GOFFREDO FOFI, L’horror e il nostro rapporto con i morti –AVVENIRE, 25 GENNAIO 2019

 

 

Avvenire

 

venerdì 25 gennaio 2019

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L’horror e il nostro rapporto con i morti

Goffredo Fofi

Da critico cinematografico irregolare e curioso o, come si dice, non iscritto all’albo, ho sempre avuto attenzione e passione per un cinema irregolare e curioso, e ho visto anche nel genere horror un interesse extra-artistico. La cultura popolare innervava un tempo la produzione cinematografica suggerendogli temi e modi che viravano facilmente al fantastico, e tra questi il genere horror era tra i più intriganti. Rivelava, pensavo, le strade di un inconscio collettivo ed era infine più interessante di tanti film che si dicevano realistici. Per esempio, negli anni ’70 del cinema Usa, una insicurezza collettiva, di cui era portavoce anche uno scrittore (grande!) come Stephen King.

«I vampiri, assumendo connotati diversi, ritornano, prima o poi. Anche i libri sui vampiri – così sperano i loro autori – hanno una qualche possibilità di ritornare, di non morire». Così Vito Teti introduce il ritorno di questo libro in una nuova edizione completamente rivisitata, a chiudere idealmente quel «trittico della melanconia» che comprende Il senso dei luoghi e Quel che resta. Ma ogni ritorno è anche una novità, e così è per questo saggio, che si arricchisce di un ampio capitolo e di un ricco apparato iconografico che segue l’immaginario del revenant nelle sue rappresentazioni antiche e declinazioni contemporanee. La figura del vampiro offre elementi di riflessione per approfondire il passaggio del mondo occidentale alla modernità. Se, nelle società tradizionali, il vampiro folklorico non può essere separato dalla paura del ritorno, perturbante e pericoloso, dei defunti, proprio l’Occidente colto e illuminato settecentesco è l’ambito in cui è possibile cogliere l’origine del complesso fenomeno storico del «ritorno» dei vampiri. Nel momento in cui melanconia e rovine si apprestano a raccontare i contrasti del lento affermarsi del moderno – che esorcizza alterità, malattia, follia, morte –, il vampiro rinasce nella letteratura come metafora di figure ambivalenti, ponendo così le basi per «contagiare» gli aspetti culturali caratterizzanti la tradizione occidentale contemporanea, dalla psicoanalisi al cinema, ai fumetti e a internet. L’inedito capitolo finale riannoda il filo di una riflessione sul sentimento dei luoghi, addentrandosi nell’esplorazione delle recenti metafore, positive e negative, del vampiro all’inizio del nuovo millennio. Il vampiro che abita le rovine postmoderne – dal Muro di Berlino a Baghdad, dalle Torri Gemelle alle macerie dei terremoti – e incarna paure legate all’angoscia della fine del mondo ci ricorda la necessità di ristabilire un dialogo con i defunti, senza espellerli come vampiri distruttivi, ma riconoscendoli come parte integrante della comunità dei viventi. In questo senso, il libro afferma una filosofia «contro la morte», cogliendo spunti là dove la metafora del vampiro sembra aprire a un diverso rapporto con l’altro e a un riconoscimento della diversità.

Potrebbe essere un'immagine raffigurante 2 persone, giacche e occhiali

foto dal suo Facebook — notizie in fondo

 

 

È uscito da poco per Donzelli un denso volume, molto illustrato e di quasi 400 pagine, dedicato al Vampiro e la melanconia, un saggio che può sorprendere chi non conosca l’attenzione dell’autore Vito Teti, antropologo illustre, per l’immaginario collettivo. Insomma, per i sogni e le paure che sono di tutti ma che la cultura “bassa” ha affrontato con le mediazioni più varie e più intime, al contrario della cultura più razionalistica e “borghese”, nonostante certe formidabili eccezioni. Teti ci dice tutto quel che è possibile dire sulla figura del Vampiro (dimentica solo un episodio di un film di Bava, nei Tre volti della paura, sul vampiro bambino che attira i genitori nel suo mondo, da un racconto di Gogol di cui invece si parla) nel folklore e nelle arti, e affronta senza reticenze il tema che sta al fondo di questo mito: il nostro rapporto con la morte, anzi con i morti, e in particolare con i nostri morti, i morti che restano presenti negli affetti, i morti che non vogliono morire quantomeno nella nostra memoria.

La compresenza dei morti e dei viventi

Nel 1966 Capitini pubblica il suo libro di tutta una vita, La compresenza dei morti e dei viventi (Milano, Il Saggiatore), il suo libro più complesso e straordinariamente ricco di piste di ricerca, sempre rigorosamente aperte, sulla sua unica vera religione: la «compresenza» come visione e percezione della collaborazione di tutti, viventi e morti, nel presente e nel passato, alla creazione del valore dell’esistenza umana, oltre i limiti della condizione biologica e dei condizionamenti sociali.

Tutto confluisce in un quadro che è insieme filosofico, poetico e politico: la «persuasione» di Michelstaedter e la sua coerente obiezione di coscienza contro la «rettorica» sociale, il confronto con l’illuminismo, lo storicismo, l’idealismo, il marxismo, per fondare una nuova cultura sul definitivo superamento dell’Uno-Tutto per assumere un Tu-Tutti «omnicratico».

Il volume è concepito come successione di voci tematiche le cui affermazioni sono messe in discussione da una «nota» che apre la lettura in colloquio con chi legge. Un pensiero-chiave sollecita punti di vista diversi, problematizza, suggerisce soluzioni teoriche. Al centro, il tema della morte in un paese in cui, nella tradizione cattolica controriformistica, la morte è associata al dominio della paura, emblema terrifico della punizione divina, mentre nella cultura “laica” degli anni sessanta sta diventando una questione da rimuovere, economicamente improduttiva e culturalmente insignificante.

Vegetariani – Aldo Capitini e la NON VIOLENZA

Come è morto Aldo Capitini? | Tonino Drago - Centro Studi Sereno Regis

Aldo Capitini (Perugia, 23 dicembre 1899 – Perugia, 19 ottobre 1968) è stato un filosofo, politico, antifascista, poeta ed educatore italiano. Fu uno tra i primi in Italia a cogliere e a teorizzare il pensiero nonviolento gandhiano, al punto da essere chiamato il Gandhi italiano.

 

Capitini ha scritto un grande saggio sulla «compresenza dei morti e dei viventi», riedito da Il ponte. I morti non muoiono mai del tutto, se noi li ricordiamo, e mai del tutto riusciamo a dimenticarci di esser destinati a raggiungerli. I morti non muoiono mai davvero, ed è questa anche la base del mito del vampiro. Quando morì mia nonna, una contadina, sua figlia chiuse nella stalla tutti gli animali di casa e sbarrò le finestre della stanza che ne accoglieva ancora il corpo. Perché? Se un animale quale che sia, mi disse, passa sopra o a fianco del cadavere, l’anima del morto, che non vuole ancora staccarsi dalla vita e dai suoi cari, ne approfitta per penetrare nel suo corpo, ma così non avrà ancora riposo. Il vampiro di Teti ci parla del nostro rapporto con i morti, e con la nostra morte.

Vito Teti è professore ordinario di Antropologia culturale all’Università della Calabria, dove ha fondato e dirige il Centro di iniziative e ricerche Antropologie e Letterature del Mediterraneo. Tra le sue pubblicazioni: Il senso dei luoghi. Memoria e storia dei paesi abbandonati (Donzelli, 2004; 3a ed. 2014); Storia del peperoncino. Un protagonista delle culture mediterranee (Donzelli, 2007); Maledetto Sud (Einaudi, 2013); Quel che resta. L’Italia dei paesi, tra abbandoni e ritorni (Donzelli, 2017); Il vampiro e la melanconia. Miti, storie, immaginazioni (Donzelli, 2018)

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