IL MONDO OGGI, 6 GIUGNO 2022 — LIMES ONLINE : UCRAINA ( 1-2 ) ; USA- ARABIA SAUDITA ( 3 ); SERBIA E LAVROV – BOSNIA-ERGEGOVINA ( 4 )

 

LIMES ONLINE DEL 6 GIUGNO 2022

https://www.limesonline.com/notizie-mondo-oggi-6-giugno-guerra-ucraina-putin-minaccia-missili-kiev-grano-porto-odessa/128130

 

IL MONDO OGGI

Le minacce di Putin sui razzi per Kiev, il grano di Odessa e altre notizie interessanti

 

 

La rassegna geopolitica del 6 giugno.

analisi di Giacomo Mariotto, Federico PetroniLorenzo Noto

 

PUTIN MINACCIA

di Federico Petroni

 

Il presidente russo Vladimir Putin ha promesso rappresaglie nel caso in cui le nuove armi inviate all’esercito ucraino colpiscano il territorio della Federazione Russa e nel caso in cui gli occidentali forniscano a Kiev missili a lunga gittata.

Perché conta: Putin vuole spaventare, fissare le regole del gioco e mantenere l’iniziativa dei suoi soldati.

I pezzi d’artiglieria che stanno mandando gli Stati Uniti e il Regno Unito hanno una gittata di circa 50 miglia. Hanno esplicitamente escluso quelli di più lunga portata, quelli cui fa riferimento Putin. Niente di questo era stato fornito sinora agli ucraini. Washington e Londra si adattano all’andamento sul campo. Non appena vedono l’esercito di Kiev subire, adeguano gli armamenti. Li inviano gradualmente per non dare l’impressione ai russi di volerli rovesciare, per non rischiare di allargare il conflitto.

Tuttavia, anche i proiettili da 50 miglia possono arrivare in territorio russo, se schierati per esempio a Kharkiv. Gli ucraini ne hanno bisogno nel Donbas e statunitensi e britannici si sono fatti promettere di non usarli per colpire oltre la frontiera. Ma in guerra niente è meno definitivo delle intenzioni. Oggi sicuramente Kiev manterrà la parola, ma domani? Se cambiassero le condizioni sul terreno? Esattamente come gli anglo-americani, anche i russi annunciano le loro linee rosse. Fortunatamente in questo caso coincidono. Putin e Biden si chiariscono sulle regole del gioco.

Putin vuole anche spaventare le opinioni pubbliche occidentali, in particolare quelle dell’Europa dell’Ovest, per alimentare la già visibile stanchezza di questi paesi. Il tentativo non ha alcun effetto immediato, vedi la Spagna disposta a inviare carri armati e missili antiaerei. Ma è pensato per seminare discordia fra governi ed elettorati, non è escluso che abbia un impatto nel medio periodo.

Infine, il capo del Cremlino non vuole perdere l’iniziativa nel Donbas, dove qualche successo tattico lo si sta raggiungendo – sia pure a fatica, come dimostra la battaglia di Severodonec’k dove gli ucraini stanno vendendo cara la pelle. La nuova artiglieria rischia di rimettere in parità i rapporti di forza e di colpire le retrovie russe, cioè la logistica e le armi a media gittata. Mosca avrebbe preferito non veder proprio arrivare i lanciarazzi anglo-americani. Ora che stanno arrivando, si cerca di influire sulla loro quantità.

Questa vicenda, e in particolare la cautela americana, è emblematica di un supporto agli ucraini non totale, non assoluto. Sufficiente a farli sopravvivere, che è già una vittoria. Probabilmente senza alternativa – un conto è arrestare i russi, un altro cacciarli. Ma la dinamica continua a puntare verso una guerra di logoramento. Alla disperata ricerca di uno stallo che apra a una tregua.

 

Per approfondireSconfiggere la Russia sì, ma fin dove?

 

 

IL GRANO DI ODESSA

di Giacomo Mariotto

 

Izvestija riferisce che la Russia ha concordato con Ucraina e Turchia un piano preliminare per consentire le esportazioni ucraine di grano dal porto di Odessa. L’accordo potrebbe essere stipulato tra l’8 e il 9 giugno, in occasione della visita ad Ankara del ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov. Le autorità di Kiev hanno denunciato le indiscrezioni e hanno spiegato che liberare le acque di Odessa rischia di permettere un attacco navale sulla città.

Perché conta: In base a quanto rivelato, le Forze armate di Ankara dovrebbero sminare le acque di Odessa e scortare le navi ucraine in direzione delle acque neutrali. A quel punto, imbarcazioni militari russe, da sole o con la partecipazione dei turchi, ne garantirebbero il transito fino al Bosforo.

La Russia chiaramente non intende favorire la ripresa economica dell’Ucraina, dipendente in larga misura dalle esportazioni cerealicole. Proprio ieri alcuni missili da crociera hanno colpito un impianto a Darnyts’kyi, nei pressi di Kiev, che secondo fonti ucraine ospitava vetture utili al trasporto del grano.

Eppure Mosca auspica un accordo. Anzitutto perché teme che una crisi alimentare possa comportare gravi ricadute sulla sua proiezione geopolitica in Africa e Medio Oriente. Specialmente nei paesi fortemente dipendenti dalle importazioni ucraine, come la Libia (44%), la Siria (12%) e la Mauritania (29%).

Inoltre, il Cremlino aspira a disfarsi del marchio di unico colpevole dell’emergenza alimentare, che in prospettiva potrebbe deteriorarne ulteriormente la credibilità.

L’annuncio dell’intesa con Ankara è quindi un espediente tattico per esercitare pressioni su Kiev. Il messaggio è chiaro: se non accetterete le nostre condizioni, dovrete assumervi le responsabilità della crisi ed esportare esclusivamente via terra o attraverso porti sotto il nostro controllo. La palla passa al governo ucraino.

 

Per approfondireLa crisi alimentare incombe

 

 

DISGELO SAUDO-AMERICANO?

di Lorenzo Noto

 

Giovedì 2 giugno i membri dell’Organizzazione dei paesi esportatori di petrolio (Opec) hanno deciso di aumentare la produzione di greggio a 648 mila barili al giorno (da 432 mila) per i mesi di luglio e agosto, nel tentativo di smussare l’impennata dei prezzi successiva allo scoppio della guerra d’Ucraina. L’accordo arriva dopo che l’Arabia Saudita (principale produttore mondiale) si era detta disposta a incrementare la produzione per sopperire al calo di quella russa, aggravato, in potenza, dal nuovo pacchetto di sanzioni euroamericane approvato a fine maggio.

Perché conta: Ancor prima dell’eventuale beneficio sul mercato globale dell’oro nero, la decisione ha una valenza tutta geopolitica. Segnala una non scontata accelerazione nel delicato processo di disgelo diplomatico tra Washington e Riyad. Benché l’accordo preveda una spartizione proporzionale degli oneri produttivi tra i membri dell’organizzazione, lo sforzo maggiore lo faranno Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti in quanto unici paesi insieme all’Iraq detentori di ingenti scorte inutilizzate.

Finora Riyad si era mostrata contraria a discutere in sede Opec qualsiasi tipo d’incremento di produzione del greggio. La scelta di ammorbidirsi sul petrolio va letta come concessione, anche se parziale, alle insistenti pressioni della Casa Bianca susseguitesi in questi mesi. Indicativa, se non decisiva, la visita a fine maggio in Arabia Saudita del coordinatore della Casa Bianca per il Medio Oriente Brett McGurk e dell’inviato speciale per l’energia del Dipartimento di Stato Amos Hochstein.

La riduzione dell’Arabia Saudita a Stato “paria”, irrispettoso dei diritti umani, è stata una delle principali discontinuità in politica estera fra Biden e Trump. Discontinuità approfondita dal tentativo di riabilitare l’Iran tramite un nuovo accordo sul programma nucleare.

Con il sisma geopolitico innescato dalla guerra in Europa, la crisi energetica che si prospetta nel prossimo futuro e il possibile fallimento dei negoziati con Teheran, Biden è ora costretto a rincorrere l’ex alleato mediorientale.

È in questo contesto che va letta la svolta dell’Arabia Saudita sulla produzione del greggio. Concessione che prevede una contropartita: difficilmente Riyad sarà disposta a inficiare gratuitamente i rapporti con Mosca, imperniati sull’accordo Opec-Russia del 2016. Queste le condizioni che delimiteranno il ring del prossimo faccia a faccia Biden-bin Salman. Secondo la Cnn, la visita nel Regno del presidente americano prevista per fine giugno è stata rimandata al mese di luglio. A dimostrazione di quanto delicata sia l’operazione.

 

Per approfondireMedio Oriente, l’intesa del trentacinquesimo meridiano

 

 


NIENTE SERBIA PER LAVROV

di Federico Petroni

 

Il ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov ha cancellato la visita a Belgrado prevista per oggi perché Bulgaria, Montenegro e Macedonia del Nord, hanno negato al suo volo il transito nei propri spazi aerei. Una mossa definita «senza precedenti» dal vertice della diplomazia moscovita.

Perché conta: I tre paesi sono tutti membri della Nato. Un obiettivo dichiarato degli Stati Uniti, potenza di riferimento dell’alleanza militare, è l’isolamento internazionale della Russia. Operazione che tuttavia riesce in pieno soltanto in Europa, dal momento che molti paesi di altri continenti, come dimostrano le votazioni all’Onu sulla guerra d’Ucraina, non si schierano automaticamente con l’Occidente. I dirigenti russi non vengono dichiarati personae non gratae in ogni angolo del globo. L’intento di Lavrov a Belgrado era dimostrare proprio questo.

L’esempio più lampante è l’Indonesia, che ha invitato Putin a presenziare al vertice del G20 previsto nell’arcipelago a novembre. Di conseguenza, l’isolamento deve essere ancora più duro in Europa, sfruttando la superiorità territoriale del blocco statunitense e il fatto che la Serbia non ha accesso al mare. La vicenda illustra il drastico disaccoppiamento della sfera russa da quella euro-americana.

La mancata visita a Belgrado tuttavia difficilmente impedirà ai russi di sobillare instabilità nei Balcani. È infatti atteso a Mosca la prossima settimana Milorad Dodik, il presidente della Republika Srpska, una delle due entità della Bosnia-Erzegovina, il quale caratterizza il proprio viaggio come necessario a garantire la «stabilità» locale. Commento sibillino che lascia presagire possibili sussulti nel prossimo futuro.

A testimonianza dei timori internazionali sulla tenuta della Bosnia, il Tesoro degli Stati Uniti ha sanzionato il presidente della Federazione di Bosnia ed Erzegovina per aver volontariamente indotto uno stallo istituzionale e un ministro di Dodik con l’accusa di preparare la secessione della Republika Srpska.

 

Per approfondireCon l’assenso di Putin, Dodik ha avviato la secessione dei serbi di Bosnia

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1 risposta a IL MONDO OGGI, 6 GIUGNO 2022 — LIMES ONLINE : UCRAINA ( 1-2 ) ; USA- ARABIA SAUDITA ( 3 ); SERBIA E LAVROV – BOSNIA-ERGEGOVINA ( 4 )

  1. ueue scrive:

    I Balcani, nel loro complesso, sono quasi sinonimo di instabilità.

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