CHIARA SARACENO, Quali sono i veri limiti del reddito di cittadinanza ? LAVOCE.INFO, 16 NOVEMBRE 2021 + ROBERTO CICCARELLI, INTERVISTA A CHIARA SARACENO, IL MANIFESTO 10 NOVEMBRE 2021 — nell’intervista si capisce un po’ di più –

 

 

 

16 novembre 2021

Quali sono i veri limiti del reddito di cittadinanza*

 

 

DI CHIARA SARACENO

 

 

Il comitato scientifico di valutazione ha indicato dieci proposte per modificare il reddito di cittadinanza. Il governo ha scelto un’altra strada, ostacolando i beneficiari. Ma il problema dell’avvio al lavoro è l’assenza di politiche attive.

Il rapporto del comitato scientifico di valutazione 

Il comitato scientifico di valutazione del reddito di cittadinanza – previsto all’articolo 10, comma 1-bis, del decreto-legge 28 gennaio 2019, n. 4, ma nominato solo a marzo di quest’anno, composto da studiose/i e rappresentanti di Anpal, Inapp, Inps e del Dipartimento inclusione del ministero del Lavoro – ha prodotto un primo rapporto. 

Vi vengono evidenziati cinque tipi di criticità nel disegno della misura, che andrebbero modificati per renderla più equa ed efficace.

Riguardano:

1) i criteri di accesso alla misura;

2) la difformità nel grado di sostegno al reddito a seconda dell’ampiezza e composizione per età della famiglia;

3) la valutazione, per chi ha i requisiti, delle risorse disponibili (reddito, ricchezza mobiliare e immobiliare) ai fini della determinazione dell’entità del sostegno;

4) l’implementazione dei patti per il lavoro;

5) l’implementazione dei patti per l’inclusione sociale.

Per correggere queste criticità il comitato ha formulato dieci proposte:

 

  1. La modifica della scala di equivalenza che al momento penalizza le famiglie con minorenni e quelle numerose, non solo rispetto all’importo (cosa che può essere in parte corretta dall’introduzione dell’assegno unico), ma anche rispetto all’accesso. Viene proposto di dare ai minorenni lo stesso coefficiente degli adulti e di alzare a 2,8 (rispetto al 2,1 attuale) il coefficiente massimo. Contestualmente la soglia massima di reddito per una persona sola potrebbe essere diminuita a 5.600 euro e l’importo massimo del Rdc a 450;

  2. L’abbassamento a cinque anni del requisito di residenza per gli stranieri, in modo da poter intervenire tempestivamente sulle condizioni di disagio, prima che si cronicizzino

  3. La modulazione del contributo per l’affitto in base alla numerosità della famiglia.

  4. La considerazione di una parte del patrimonio mobiliare come reddito ai fini della determinazione del beneficio, in modo da evitare oggettive disparità di trattamento.

  5. la modifica dei criteri di congruità dell’offerta di lavoro, per tenere meglio conto delle basse qualifiche e della distanza dal mercato del lavoro di molti beneficiari pur teoricamente “occupabili”, per incoraggiarli a fare esperienze di lavoro anche parziali e temporanee, ma considerando congrue dal punto di vista della distanza solo offerte nel raggio di 100 km.

  6. Riduzione dell’attuale altissima aliquota marginale che scoraggia il lavoro regolare, portandola dall’80 al 60 per cento e senza limiti di tempo, ma fino alla soglia di imposizione fiscale.

  7. Eliminazione dell’imposizione di una dichiarazione di immediata disponibilità al lavoro da parte di tutti i beneficiari, richiedendola solo a coloro che vengono indirizzati ai centri per l’impiego, in modo da evitare inutili duplicazioni di prese in carico da parte di questi e dei servizi sociali

  8. Estensione degli incentivi ai datori di lavoro che offrono un contratto almeno annuale a tempo pieno oppure a orario parziale ma a tempo indeterminato, sospendendo anche, in attesa di un aumento dell’efficienza dei centri per l’impiego e delle piattaforme, l’obbligo a registrarsi sulla piattaforma apposita.

  9. Consentire che i partecipanti ai progetti di utilità collettiva – Puc – vengano individuati sulla base delle competenze e interessi.

  10. Eliminare la norma, controproducente e in radicale contrasto con ogni principio di gestione prudente del bilancio familiare, che richiede di spendere integralmente il beneficio mensile, salvo venir decurtato il mese successivo della somma non spesa.

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Si tratta di proposte in parte simili a quelle avanzate da altri addetti ai lavori, in parte nuove. Il comitato non è invece d’accordo con l’introduzione di soglie differenziate a livello territoriale, una proposta ripresa anche da Massimo Baldini su questo sito. Non solo perché, nel caso, dovrebbero essere più di due o tre, per tenere conto dell’effettiva variabilità del costo della vita, ma perché, accanto a quest’ultima, occorrerebbe tenere conto anche della disponibilità di beni pubblici, che sono generalmente meno presenti là dove il costo della vita è più basso. Il comitato suggerisce invece di considerare il Rdc il livello base, che, a differenza di quanto avviene oggi, può e deve essere integrato al livello locale in base a una valutazione più fine dei bisogni e delle risorse.

 

Una stretta dal valore simbolico

Il rapporto è stato reso pubblico il 9 novembre, ma i suoi risultati e relative proposte erano già stati anticipati al ministro del Lavoro e portati al tavolo in cui veniva definita la legge di bilancio.

Come ha osservato Baldini, tuttavia, poco o nulla di quanto proposto dal comitato ha trovato accoglimento. Al contrario, alcune delle modifiche inserite sembrano rispondere più a una narrazione più o meno fantasiosa e ideologica, e pesantemente negativa, sui beneficiari del reddito di cittadinanza che a una analisi dei dati empirici. In particolare, la narrazione per cui i beneficiari rifiuterebbero le offerte di lavoro perché il Rdc dà loro abbastanza di che vivere, non trova riscontro empirico non solo nelle somme effettivamente percepite – 577 euro in media per famiglia, non per individuo, al mese – ma neanche in dati attendibili.

Manca infatti una base dati nazionale che documenti le offerte effettivamente fatte ai beneficiari “occupabili” (un terzo circa di tutti i beneficiari) e i rifiuti da parte di questi ultimi. Non è ancora stata risolta la questione di come mettere in comunicazione e condivisione centri per l’impiego che dipendono dalle regioni. Quello che sappiamo è che meno di un terzo dei teoricamente “occupabili” è stato preso in carico da un Cpi ( Centri per l’impiego, ANPAL). Il che non significa che abbia ricevuto una proposta di lavoro o di formazione, ma che il suo caso ha cominciato a essere esaminato. Quindi la stretta inserita in finanziaria, in base alla quale le offerte rifiutabili senza decadere dal beneficio non sono più tre, ma due, ha valore puramente simbolico, che rafforza l’idea dei beneficiari come pigri nullafacenti, evitando di mettere a fuoco la carenza di politiche attive e la mancanza di domanda di lavoro di qualità adeguata alle basse qualifiche della stragrande maggioranza dei beneficiari.

 

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Analogo significato ha l’aver ridefinito come congrua una seconda offerta di lavoro su tutto il territorio nazionale. Come se un imprenditore veneto andasse a cercare possibili lavoratori tra i beneficiari campani o siciliani e questi potessero permettersi i costi di spostamento, oltre che organizzativi, stanti i bassi salari cui possono aspirare con le loro qualifiche. Se l’attivazione verso il lavoro non sta funzionando come ci si aspettava, quindi, non è “colpa dei beneficiari”, ma della scarsità, quando non assenza, di politiche attive, unita alla scarsità di una domanda di lavoro adeguata alle caratteristiche di questa particolare offerta. Analogamente, se i patti per l’inclusione stentano a partire, così come i Puc (progetti di utilità collettiva), non è colpa della resistenza dei beneficiari, ma della difficoltà in cui si trovano molti servizi sociali a far fronte a questo nuovo compito e alla complessità della governance dei Puc.

*L’autrice è Presidente del Comitato Scientifico per la valutazione del Reddito di cittadinanza

IL MANIFESTO DEL 10 NOVEMBRE 2021

https://ilmanifesto.it/chiara-saraceno-reddito-di-cittadinanza-nessuna-riforma-irrigiditi-controlli-e-penalita/

 

 

Chiara Saraceno: «Reddito di cittadinanza, nessuna riforma, irrigiditi controlli e penalità»

 

Intervista. Parla la sociologa che presiede il Comitato scientifico. Ieri ha presentato dieci proposte per modificare il provvedimento più discusso degli ultimi anni con il ministro del lavoro Andrea Orlando. Chieste numerose modifiche per redistribuire le risorse alle famiglie numerose, correggere iniquità e moralismi contro i poveri, superare proposte irrealistiche e ingiuste come l’obbligo di lavorare a 250 km da casa e oltre. “Il vero problema è che in Italia manca la domanda di lavoro”. “L’esclusione degli stranieri extracomunitari dal «reddito» è ingiusta e miope. 10 anni sono il requisito più alto al mondo. Va dimezzato”

 

La sociologa Chiara Saraceno con il ministro del lavoro Andrea Orlando

La sociologa Chiara Saraceno con il ministro del lavoro Andrea Orlando

© LaPresse

 

Roberto Ciccarelli

EDIZIONE DEL 10.11.2021

PUBBLICATO9.11.2021, 23:59

AGGIORNATO10.11.2021, 9:21

 

 

Professoressa Chiara Saraceno, come presidente del Comitato scientifico per la valutazione del «reddito di cittadinanza» ieri ha presentato, con il ministro del lavoro Andrea Orlando, dieci proposte di modifica. È d’accordo con chi sostiene che nella legge di bilancio questa misura è stata riformata?

L’ho sentito dire da Conte in televisione. Non scherziamo. Oltre al rifinanziamento del «reddito», cosa importante, ciò che è stato fatto è una stretta sui controlli ex ante sull’erogazione della misura e un irrigidimento delle penalità pensato, a mio sommesso parere, in maniera un po’ irrealistica.

A cosa si riferisce?

Per esempio alla decadenza del «reddito» in caso di rifiuto di una seconda offerta di lavoro a 250 chilometri dalla città di residenza o addirittura su tutto il territorio nazionale. Ma quale imprenditore di Trieste o Bolzano cercherebbe chi prende il reddito e abita a Messina? Sono decisioni che rafforzano una narrazione negativa sui percettori del reddito senza in realtà toccare il problema: in Italia manca una domanda di lavoro adeguata alle caratteristiche di potenziali lavoratori molto fragili, con basse qualifiche, che non possono aspirare a redditi alti.

 

Cosa pensa del taglio del sussidio dopo il primo rifiuto di un’offerta di lavoro «congrua» voluto dal governo?

Non è un taglio molto consistente, mi sembra di 5 euro al mese, per fortuna. Mi auguro che il décalage avvenga solo sulla quota di reddito di chi rifiuta l’offerta e non ai danni di tutta la famiglia. È più un segnale di incoraggiamento a non rifiutare l’offerta. Ma io non mi sarei spinta su queste punizioni.

La definizione di un’offerta di lavoro «congrua» è un rompicapo. Avete proposto modifiche. Quali sono?

Ci siamo preoccupati del fatto che alcune norme che riguardano questa idea di «congruità» siano forse troppo rigide e troppo lontane dalla condizione dei percettori del «reddito». Ricordo che più di due terzi non sono reputati in grado di lavorare. So che la proposta sarà criticata da qualcuno ma noi suggeriamo di dire che, anche se il lavoro è inferiore ai tre mesi di contratto, al momento limite minimo per la legge, e se fosse minimo di un mese a tempo pieno e pagato il giusto, l’offerta dovrebbe essere ritenuta congrua perché chi è «preso in carico» ha bisogno di entrare nel mercato del lavoro e fare un’esperienza. Ciò detto, non a 250 chilometri o su tutto il territorio nazionale. Visto il reddito da lavoro che percepiranno come farebbero a mettersi in viaggio per un mese di lavoro? Non succederà mai. La possibilità di cumulare è prevista in altri paesi europei e negli Usa. Si può affiancare al sostegno un reddito da lavoro entro un certo livello.

 

Non c’è così il rischio di aumentare il precariato senza emancipare dalla povertà?

Il precariato esiste e non è solo quello di chi ha un reddito di cittadinanza che lavora con contratti a tempo determinato. La mia preoccupazione è che queste persone siano messe in grado di diventare occupate in maniera dignitosa. Vivere di assistenza non è il massimo. Non si inventano lavori precari per loro, si tratta invece di legittimare l’idea che si possa integrare il reddito di cittadinanza con quello da lavoro così da rendere possibile fare qualcosa per se stessi. Lo ripeto: il problema è la domanda di lavoro che è scarsa anche per persone più qualificate.

 

Le imprese e alcuni partiti sostengono che il reddito impedisce di trovare lavoratori. È quello che risulta dalle vostre analisi?

È una delle tante narrazioni che non ha nessun fondamento empirico. Non esistono dati sulle offerte di lavoro a percettori di «reddito» e su quelle rifiutate. Gli unici che abbiamo sono quelli sulle «prese in carico» da parte dei centri per l’impiego e riguardano una parte di chi ha firmato il patto per il lavoro. Tutti gli altri sono mandati ai servizi sociali. Le «prese in carico» non indicano chi ha un lavoro, o lo ha rifiutato, ma che c’è stato solo un incontro con gli addetti dei centri per l’impiego. La pandemia ha fermato tutto mentre i centri per l’impiego, diciamo, che non funzionano molto bene per tutti. Non si vede perché dovrebbero farlo solo per una forza lavoro fragile. Se qualcuno ha trovato un lavoro lo ha fatto per conto proprio.

 

Chiedete anche una modifica alla norma che fa decadere il reddito a tutta la famiglia. Di cosa si tratta?

Se un beneficiario non sta agli obblighi viene tolto tutto il reddito a lui e alla sua famiglia. A noi questo pare sommamente ingiusto, e avviene già oggi. Non si capisce perché debbano essere ritenuti colpevoli i minorenni. Oppure se un figlio adulto non sta agli obblighi perché i genitori non dovrebbero continuare a essere sostenuti? È un controsenso rispetto alla norma che dice che gli adulti possono avere la quota di reddito. Ma allora, se è così, lo si tolga a chi è responsabile, non a chi non lo è.

 

Un’altra norma punitiva è quella dei vincoli alle spese con la carta del reddito. Chiedete di modificare anche questa norma?

Sì. Mi è stato spiegato che, tre anni fa, si è pensato che questa norma potesse incentivare i consumi. Ma partire dai poveri assoluti non mi sembra un’idea brillante. Noi la troviamo una norma assurda, risultato di una visione moralistica dei poveri a cui si pretende di insegnare come vivere. Ma imporre di spendere tutto subito va contro l’idea che bisogna imparare a gestire il bilancio familiare, che le spese non sono le stesse tutti i mesi e che è importante risparmiare non per comprarsi una barca ma per fronteggiare spese emergenziali: la macchina o la lavatrice che si rompono. Nelle politiche di accompagnamento esiste un’altra necessità: programmare le spese future.

 

In Italia esiste un grande bisogno di reddito. L’Inps sostiene che sono state rifiutate in tre anni più di un milione di domande. Questa situazione è dovuta al fatto che i criteri di accesso alla misura sono troppo ristretti?

Possono anche essere state rifiutate anche perché erano domande molto più alte dei vincoli. Per certi versi abbiamo una soglia abbastanza alta rispetto ad altri paesi. Il problema è la scala di equivalenza che penalizza le famiglie numerose ed esclude quelle più povere mentre prevalgono quelle fatte da adulti, le famiglie piccole o i single. Noi suggeriamo di modificare i coefficienti, equiparando semplicemente i minorenni agli adulti, per rendere più facile l’accesso alle prime e, in più, proponiamo di abbassare l’importo massimo per i single a 450 euro. Operiamo una redistribuzione interna delle risorse.

 

Avete chiesto di portare a 5 anni di residenza, da 10, la norma che esclude i cittadini stranieri extracomunitari dal reddito. Il ministro Orlando ha parlato di una «famiglia di proposte» che potrebbero essere «divisive» per la maggioranza. È una di queste?

So bene che è l’ultima cosa che passerà, ma la norma è irragionevole dal punto di vista della giustizia e strategico. I 10 anni sono il requisito di residenza legale più alto al mondo. Queste sono persone che pagano le tasse, sono qui da tempo e sono tra le più povere. Escluderle dal «reddito» per così tanto tempo rischia di peggiorare le loro condizioni fino a un punto di non ritorno. Senza contare che ci sono i minori. Colpirli significa aumentare i costi sociali dell’esclusione. La misura costerebbe 300 milioni in più, considerate le risorse stanziate è sostenibile. Non farlo sarebbe miope.

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