Tomaso Montanari (Firenze, 15 ottobre 1971) è uno storico dell’arte, accademico e saggista italiano.
Altreconomia 232 — Dicembre 2020
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di Tomaso Montanari — 1 Dicembre 2020
Cacciata dei mercanti dal Tempio”, affresco realizzato da Giotto nella Cappella degli Scrovegni di Padova, databile al 1303-1305
C’è un passo dei Vangeli che mi ha sempre profondamente colpito, fin da ragazzo: un discorso di Gesù particolarmente duro, quasi brutale. I tre Sinottici lo riportano con varianti significative: “Alcuni gli fecero notare come il tempio fosse adorno di belle pietre e di doni votivi ed egli disse: ‘Verranno giorni in cui di tutte queste cose che voi ammirate non sarà lasciata pietra su pietra che non sia diroccata’” (Luca 21, 5-6). I discepoli guardano la bellezza del Tempio. Ne ammirano e ne lodano la materia, l’arte, la storia devota testimoniata nelle opere che lo arredano. Gesù, al contrario di loro, no: “Queste cose che voi ammirate”. Quasi con scherno, egli predice la distruzione di tutto ciò: il futuro della bellezza materiale è solo quello di trasformarsi in rovine. Una visione cupa, quasi da Qoelet: tutto è vano, anche la bellezza. E infatti il capitolo continua con un discorso sulla fine del mondo.
Ma, come spiegavano già i padri della Chiesa, la chiave dell’apparente inimicizia di Gesù per la bellezza del Tempio va cercata altrove, nel brano in cui Giovanni racconta la cacciata dei mercanti: “La Pasqua dei giudei era vicina e Gesù salì a Gerusalemme. Trovò nel Tempio quelli che vendevano buoi, pecore, colombi e i cambiavalute seduti. Fatta una sferza di cordicelle, scacciò tutti fuori dal Tempio, pecore e buoi; sparpagliò il denaro dei cambiavalute, rovesciò le tavole, e a quelli che vendevano i colombi disse: ‘Portate via di qui queste cose; smettete di fare della casa del Padre mio una casa di mercato’. E i suoi discepoli si ricordarono che sta scritto: ‘Lo zelo per la tua casa mi consuma’. I giudei allora presero a dirgli: ‘Quale segno miracoloso ci mostri per fare queste cose?’ Gesù rispose loro: ‘Distruggete questo tempio, e in tre giorni lo farò risorgere!’ Allora i giudei dissero: ‘Quarantasei anni è durata la costruzione di questo tempio e tu lo faresti risorgere in tre giorni?’ Ma egli parlava del tempio del suo corpo. Quando dunque fu risorto dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che egli aveva detto questo; e credettero alla Scrittura e alla parola che Gesù aveva detta” (Giovanni 2, 13-22).
Ora è tutto più chiaro: Gesù scuote i discepoli perché vedano qual è il vero Tempio, cioè il suo stesso corpo. Egli non detesta affatto il Tempio di pietre: anzi ne difende la dignità con straordinario zelo, espellendone coloro che lo riducono a merce. La lezione è duplice e straordinariamente importante non solo su un piano religioso: la bellezza non riguarda le pietre ma le persone. Ed è per questo che non si può mercificare. In concreto per noi, significa che ciò che giudichiamo bello (un quadro, un paesaggio, una città) non lo è in sé, nella sua materialità finita e circoscritta ma nella misura in cui si riferisce alle persone, in corpo e anima. Il messaggio è chiaro: quando tuteliamo un “bene culturale”, quando difendiamo un pezzo di costa dal cemento, quando vogliamo provare a rendere più bella una periferia urbana non lo facciamo per i diritti di queste cose (che non hanno diritti e sono morte, inanimate) ma lo facciamo per i diritti degli umani le cui vite sono determinate, nel male e nel bene, da queste cose. Ogni architettura, ogni scultura, ogni quadro è in rapporto con i corpi dei vivi e la bellezza è precisamente in questo rapporto. Dobbiamo fare la nostra parte: cominciando a usare uno sguardo diverso da quello dei discepoli di Gesù. Guardando le pietre dobbiamo vedere non solo le pietre ma i corpi vivi, i soli che conferiscono a quelle pietre inanimate la loro bellezza.
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E’ l’uomo, siamo noi che meritiamo la bellezza, insieme a tutti gli altri esseri viventi sulla Terra. Non l’abbiamo creata noi, ciascuno di noi, ma dobbiamo rispettarla e curarla come una preziosa eredità da lasciare a chi verrà dopo di noi.