il fronte occidentale e senza far saltare ciò che resta dell’ordine internazionale, cioè delle reti e delle strutture (anche economiche) con cui l’America difende la propria influenza globale.

Far la guerra indiretta a Putin pensando ai disordini interni agli Stati Uniti, alla sfida con la Cina e agli alleati in subbuglio abbassa drammaticamente l’asticella dei costi che Washington può sopportare. Vedere il nemico annettere pezzi d’Ucraina è inaccettabile, ma è molto meno inaccettabile del prezzo di andarli a liberare o di esaurire gli ucraini, effettiva avanguardia della Nato. Un’Ucraina in parte russa è molto meno inaccettabile a Washington che a Kiev. Di qui le pressioni di questi giorni sul governo di Zelensky affinché combatta per obiettivi più realistici.

 

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1 risposta a LIMESONLINE DEL 17 GIUGNO 2022 : Fabrizio Maronta, Federico Petroni, Niccolò Locatelli — ” Sedicesima settimana di guerra in Ucraina “

  1. ueue scrive:

    Non mi sembra una bella situazione!

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