ALESSANDRO ARESU ::: LE PAROLE DI DRAGHI, LIMES ONLINE DEL 26 MARZO 2020 +++ ALESSANDRO ARESU, LIMES ONLINE, Tecnico, tecnocrate, politico: le metamorfosi di Mario Draghi—-purtroppo un articolo un po’ tanto difficile…cercheremo—

 

 

 

 

LIMES ONLINE DEL 26 MARZO 2020

 

https://www.limesonline.com/notizie-mondo-oggi-draghi-debito-crisi-coronavirus-euro-ucraina/117333

 

 

LE PAROLE DI DRAGHI

 

 

 

di Alessandro Aresu

 

 

L’ex presidente della Banca Centrale Europea Mario Draghi ha pubblicato un editoriale sul Financial Times nel quale traccia una strategia europea per combattere l’imminente recessione causata dalla pandemia di coronavirus: aumento del debito pubblico, cancellazione dei debiti privati.

Perché conta: Mario Draghi non è uno che parla per caso. Nel 2019 ha parlato frequentemente. Sul finire del mandato da presidente della Banca Centrale Europea, ha tenuto vari discorsi per esporre le sue idee da statista, non da semplice burocrate internazionale. Diverso è il caso del suo intervento sul Financial Times, che giunge in una fase in cui era stato molto più silenzioso.

Ora Draghi parla dopo svariati solleciti. Sappiamo tutti che la sua giacca è lacerata da innumerevoli tirate. Il numero degli annunci della sua chiamata a un indefinito “timone” dell’Italia è vicino, se non pari, a quello dei tutorial di ricette per panificare in casa durante la quarantena.

Draghi non è percepito (né tantomeno si percepisce) come un politico italiano, bensì come uno statista internazionale. Con un ruolo importante, costruito dalla sua formazione e dalla sua carriera, nel legame dei mercati atlantici. Non bisogna dimenticare che, più di dieci anni fa, fu il suo incarico nel Financial Stability Board a lanciarlo per la presidenza della Bce.

Draghi interviene perché registra una confusione internazionale molto maggiore rispetto all’ultima crisi, senza un coordinamento delle varie risposte di politica economica, davanti a un contesto molto più grave e incerto. Si inserisce in questo vuoto politico generale. Un vuoto che in Europa si avvita, perché i paesi europei vivono conflitti ideologici, su colpe reciproche, su Stati e mercati, di cui gli altri attori internazionali non si sono mai interessanti né si curano adesso.

La violenza dell’emergenza non libera il campo europeo da diverse visioni del mondo. Dalle antropologie per cui ogni crisi, ogni botta è l’opportunità per ripetere la favola delle cicale e delle formiche, dei “popoli caldi” contro i “popoli freddi”, degli stereotipi reciproci e dei commissariamenti inutili.

In tutta questa spazzatura, che comunque è uno dei motori della storia in cui abitiamo, Draghi sul Financial Times afferma: guardate che ora non è colpa di nessuno. In questo tornante della storia, il debito non è una colpa. Per la visione “anseatica” dell’Europa resta, forse, un’eresia, rispetto al peso del passato. Draghi resta fedele alla sua semplice filosofia: un “mandato” di qualcosa può esistere solo se quella cosa continua a vivere, se la sua sopravvivenza non è avvolta nell’incertezza.

Per approfondireTecnico, tecnocrate e politico, le metamorfosi di Mario Draghi

 

LIMES ONLINE DEL 31 OTTOBRE 2019

https://www.limesonline.com/mario-draghi-bce-economia-politica/114958

 

 

Tecnico, tecnocrate, politico: le metamorfosi di Mario Draghi

FRANKFURT AM MAIN, GERMANY - DECEMBER 14: (Editors Note: The picture has been taken with a TV camera in front.) Mario Draghi, President of the European Central Bank, speaks to the media following a meeting of the ECB Governing Council on December 14, 2017 in Frankfurt, Germany. Today's was the last meeting of the year and comes on the heals of new economic data that show a strong and ongoing recovery for the euro zone, with 2.6% growth in the third quarter of 2017. (Photo by Thomas Lohnes/Getty Images)

Mario Draghi. Foto di Thomas Lohnes/Getty Images.

Qualche riflessione ulteriore sulla biografia geopolitica del primo presidente italiano della Banca Centrale Europea.

di Alessandro Aresu

 

UE, EURO, GERMANIA, ECONOMIA, CRISI FINANZAMARIO DRAGHI

 

 

Una vita fa, il 14 maggio 1998, il direttore generale del Tesoro Mario Draghi partecipa a un dibattito presso la casa editrice Laterza, dedicato al libro del giurista Natalino Irti L’ordine giuridico del mercato. Il libro di Irti anticipa un dibattito essenziale, che acquisterà ancor più rilievo nei nostri tempi.

Draghi, nell’ultima e intensa fase della sua esperienza al Tesoro – elemento cardine della sua vicenda umana e della sua biografia geopolitica – discute la tesi sull’ordine giuridico del mercato.

Nel suo libro, Irti critica l’idea che l’economia sia governata da leggi di natura incontrovertibili, i cui accertatori (che lui stesso chiama “esperti” o “competenti”) sanno fornire la soluzione “vera”, che “si contrappone alla soluzione, rozzamente politica, degli ideologi e delle assemblee parlamentari”.

Nella discussione ampiamente critica di questa tesi, Draghi rivendica le ragioni del mercato anche da parte dei legislatori, “tenendo presente l’inutilità di ogni intervento che non sia funzionale al raggiungimento di obiettivi che il libero mercato consenta comunque autonomamente di raggiungere”.

Per rafforzare l’idea di un primato dell’economia, Draghi cita il giudice Brandeis sulla Illinois Law Review del 1916:

“Un avvocato che non ha studiato economia […] è propenso a diventare un nemico pubblico”. Nello stesso contesto, tuttavia, il futuro presidente della Banca Centrale Europea formula sulle autorità indipendenti obiezioni simili a quelle di Irti (e in un altro senso di Predieri) sui poteri amministrativi svincolati da quelli politici, avanzando “dubbi sull’efficienza, sia organizzativa che economica, di scelte che tolgano all’amministrazione dello Stato determinate funzioni amministrative, per affidarle a entità create ad hoc”. In questo senso Draghi coglie prima di altri il tema dell’impoverimento dello Stato italiano, e nello specifico delle amministrazioni dell’economia, la cui campana suona soprattutto nell’Italia del nuovo secolo.

Lo stesso riferimento a questo dibattito mostra una natura di Draghi lettore e intellettuale, non ignota agli aruspici delle sue conferenze stampa alla Banca Centrale Europea.

Nella sua carriera, Draghi si muove nel confine tra tecnica, tecnocrazia e politica. Nell’orizzonte internazionale, riproduce e allarga la storia del suo maestro Guido Carli, il negoziatore di Maastricht e padre del vincolo esterno che volle Draghi alla guida della burocrazia del Tesoro. Della sua triplice natura e delle sue metamorfosi lo stesso Draghi è consapevole. Si nutre anche del confronto con chi ha svolto un percorso simile, fermandosi sulla soglia della politica oppure influenzandola. Non a caso nel più significativo dei suoi ultimi interventi da presidente della Banca Centrale Europea, il discorso all’Università Cattolica, Draghi inizia citando Robert Rubin, ex segretario al Tesoro degli Stati Uniti e architetto della finanza dei Democratici a cavallo tra i due secoli.

Il confine di Draghi si pone, nel rapporto della politica, attraverso la questione dell’indipendenza.

L’indipendenza del tecnico sta nell’agire senza essere influenzato e nel dire ciò che il potere non vuole sentirsi dire. Anche attraverso i riferimenti intellettuali. Nel febbraio 2012 Draghi, rispondendo a una domanda del Wall Street Journal sul futuro del modello sociale europeo, ricorda il suo amico e coautore, l’economista tedesco Rüdiger Dornbusch, noto per l’ironia e le battute sottili.

Draghi dice: “C’è stato un tempo in cui Rudi Dornbusch diceva che gli europei sono così ricchi da permettersi di pagare tutti per non lavorare. Quel tempo è finito”.

Il notissimo messaggio dato da Draghi pochi mesi più tardi – whatever it takes” (nota ns.  = ”  Ad ogni costo ”  – Per salvare l’euro dobbiamo fare ” tutto quello che è necessario “, oppure dobbiamo  salvare l’euro ” ad ogni costo ” )– è la risposta alla cosiddetta legge di Dornbusch che recita: “La crisi ci mette molto più tempo ad arrivare di quanto pensavate, e poi si svolge molto più in fretta di quanto avreste pensato”. La risposta di un decisore tecnico ai meccanismi reali della legge di Dornbusch è profondamente politica.

 

Infatti Draghi introduce il passaggio del whatever it takes il 26 luglio 2012 affermando di andare in un terreno “in un certo senso più politico”, relativo al “capitale politico che viene investito nell’euro”. Sulla base del capitale politico, di cui Draghi in quel momento si fa carico anche in relazione al rapporto che ha già instaurato con la cancelliera tedesca Angela Merkel, l’euro è irreversibile. Il giudizio non può essere puramente tecnico.

Centrale, nella crescita della statura politica del tecnocrate Draghi, è il rapporto che costruisce con la Germania nel corso di questo decennio, che si affianca all’identità principale e imprescindibile della sua formazione, quella americana.

La relazione è portata avanti direttamente con Angela Merkel, ma anche con il Bundestag ( Parlamento Federale ), oltre che con la Bundesbank e le corti tedesche. È anche un importante rapporto culturale, che si sviluppa in particolare con lultima grande personalità della socialdemocrazia tedesca, Helmut Schmidt. Quest’ultimo elogia Draghi come “l’unico che tiene in vita l’Unione Europea” e lo accompagna nei suoi incontri pubblici in Germania. Draghi nel 2015 è presente nella chiesa di San Michele ad Amburgo per accompagnare Schmidt alla sua ultima dimora. Con la morte di Schmidt e la consunzione dell’epoca di Merkel, Draghi è, oltre che interlocutore, testimone della fine di un’epoca tedesca. Per quanto il rapporto obbligato con la Germania, fatto anche di omaggi antropologici e di folklore, sia già perseguito da Christine Lagarde.

In un altro dei discorsi di congedo attraverso una laurea ad honorem (in giurisprudenza a Bologna del 22 febbraio 2019), il banchiere centrale ha voluto mostrare i limiti del concetto di indipendenza. Cardine della banca centrale è l’indipendenza dal potere politico, ma questa da sola è un’ambizione irrealistica per i paesi europei. Secondo Draghi, l’anelito all’indipendenza è in contraddizione con la sovranità, mentre “in realtà in molte aree l’Unione Europea restituisce ai suoi paesi la sovranità nazionale che avrebbero oggi altrimenti perso”. Nel discorso all’Università Cattolica, Draghi ha parlato di una “indipendenza nell’interdipendenza” delle banche centrali. L’era Draghi d’altra parte termina mentre è in discussione, anche attraverso strappi violenti, il concetto di indipendenza delle banche centrali.

Questo è forse il principale portato politico, ma anche geopolitico e filosofico, dell’economia dell’ultimo decennio; dell’avvilupparsi senza trovare uno sbocco della politica monetaria come infinita supplenza, the only game in town.

Il pendolo non volge all’indipendenza ma alla politicizzazione, che d’altra parte ha numerose varietà, di stile e di prassi: da quella tedesca (l’aderenza all’ideologia politica di un paese che si pretende “soluzione vera”) alle diverse spinte nipponiche, trumpiane e erdoganiane. D’altra parte, Christine Lagarde conosce bene Christian Noyer, che ha scritto con una certa franchezza nel 1992 da direttore generale del Tesoro (prima di diventare governatore della Banca di Francia dal 2003 al 2015) che l’indipendenza della banca centrale va considerata incompatibile con la tradizione francese, secondo cui la Repubblica è “una e indivisibile”. Vedremo se l’era dopo Draghi sarà improntata alla continuità, a un’ulteriore politicizzazione con nuovi rapporti di forza oppure se saremo “in balia di un nulla politico”, come profetizzato da Marcello De Cecco nel suo ultimo libro.

Di certo, il richiamo politico caratterizzerà anche il rapporto di Draghi con l’Italia. All’Università Cattolica, ha auspicato che le lezioni apprese da “banchieri centrali, funzionari dello Stato e politici di eccezionale valore” possano arricchire la “prossima generazione di servitori dello Stato”.

Le ambiguità del rapporto tra tecnica e politica probabilmente porteranno l’ex presidente della Banca Centrale Europea a non accettare nell’immediato un ruolo operativo in una grande realtà finanziaria internazionale, perché questa scelta ne indebolirebbe il profilo pubblico. La “panchina” di Draghi potrebbe invece prevedere alcune attività di insegnamento, mentre si moltiplicheranno le richieste affinché riempia i vuoti del capitalismo e della politica italiana, anticipate dalle profezie di Giancarlo Giorgetti e dall’endorsement – peraltro molto arguto – dell’ex compagno del liceo Massimo, Giancarlo Magalli.

Pochi ricordano dell’ipotesi di Draghi al vertice di Mediobanca alla fine dell’esperienza al Tesoro, nel 2002, poi non andata in porto. L’ex presidente della Banca Centrale Europea sarà nuovamente tirato per la giacchetta negli equilibri di quello che resta dell’asse del capitalismo tricolore, in particolare la rotta Mediobanca-Generali. La sua ombra, puntualmente smentita, caratterizzerà tutti gli equilibri fino all’elezione del prossimo presidente della Repubblica. Soprattutto in caso di una crisi economica pesante per il nostro paese.

Nell’attesa, l’artefice del whatever it takes potrà scrivere con calma un libro di memorie – per citare Carli – su trent’anni di vita italiana ed europea, dal 1991 a oggi. Anni di metamorfosi e osmosi tra tecnica, tecnocrazia e politica.

Condividi
Questa voce è stata pubblicata in GENERALE. Contrassegna il permalink.

1 risposta a ALESSANDRO ARESU ::: LE PAROLE DI DRAGHI, LIMES ONLINE DEL 26 MARZO 2020 +++ ALESSANDRO ARESU, LIMES ONLINE, Tecnico, tecnocrate, politico: le metamorfosi di Mario Draghi—-purtroppo un articolo un po’ tanto difficile…cercheremo—

  1. Donatella scrive:

    Sembra che Draghi sappia fare tesoro delle sue esperienze.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *