ZIGMUNT BAUMAN ( POZNAM, POLONIA, 1925 – LEEDS, 2017 ): ” COSE CHE ABBIAMO IN COMUNE “, 44 Lettere dal mondo liquido -Laterza, 2012 — Lettera n. 3, pag. 13 — vi proponiamo di rileggerla… ch.

 

 

 

 

Zygmunt Bauman  è un sociologo e filosofo polacco di origini ebraiche.

 

 

CONVERSAZIONE TRA GENITORI  E  FIGLI

 

 

 

A proposito delle circostanze che lo avevano portato a scrivere uno dei suoi straordinari racconti, intitolati La ricerca di Averroè, il grande scrittore argentino Jorge Luis Borges affermò di aver voluto ” narrare il processo di una sconfitta “- come quella a cui va incontro un teologo intento alla ricerca della prova definitiva, inconfutabile, dell’esistenza di Dio, un alchimista votato alla ricerca della pietra filosofale, un appassionato di tecnologia alla ricerca del moto perpetuo o un matematico alla ricerca della quadratura del cerchio. Borges però poi decise che il racconto di
” un uomo che si propone un fine che non è vietato agli altri, ma a lui soltanto ” gli avrebbe fornito uno spunto ” più poetico “. La ricerca di Averroè narra la storia del grande filosofo musulmano che si cimentò nella traduzione della Poetica di Aristotele, benché
” chiuso nell’àmbito dell’Islam, non poté mai sapere  il significato delle voci tragedia e commedia “. Infatti, ” senza sapere che cos’è un teatro “, Averroè era inevitabilmente destinato a veder fallire il suo tentativo di ” immaginare quel che è un dramma “.

L’espediente scelto dal grande scrittore come punto di partenza per il suo bellissimo racconto è certamente ” più poetico “. Tuttavia, se considerato in un’ottica sociologica meno ispirata, ma più banale e concreta, appare anche piuttosto prosaico. Poche infatti sono le anime intrepide che decidono di cimentarsi nella riproduzione del moto perpetuo o nella ricerca della pietra filosofale. Tentare invano di comprendere ciò che altri non hanno difficoltà a capire è invece un’esperienza con cui tutti abbiamo molta familiarità (per averla osservata in prima persona) e che ogni giorno apprendiamo daccapo. E questo è forse più è vero oggi, nel XXI secolo, di quanto non fosse in passato per i nostri antenati. Basti considerare ad esempio ciò che accade quando comunicate con i vostri figli (se ne avete) o i vostri genitori, nel caso abbiate ancora l’opportunità di parlare con loro…

La  mutua incomprensione tra generazioni (la “vecchia” e la “nuova”) e i reciproci sospetti che da questa derivano affondano le proprie radici nel passato: tanto che li si potrebbe far risalire a epoche antichissime. In questa nostra era moderna, però, contraddistinta da cambiamenti rapidi, profondi e permanenti delle condizioni di vita, il sospetto inter-generazionale è più marcato. La radicale accelerazione del ritmo di cambiamento che caratterizza l’epoca moderna, in deciso contrasto con secoli di interminabili reiterazioni e torpidi cambiamenti, fa sì che nell’arco di una sola vita sia possibile rendersi conto e osservare in prima persona che “le cose cambiano” e “non sono più le stesse”. Tale consapevolezza permette di cogliere dei nessi (anche solo casuali) tra i cambiamenti osservabili nella condizione umana, da un lato, e l’avvicendarsi delle generazioni, dall’altro.

Una volta preso atti di tali nessi, divenne evidente e iniziò anzi a essere considerato ovvio (quanto meno a partire dall’inizio della modernità, e per tutta la sua durata) che le schiere di individui che a successive riprese si affacciano al mondo in diverse fasi della sua continua trasformazione tendono a valutare le condizioni di vita a loro comuni in modo drasticamente diverso le une dalle altre. Di norma,  i bambini vengono alla luce in un mondo decisamente diverso da quello dell’infanzia ricordata dai loro genitori, e diverso da ciò che questi erano preparati e abituati a considerare come modello di “normalità”; loro, i figli non potranno mai visitare il mondo scomparso che i loro genitori conobbero da fanciulli. Ciò che per una generazione può essere considerato il modo “normale” in cui “vanno” o “vanno fatte” le cose, e in cui quindi “dovrebbero” andare o essere fatte, può essere considerato da un’altra una sorta di aberrazione: uno strappo alla norma, qualcosa di bizzarro o addirittura illecito e insensato, scorretto, abominevole, detestabile e grottesco, che esige disperatamente di essere rettificato. Quelle che i rappresentanti di una generazione possono apparire condizioni rassicuranti e accoglienti in cui mettere in atto delle competenze e delle pratiche già apprese e perfezionate, possono apparire ad altri strane e sconcertanti. Analogamente, può capitare che persone di una certa generazione si sentano nel proprio elemento in situazioni che a individui nati in un periodo diverso provocano disagio, sconcerto e imbarazzo.

Le differenze nella percezione della realtà sono ormai talmente complesse e sfaccettate che oggi, a dispetto di quanto accadeva in epoca premoderna, i giovani non sono più considerati dai rappresentanti delle generazioni precedenti degli “adulti in miniatura”, o degli “aspiranti adulti”- né come “esseri non ancora completamente maturi, che però si faranno” (dove “maturi” equivale a “uguali a noi”). Oggi i giovani non sono visti come delle creature auspicabilmente “avviate a diventare adulti come noi“, ma sono invece considerati individui piuttosto diversi e destinati per tutta la loro esistenza a rimanere diversi “da noi”. Le differenze tra “noi” (più anziani) e “loro” (più giovani) non sono più vissute come elementi temporaneamente irritanti, ma destinate a dissolversi ed evaporare con il tempo, quando i giovani inizieranno (inevitabilmente) ad aprire gli occhi e capire come va il mondo, ma sono invece considerate definitive. Irrevocabili.

Ne consegue che anziani e giovani tendono a scrutarsi con uno sguardo misto di incomprensione e incomunicabilità. I più anziani temono che “i nuovi arrivati” siano pronti a rovinare e distruggere quell’intima “normalità”,  familiare, comoda e rispettabile che loro – venuti prima – hanno faticosamente costruito e preservato con amorevole dedizione; i giovani, dal canto loro, provano un forte impulso a raddrizzare ciò che i loro attempati predecessori hanno sbagliato e guastato. Entrambi provano insoddisfazione (o quanto meno una soddisfazione solo parziale) di fronte all’attuale stato delle cose e alla direzione a cui il loro mondo sembra essere avviato – e attribuiscono agli altri la colpa del proprio disagio. Un autorevole settimanale britannico ha pubblicato su due numeri consecutivi delle affermazioni/opinioni in assoluto contrasto tra loro: quando un giornalista ha accusato “i giovani” di essere “bovini, pelandroni, appestati di clamidia e buoni a nulla”, un lettore ha rabbiosamente replicato che quei ragazzi accusati di essere indolenti e indifferenti sono in realtà “accademicamente ambiziosi” e “preoccupati dalla caotica situazione creata dagli adulti”. In questo, come in innumerevoli casi di divergenza di opinioni, la differenza sta chiaramente nella soggettività dei giudizi e dei punti di vista. Difficilmente simili controversie si possono risolvere “obiettivamente”.

Ricordiamoci però che nella maggior parte dei casi i rappresentanti della generazione attualmente giovane non sanno cosa significhino una vita di stenti, una protratta crisi economica, la mancanza di prospettive o la disoccupazione di massa. Sono nati e cresciuti in un mondo che offriva loro il riparo di un ombrello creato dalla società e mantenuto dalla collettività, a prova di pioggia e di vento e presumibilmente destinato a rimanere per sempre a loro disposizione e a proteggerli dalle intemperie, dalle piogge fredde, dai venti gelidi. Un mondo in cui ogni alba sembrava destinata ad annunciare una giornata più assolata di quella appena trascorsa, e ancora più ricca di piacevoli avventure.  Tuttavia, mentre scrivo, su quel mondo si stanno addensando delle nubi e il cielo si fa di giorno in giorno più cupo. La condizione felice, ottimistica e promettente che i giovani considerano lo stato “naturale” del mondo potrebbe non durare più a lungo. I residui dell’ultima crisi economica – disoccupazione persistente, opportunità in rapida contrazione e prospettive sempre più fosche – potrebbero non dileguarsi rapidamente, o forse mai. Né è detto che di qui a breve le giornate tornino a splendere sempre più assolate.

E’ quindi troppo presto per capire in che modo gli atteggiamenti e le vedute radicate nei giovani di oggi finiranno per adattarsi al mondo che verrà, e in che modo quel mondo risponderà alle aspettative che questi giovani sono abituati a considerare certe.

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