CORRIERE.IT — 27 GENNAIO 2021
L’ANALISI
Dimissioni Conte, tempi, numeri e ministri sgraditi: ecco perché il premier può finire «bruciato»
La strada per un terzo governo Conte è aperta: i nodi Bonafede e Gualtieri. L’alternativa potrebbe passare per Fico e Franceschini a Palazzo Chigi
di Francesco Verderami
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Tutte le strade portano a Renzi. Per quanto il premier e i suoi alleati abbiano provato a neutralizzarlo, il leader di Iv appare decisivo per la nascita del Conte ter che è l’opzione alla quale la maggioranza lavora. Per ora.
Nella liturgia di ogni crisi i tempi sono fondamentali. E i tempi della crisi scanditi dal Quirinale assecondano il tentativo di Conte di succedere a se stesso: visto che le consultazioni si protrarranno fino a venerdì, infatti, avrà ancora qualche giorno a disposizione per provare a costruire i gruppi dei «responsabili», fondamentali per la riuscita del suo disegno. Perciò ieri sera il premier dimissionario si è rivolto agli «europeisti» che siedono in Parlamento, e con un messaggio social di stampo presidenzialista li ha invitati a sostenere un «governo di salvezza nazionale». Il sostegno dei «costruttori» è condizione necessaria perché possa andare avanti, ma non è sufficiente. Le tecnicalità nella gestione della crisi possono cambiare il gioco. Non è la stessa cosa, per esempio, se il capo dello Stato si limitasse a un solo giro di consultazioni o ne facesse due. Ed è in base alle scelte di Mattarella che i partiti decideranno come muoversi.
Scontato l’approccio iniziale dei grillini, bisognerà vedere cosa farà il Pd: se Zingaretti formalmente non contempla subordinate a Conte, il capogruppo Marcucci sostiene che non si potrà restare inchiodati «a tutti i costi» su un unico nome. Per una parte dei dem, schiacciarsi sull’«avvocato del popolo» rischia di essere in prospettiva esiziale, ed è una concessione che in passato non è stata riservata nemmeno a Prodi e ai segretari del Pd. È la linea di chi teme di venire elettoralmente risucchiato dalla lista Conte, a cui mira invece l’area dalemiana di Leu. «Ma quello è il partito cinese», commenta un esponente della segreteria dem: «Noi appoggeremo il premier uscente. Se poi si brucia…».
Così tutti attendono di ascoltare Zingaretti in direzione: se il segretario oggi dirà che il Paese non può permettersi le urne, data l’emergenza, sarà il segnale che l’opzione del Conte ter potrebbe essere all’occorrenza sacrificata. Dipenderà (anche) dalle scelte di Renzi, che anzitutto vuole capire come si muoverà il Colle. Il leader di Iv non ha molti margini ma ha carte da giocare: non nutre «pregiudizi» sul premier uscente, però intende verificare se si ragiona «su un Conte 3 o su un bis del Conte 2». La differenza è enorme, lascia intuire che Iv potrebbe accettare il reincarico al premier uscente, ma poi lo incalzerebbe sui nodi programmatici e di conseguenza sui nomi del nuovo gabinetto. Due su tutti: sulla giustizia si perpetuerebbe una linea giustizialista? E sui temi economici ci sarebbe una svolta rispetto all’impronta statalista?
Mirando al Guardasigilli Bonafede e al titolare di via XX Settembre Gualtieri, Renzi sa di incrociare le obiezioni di una parte del Pd. E per Conte sarebbe il cortocircuito.
Ecco il motivo per cui si inseguono le voci su altri possibili candidati, figli della stessa maggioranza. C’è Di Maio che, visto il clima, ha lanciato smentite preventive per sfuggire al tritacarne. C’è l’opzione Fico, avanzata già due anni fa da Zingaretti, che consegnerebbe la presidenza della Camera a Franceschini in vista della corsa al Colle. E c’è lo stesso ministro della Cultura, che da tempo medita di lasciare il ruolo di capodelegazione del Pd al governo. È il solito meccanismo di nomination, dietro cui si celano regolamenti di conti. Al punto che tra le soluzioni viene indicato addirittura un cambio della guardia sulla via Roma—Bruxelles tra Conte e Gentiloni. In realtà sulla scacchiera della crisi ancora non è stata fatta neppure la mossa di apertura.
E proprio perché la mossa oggi spetta ai giallorossi, il centrodestra può salire compatto al Quirinale, nonostante le divergenze interne e certi sospetti che hanno spinto l’altro giorno Salvini a trattare ruvidamente Berlusconi: lanciandolo verso la presidenza della Repubblica, il leader della Lega sapeva di esporlo al tiro al bersaglio. Per ora l’opposizione può attendere, sebbene metta in preventivo il fallimento di Conte. «Un conto era se il premier si fosse dimesso subito dopo aver preso la fiducia», spiega il centrista Lupi: «Un altro è aver provato a cercare voti in Parlamento. Così si è indebolito. E di solito i governi deboli sono destinati a morire nella culla». In tal caso, anche per il centrodestra verrà l’ora delle decisioni.
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