FEDERICO PETRONI, Le manovre dietro la crisi dei migranti in Bielorussia e altre notizie interessanti — LIMESONLINE.COM – 10 NOVEMBRE 2021  +++Miłosz J. Zieliński, LA POLONIA FA IL TIFO PER LA PIAZZA, LIMESONLINE DEL 14 SETTEMBRE 2020

 

 

 

 

LIMESONLINE.COM – 10 NOVEMBRE 2021 

https://www.limesonline.com/notizie-mondo-oggi-10-dicembre-migranti-polonia-bielorussia-merkel-putin/125650

 

Le manovre dietro la crisi dei migranti in Bielorussia e altre notizie interessanti

 

Carta di Laura Canali - 2020

Carta di Laura Canali.

 

 

 

 10/11/2021

La rassegna geopolitica del 10 novembre.

analisi di Federico Petroni, Giorgio Cuscito, Lorenzo Noto

 

MIGRANTI, RUSSIA, GERMANIA, TAIWAN, CINA, ENERGIA

MERKEL CHIAMA PUTIN SUI MIGRANTI

 

di Federico Petroni

 

 

 

La cancelliera tedesca Angela Merkel ha chiesto al presidente russo Vladimir Putin di intervenire nella crisi dei migranti fra Polonia e Bielorussia, definendo l’operato di quest’ultima una “strumentalizzazione disumana e inaccettabile”. In precedenza, il governo di Varsavia aveva accusato prima la Russia e poi anche la Turchia di aiutare Minsk a trasferire profughi di origine curda alla frontiera tra i due paesi, dove sorge un accampamento di migliaia di persone.

 

 

 

Perché conta:

 

La crisi dei migranti arriva al cuore della questione: la delimitazione di sfere d’influenza in Est Europa. Il confine tra Polonia e Bielorussia non separa soltanto due paesi. Separa un cuscinetto della Germania da un cuscinetto della Russia. Separa il fianco orientale della Nato, dunque l’impero europeo dell’America, dall’ultima frontiera russa su cui non insiste un satellite degli Stati Uniti.

 

Questa crisi nasce dal tentativo polacco-lituano di sfilare Minsk a Mosca, cavalcando le proteste del 2020 contro il regime di Aljaksandr Lukašenka. Il presidente bielorusso si vendica sul punto debole dei due paesi vicini, lo stesso che non ha permesso loro di accettare rifugiati nelle precedenti ondate migratorie: la paura dello straniero.

 

Dietro queste tensioni non per forza c’è la Russia, ma sicuramente la Russia ne beneficia. Perché confermano la Bielorussia sotto la sua influenza. Politicamente: Lukašenka si è stretto a Putin che lo ha salvato dalla sua gente la scorsa estate. E militarmente: polacchi e lituani stanno costruendo barriere alla frontiera, aumentando il divario con Minsk invece di attirarla a sé come sarebbe il loro obiettivo.

 

L’intervento della Germania era inevitabile. Berlino non vuole che i migranti attraversino la Polonia. Già l’anno scorso all’apice dei moti bielorussi garantì a Mosca di non volerle scippare il satellite. Punta a tenere il gasdotto Nord Stream 2 al riparo dalla crisi, specie in tempi non proprio di abbondanza sui mercati europei del gas.

 

La Russia pertanto chiederà di lasciare stare Minsk, cioè di riconoscerla nella sua influenza. Ardua concessione per la Germania. Che ha già dimostrato di non volersi esporre per i bielorussi in presenza di una non matura volontà di distacco da Mosca, ma non deve dare l’impressione di inscenare l’ennesima intesa della storia fra tedeschi e russi. I popoli che stanno nel mezzo hanno la memoria lunga. E anche gli americani.

 

 

 

Per approfondire:

 

LIMESONLINE DEL 14 SETTEMBRE 2020

https://www.limesonline.com/cartaceo/la-polonia-fa-il-tifo-per-la-piazza

 

LA POLONIA FA IL TIFO PER LA PIAZZA

 

Carta di Laura Canali

Carta di Laura Canali

 

 14/09/2020

Il forte legame storico-culturale rende Varsavia compartecipe delle traversie dei bielorussi. Il mito della Confederazione polacco-lituana. La mano tesa del piano solidarietà. Già prima del 1989, la diaspora aveva chiara l’agenda per l’Est.

 

di Miłosz J. Zieliński– Dottorato in Studi culturali. Ricercatore e diplomatico di carriera, ha prestato servizio a Varsavia, Bruxelles, La Valletta e Kaliningrad.

da : https://www.limesonline.com/cartaceo/autori-81

Pubblicato in: È LA STORIA, BELLEZZA! – n°8 – 2020
POLONIA, BIELORUSSIA, LITUANIA, GUERRA FREDDA

1. Non sarebbe sbagliato dire che nell’ultimo mese decine di migliaia di bielorussi sono scesi in piazza contro la mancanza di libertà politica e di stampa, esprimendo stanchezza e delusione verso Aljaksandr Lukašenka, in carica dal 1994. Tuttavia, leggere gli avvenimenti bielorussi in un’ottica appena venticinquennale implica limitarsi a grattare la superficie. Per comprendere costa sta accadendo in Bielorussia bisogna scavare nei cambiamenti culturali, sociali ed economici dell’ultimo secolo.

Il 1920, infatti, configura una netta cesura per l’identità, la modernizzazione sociale e la democratizzazione bielorusse. Una storia cui la Polonia è tutt’altro che estranea.

 

Nel 1920, sebbene fossero passati già due anni dalla fine della prima guerra mondiale, l’Europa centro-orientale era ancora in fiamme. Il collasso della Germania, della Russia e dell’Austria-Ungheria aveva schiuso alle etnie locali un’opportunità unica di avanzare le proprie rivendicazioni. Nell’Ottocento le classi colte avevano gettato le basi di una lingua bielorussa, ma non avevano scalfito le identità originarie cui molti bielorussi restavano ancorati. Fino alla fine del dominio zarista la Bielorussia era rimasta rurale, con poche cittadine e un’industria embrionale. Scontava inoltre la soverchiante influenza dell’amministrazione russofona e del forte movimento nazionale polacco.

 

Tuttavia, gli sconvolgimenti della guerra diedero impulso al tentativo di creare uno Stato bielorusso. L’anticomunista Repubblica Popolare Bielorussa, dichiarata nel 1918, durò meno di un anno e rimase per lo più sulla carta. I suoi fautori le rivendicavano un vasto territorio da essi identificato come etnicamente bielorusso: da Białystok e Vilnius (a ovest) a Smolensk e Brjansk (a est), cioè dalle attuali Polonia e Lituania alla Russia. Le autorità della Repubblica finirono presto in esilio e poi divampò la guerra polacco-bolscevica; tuttavia, la memoria di quella fugace esperienza sopravvisse.

 

Al tempo la Russia bolscevica lottava per esportare la rivoluzione in Europa occidentale e la Polonia indipendente era il primo ostacolo sulla sua strada. Nel 1920 la guerra raggiunse un punto di svolta quando la battaglia di Varsavia obbligò l’Armata Rossa a ritirarsi verso est. Nei mesi successivi le truppe polacche avanzarono velocemente e in ottobre ripresero Minsk, arrivando a controllare il grosso dell’attuale territorio bielorusso.

 

Il conflitto tra Polonia e Russia era molto più di uno scontro ideologico. Conteneva anche una forte dimensione geopolitica che fu ben delineata da due geografi polacchi, Wacław Nałkowski e Eugeniusz Romer, i quali studiarono attentamente l’orografia ( studio dei rilievi ) dell’Europa centro-orientale e, pur giungendo a conclusioni diverse, definirono strategicamente importante il territorio dell’odierna Bielorussia.

 

Nałkowski riteneva che le terre appartenute alla Polonia nel corso dei secoli avessero un carattere transitorio, indeterminato. Le pianure dell’Europa centro-orientale fornivano ampio spazio di manovra agli eserciti, favorendo i conflitti e l’incertezza. Ne erano prova le grandi guerre combattute nei secoli sull’Oder, sulla Vistola e sul Dnepr. In questa visione, le terre integranti le contemporanee Polonia, Bielorussia, Lituania e Ucraina erano maledette e destinate a essere teatro di lotte geopolitiche tra entità diverse. Nałkowski morì nel 1911, tre anni prima della grande guerra.

 

Romer concepiva invece il carattere transitorio della regione come un’opportunità, non una minaccia. Le terre dell’Europa centro-orientale erano, per lui un ponte tra culture, religioni e modi di vivere differenti. Credeva che ciò avesse facilitato in passato e, verosimilmente, avrebbe agevolato in futuro occasioni di commercio e i ntegrazione. Il suo ottimismo traeva origine dallo studio del regno iagellonico (Iagelloni, dinastia reale, di origine lituana, che regnò in Polonia (1386-1572), in Ungheria e in Boemia (1471-1526) )  che a un certo punto era arrivato a includere diversi paesi europei. Sorta di lontano preludio alle idee d’integrazione continentale.

 

2. I negoziati polacco-bolscevichi di Riga portarono alla firma, nel marzo 1921, di un trattato bilaterale che suddivideva l’odierno territorio bielorusso.Circa un terzo dello stesso fu assegnato alla Polonia; il resto, inclusa Minsk, divenne sovietico. Al risultato contribuì il fatto che entrambe le parti erano esauste dopo anni di conflitto; volevano concentrarsi sulla ricostruzione economica e sul rafforzamento delle istituzioni statali.

 

I russi offrirono ampie concessioni territoriali, inclusa Minsk, ma queste furono rifiutate per via dei conflitti interni alla politica polacca. I federalisti bramavano infatti una federazione che unisse la Polonia alle nazioni dell’Europa dell’Est e che fungesse da antemurale alla Russia sovietica, mentre i nazional-democratici ragionavano su base etnica. Insomma: chi combatté la guerra dal lato polacco non fu poi chi negoziò la pace con Mosca. Siccome Minsk fu lasciata ai sovietici, questi poterono esercitare un controllo sull’élite bielorussa. Risale ad allora il termine «Bielorussia occidentale», volto a sottolineare la divisione delle terre bielorusse e la volontà di riunificarle sotto gli auspici di Mosca.

 

La parallela istituzione della Repubblica Socialista Sovietica Bielorussa (e della sua omologa ucraina) fu addotta a prova della presunta libertà dei bielorussi dentro l’Urss.

L’iniziale fase di nativizzazione promosse rappresentanti della neonata repubblica nei ranghi della burocrazia e della nomenclatura, anche per attirare i nazionalisti bielorussi residenti in Polonia. Il processo, tuttavia, fu brutalmente interrotto tra la fine degli anni Venti e l’inizio dei Trenta dalle brutali purghe che avrebbero aperto la strada al ferreo controllo russo sulla vita culturale e sociale, in Bielorussia come nelle altre repubbliche sovietiche. L’élite nazionale bielorussa ricevette allora un altro duro colpo.

 

 

 

Carta di Laura CanaliCarta di Laura Canali

 

 

Un processo non meno importante che caratterizzò la Bielorussia nella fase interbellica fu la rapida industrializzazione e il connesso inurbamento. A metà anni Venti, di circa 4,4 milioni di persone solo un settimo viveva in città. La principale, Minsk, contava appena 125 mila abitanti, per metà ebrei. L’industrializzazione forzata introdotta da Stalin modificò il paesaggio rurale, rendendolo sempre più urbano: 17 anni dopo Minsk aveva raggiunto 300 mila abitanti. Nelle città lingua e cultura russe erano promosse a spese del bielorusso, spesso decritto come antiquato e volgare. Il fenomeno non era nuovo: già prima della rivoluzione d’Ottobre molti attivisti politico-culturali russi sostenevano che non esistesse una nazione bielorussa a sé stante.

 

3. Quando l’Unione Sovietica invase la Polonia insieme alla Germania nazista nel 1939, la sua propaganda dipinse l’invasione come la riunificazione lungamente attesa tra le «due Bielorussie» (occidentale e orientale) e l’Ucraina. Elezioni-farsa organizzate nell’ottobre di quell’anno fornirono una base formale all’annessione. Arresti ed esecuzioni indebolirono ogni resistenza al dominio sovietico; la successiva guerra tra Russia e Germania causò danni e perdite ingenti all’intero territorio dell’attuale Bielorussia. La guerra totale della Wehrmacht e la tattica russa della terra bruciata rovinarono città e campagne. Minsk, Varsavia e Berlino furono le tre capitali europee con il maggior grado di distruzione. Circa tre milioni di individui che vivevano entro i confini dell’odierna Bielorussia persero la vita, molti dei quali ebrei. Non stupisce che la vittoria sul Terzo Reich divenne un mito fondante per almeno due generazioni di bielorussi, nonché il sostrato ideologico del potere di Lukašenka.

 

La tragedia bellica favorì l’ulteriore sovietizzazione e russificazione del paese. Mosca ebbe infatti carta bianca nel riscostruire la nuova Bielorussia sovietica a sua immagine e somiglianza: nei primi anni Sessanta il russo era materia e veicolo d’insegnamento in tutte le scuole del paese. Alla vigilia del crollo dell’Urss, l’80% circa degli scolari parlava russo ed esibire legami con la cultura russa era spesso un mezzo utile all’avanzamento economico, sociale e politico.

 

D’altro canto, non bisogna dimenticare che per molti il dominio sovietico nel secondo dopoguerra comportò maggior accesso all’istruzione, alle cure mediche e ad altri beni, malgrado i limiti dell’economia pianificata.

 

La Bielorussia è forse la sola repubblica socialista d’Europa ad aver complessivamente beneficiato dei 45 anni di dominio sovietico. Quando nel marzo 1990 si celebrarono le elezioni per il soviet supremo, gli indipendentisti del Fronte popolare conquistarono appena il 10% dei seggi. La dichiarazione di sovranità del luglio 1990 e quella d’indipendenza dell’agosto 1991 furono ampiamente sostenute dal movimento indipendentista (che si rifaceva alla Repubblica Nazionale) e dalla nomenklatura comunista, che cercava modi di privatizzare i beni statali per consolidare la propria posizione nel nuovo corso.

 

Quanto sopra aiuta a comprendere l’attuale crisi bielorussa, esplosa trent’anni dopo il collasso dell’Urss, un quarto di secolo dopo l’avvento di Lukašenka e dieci anni dopo il fallito golpe del 2010. Di certo i bielorussi sembrano coscienti del prezzo che comporterebbe ricorrere alla violenza: gli eventi ucraini del 2013-14, pur sfociati in un processo di democratizzazione e in profonde riforme costituzionali, sono lì a ricordarlo. Può essere un prezzo troppo alto per un paese che serba ancora viva memoria delle devastazioni belliche.

 

D’altro canto, molti sostengono che il processo di costruzione di un’identità nazionale ucraina non sia mai stato davvero completato. Inficiato all’inizio dalla guerra polacco-bolscevica e dal suo esito territoriale, sarebbe stato poi congelato dalla sovietizzazione e dalla russificazione, che avrebbero relegato il nazionalismo bielorusso a una posizione marginale con scarse probabilità di sopravvivere alla dissoluzione dell’impero. Solo negli ultimi trent’anni l’idea di una specifica etnia bielorussa è tornata in auge. È forse per questo che i manifestanti sventolano la bandiera biancorossa della Repubblica Nazionale e della Repubblica di Bielorussia del 1991-95. La nazione ha molto cui rifarsi, ma deve ancora completare la reazione dei suoi miti fondativi.

 

4. Per oltre due secoli la Bielorussia ha fatto parte della Confederazione polacco-lituana, i cui soggetti principali erano il Regno di Polonia e il Granducato di Lituania. Quest’ultimo era dominato dalla nobiltà rutena, in gran parte ortodossa e di lingua proto-bielorussa. Il granducato, dunque, è sovente considerato il precursore politico della Bielorussia. Lo stesso Lukašenka ha contribuito a promuovere quest’idea: pur non negando mai l’importanza decisiva della seconda guerra mondiale nel processo di definizione dell’odierna Bielorussia, in diverse occasioni ha elogiato il Granducato di Lituania al punto da definirlo uno Stato bielorusso. Per lui era un classico equilibrismo tra Russia e Occidente, per i bielorussi un invito a spingersi nel passato oltre il 1945.

 

 

Carta di Laura Canali - 2018Carta di Laura Canali – 2018

 

 

Polonia e Lituania sono stati anche termini di paragone economici. Entrambi i paesi hanno trasformato con successo le rispettive economie, aumentando rapidamente il proprio benessere. I numeri parlano da soli: secondo la Banca mondiale, nel 2019 il pil pro capite dei due paesi ha raggiunto i 35 mila dollari, mentre in Bielorussia resta sotto i 20 mila. L’economia bielorussa sta diventando sempre più obsoleta. Dominata com’è dallo Stato, che lascia poco spazio al libero sviluppo della piccola impresa. È una politica rischiosa per un paese senza sbocchi sul mare, con una popolazione relativamente esigua e poche risorse naturali.

 

Il richiamo economico di Polonia e Lituania, insieme alla loro prossimità geografica e culturale, le ha rese meta privilegiata dell’emigrazione economica bielorussa. Dopo la Russia, sono le destinazioni preferite dai bielorussi che emigrano per brevi e lunghi periodi: nel 2019 oltre un quinto di tutti i lavoratori immigrati presenti in Lituania aveva nazionalità bielorussa. I due paesi attraggono anche per lo shopping, in quanto offrono prodotti di buona qualità a prezzi competitivi. Non è difficile vedere auto targate BY per le strade di Varsavia e Vilnius.

 

I trent’anni trascorsi dal crollo dell’Urss hanno visto un notevole ricambio generazionale. I giovani di venti o trent’anni non ricordano il dominio sovietico e sono in gran parte immuni dalla sindrome dell’homo sovieticus; sono meglio istruiti, meno timorosi e più consci delle cause che hanno determinato il fallimento delle proteste nel 2010.

 

L’inizio dello scorso decennio è cruciale per comprendere cosa accade oggi in Bielorussia. Allora la mobilitazione delle giovani generazioni, abili nell’usare i social media per diffondere rapidamente le informazioni, precipitò gli eventi in Nordafrica e Medio Oriente. In Bielorussia, invece, la crisi economico-finanziaria del 2009 e i dubbi risultati delle elezioni presidenziali innescarono vaste proteste facilmente domate da Lukašenka, che non dovette usare tutte le risorse a sua disposizione. Si limitò a far leva sulla relativa debolezza dei manifestanti, male organizzati e senza guide salde.

 

Oggi è diverso. La gioventù bielorussa ha meno paura rispetto a dieci anni fa, in parte perché sa di non avere molto da perdere. Urbanizzati, ben istruiti, pratici delle nuove tecnologie e mentalmente aperti, i giovani vedono le potenzialità di un paese gestito con criteri da fine anni Ottanta, alquanto opachi. Il successo del settore informatico bielorusso, di cui le autorità andavano ironicamente fiere, mostra i veri limiti all’iniziativa privata nel paese. Per i funzionari di Minsk va tutto bene finché è controllabile. È come aggiungere un sofisticato computer di bordo a una vecchia auto: la vetusta batteria del veicolo non ce la fa.

 

5. Il futuro degli eventi bielorussi ci riguarda da vicino. In parte per la vicinanza geografica del paese: adiacente a Nato e Unione Europea, Minsk è stata costantemente al centro dell’attenzione negli ultimi anni. Lo attestano i numerosi tentativi di istituire una cooperazione in materia di diritti umani e società civile. Nel caso della Polonia, la ratio intellettuale di un simile sforzo precede la transizione pacifica del 1989. I circoli della diaspora polacca in Francia, soprattutto quello raccolto attorno alla rivista Kultura di Jerzy Giedroyc, coniarono il concetto di Ulb, al cui centro sta il sostegno di Varsavia all’indipendenza di Ucraina, Lituania e Bielorussia.

 

Da allora, l’Ulb guida la politica estera della Polonia democratica. Esso si è tradotto nei programmi volti a promuovere i contatti diretti tra le popolazioni, il dialogo storico e la condivisione dell’esperienza polacca dopo il 1989 in campi come l’autogoverno, gli standard universitari e lo sviluppo di una vibrante società civile. Rientrano in quest’ambito le borse di studio Kastus´ Kalinou˘ski, istituite nel 2006, oggi il maggior programma europeo volto a far studiare all’estero – in Polonia — i giovani bielorussi filodemocratici.Grazie anche ad altre iniziative, il loro numero supera oggi i 10 mila. Recentemente il governo polacco ha annunciato nuove misure di sostegno ai manifestanti bielorussi vittime di repressione, denominate nell’insieme «piano solidarietà».

 

Le proteste hanno raggiunto un punto tale da determinare cambiamenti strutturali in Bielorussia?

Difficile dirlo; certo è che la società bielorussa, forzatamente uniformata nel periodo sovietico, attraversa oggi un accelerato processo di maturazione civica cui concorre l’opposizione a procedure elettorali fumose e antidemocratiche mediante manifestazioni pacifiche, estese a tutto il paese. Da questa opposizione è sorta una potente rete nazionale capace di agire in modo coordinato. Contrariamente al 2010, il sistema politico creato in Bielorussia negli ultimi 25 anni è incapace di far passare sotto silenzio tale realtà, facendo finta che non esista. Dovrà dunque rispondere: trasformandosi in una dittatura ancor più dipendente da Mosca, o intavolando un dialogo pacifico che preluda a graduali riforme.

 

Il passato condiviso da bielorussi, lituani e polacchi è un fattore notevole nella presente equazione. La memoria delle tradizioni democratiche della prima confederazione e la prossimità politica, sociale e culturale che essa evoca non vanno trascurate. Sembrano eventi lontani, ma la loro eco è ancora forte. Resta da capire quale nota risuonerà: se quella di Wacław Nałkowski o quella di Eugeniusz Romer.* ( vedi prima parte dell’articolo )

 

(traduzione di Fabrizio Maronta)

 

 

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  1. ueue scrive:

    Ho sempre pensato che l’unificazione dell’Italia fosse stata quasi un miracolo politico. Prendendo nota di queste realtà storiche così frammentate, teatro tragico di guerre di sterminio e non solo, risalta la difficoltà di stabilizzazione di Stati che da sempre sono oggetto di rivendicazioni da parte di Stati vicini più solidi e storicamente più compatti.

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