COLLETTIVA.IT — IL GIORNALE DELLA CGIL 24 DICEMBRE 2020 :: IL GESTO Quando Giuseppe Di Vittorio onorò il Natale rifiutando il regalo del padrone ++ DI VITTORIO, LA RIVOLUZIONE UNGHERESE DEL ’56, E IL PCI — DA WIKIPEDIA, link sotto

 

 

COLLETTIVA.IT — IL GIORNALE DELLA CGIL

 

24 DICEMBRE 2020

 

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IL GESTO

Quando Giuseppe Di Vittorio onorò il Natale rifiutando il regalo del padrone

 

 

 

24/12/2020 – 09:00

Una vigilia magrissima e un dono che avrebbe potuto aiutare la famiglia ma il sindacalista lo restituisce al mittente, il potente Conte Pavoncelli: “apprezzo la cortesia ma sono un uomo politico attivo, un militante”

È il 24 dicembre 1920 a Cerignola. L’anno successivo Giuseppe Di Vittorio verrà eletto deputato, nel frattempo nella sua Puglia è stato alla guida del movimento dei lavoratori, braccianti che rivendicano i loro diritti davanti ai proprietari terrieri. A casa Di Vittorio ci si appresta a celebrare il Natale quando arriva un cesto, regalo del conte Giuseppe Pavoncelli, il “Principale” lo chiama il sindacalista. Pavoncelli è un uomo potente, discendente da una delle famiglie più importanti dell’imprenditoria agraria italiana dell’epoca, oltre a essere uno dei padroni contro i quali Peppino continua a battersi.

Di Vittorio durante il fascismo verrà più volte arrestato e sarà costretto alla clandestinità. Pavoncelli invece diventerà membro della Camera dei fasci. Sono gli anni in cui le camicie nere iniziano a dilagare con le loro violenze, anni in cui la fame per chi vive di lavoro e militanza si fa sentire. Ma Di Vittorio davanti a quel dono dice no e scrive una lettera all’amministratore della tenuta Pavoncelli, il signor Preziuso. Peppino ringrazia e rifiuta.

Non importa se il Natale sarà magro, sarà un Natale integro, fatto di coraggio e onestà.

Egregio Sig. Preziuso.In mia assenza, la mia signora ha ricevuto quel po’ di ben di Dio che mi ha mandato. Io apprezzo al sommo grado la gentilezza del pensiero del suo Principale ed il nobile sentimento di disinteressata e superiore cortesia cui si è certamente ispirato. Ma io sono un uomo politico attivo, un militante. E si sa che la politica ha delle esigenze crudeli, talvolta brutali anche perché – in gran parte – è fatta di esagerazioni e di insinuazioni, specialmente in un ambiente – come il nostro – ghiotto di pettegolezzi più o meno piccanti. Io, Lei ed il Principale, siamo convinti della nostra personale onestà ma per la mia situazione politica non basta l’intima coscienza della propria onestà. È necessaria – e Lei lo intende – anche l’onestà esteriore. Se sul nulla si sono ricamati pettegolezzi repugnanti ad ogni coscienza di galantuomo, su d’una cortesia – sia pure nobilissima come quella in parola – si ricamerebbe chi sa che cosa. Si che, io, a preventiva tutela della mia dignità politica e del buon nome di Giuseppe Pavoncelli, che stimo moltissimo come galantuomo, come studioso e come laborioso, sono costretto a non accettare il regalo, il cui solo pensiero mi è di pieno gradimento. Vorrei spiegarmi più lungamente per dimostrarle e convincerla che la mia non è, non vuol essere superbia, ma credo di essere stato già chiaro. Il resto s’intuisce. Perciò La prego di mandare qualcuno, possibilmente la stessa persona, a ritirare gli oggetti portati. Ringrazio di cuore Lei ed il Principale e distintamente per gli auguri alla mia Signora. Giuseppe Di Vittorio, 24 dicembre 1920

La lettera è stata resa nota nel 2007 quando Stefano Pavoncelli, erede di Giuseppe, la consegnò all’allora responsabile del Progetto Casa Di Vittorio, Giovanni Rinaldi. L’occasione era scaturita nell’ambito della visita fatta nell’azienda Santo Stefano come sopralluogo per individuare possibili location del film Pane e Libertà insieme allo scenografo Luciano Ricceri, che curava le ambientazioni della fiction su Di Vittorio, e a Flavio Tallone, direttore di produzione.

 

Giuseppe Di Vittorio - Storia - Rai Cultura

 

 

Giuseppe Di Vittorio    Nell'anniversario della morte di Giuseppe Di Vittorio ecco il film di Matteo Carella e Lello Saracino – Lettere Meridiane

 

 

Giuseppe Di Vittorio - Storia - Rai Cultura

 

 

A Cerignola "Il Socialista", il primo romanzo sul giovanissimo Giuseppe Di Vittorio

 

L'album familiare – Associazione Casa Di Vittorio

 

 

GIUSEPPE DI VITTORIO: DEL DIRITTO DI SCIOPERO | FGCI - Federazione Giovanile Comunista Italiana

 

 

Rassegna Online - Speciale / Giuseppe Di Vittorio, 1957-2007. Video, immagini, biografia

 

 

Giuseppe Di Vittorio Archivi - Strisciarossa

 

 

NOTIZIE DA WIKIPEDIA:

https://it.wikipedia.org/wiki/Giuseppe_Di_Vittorio

 

DAL PARAGRAFO 6 :

 

 Il Dopoguerra e il dissenso da Togliatti per i ‘fatti d’Ungheria del 1956 “::

 

Nel 1956 si riacutizzò il confronto con Togliatti sul ruolo dell’URSS; suscitò scalpore la sua presa di posizione, difforme da quella ufficiale del PCI, contro l’intervento dell’esercito sovietico per reprimere la rivolta ungherese, tanto che lo stesso Di Vittorio in una confidenza (come riferì anni dopo Antonio Giolitti) esclamò: «L’Armata rossa che spara contro i lavoratori di un paese socialista! Questo è inaccettabile! Quelli sono regimi sanguinari! Una banda di assassini!».

La pietra dello scandalo fu che Di Vittorio, allora segretario generale della CGIL, approvò il testo di un comunicato, redatto dal vice-Segretario socialista della CGIL Giacomo Brodolini[13], poi votato all’unanimità dalla Segreteria della Confederazione il 27 ottobre 1956, nel quale si esprimeva la solidarietà del sindacato ai lavoratori ungheresi e il dissenso nei confronti dell’intervento repressivo delle truppe sovietiche: «La Segreteria della CGIL esprime il suo profondo cordoglio per i caduti nei conflitti che hanno insanguinato l’Ungheria […], ravvisa in questi luttuosi avvenimenti la condanna storica e definitiva dei metodi antidemocratici e di governo e di direzione politica ed economica che determinano il distacco fra dirigenti e masse popolari… deplora che sia stato richiesto e si sia verificato in Ungheria l’intervento di truppe straniere…» (Avanti![14] e L’Unità[15] del 28 ottobre 1956).

Inoltre, poiché si era diffusa la voce che l’atteggiamento assunto dalla C.G.I.L. riguardo agli avvenimenti ungheresi fosse dovuto principalmente alle pressioni dei sindacalisti socialisti, Di Vittorio si sentì di dover dimostrare che tale posizione rifletteva effettivamente le convinzioni di tutti i membri della segreteria confederale (del resto il documento era stato votato all’unanimità), rilasciando a sua volta una dichiarazione all’agenzia di stampa S.P.E., affermando che «gli avvenimenti hanno assunto un carattere di così tragica gravità che essi segnano una svolta di portata storica» e che «è un fatto che tutti proclami e le rivendicazioni dei ribelli, conosciuti attraverso le comunicazioni ufficiali di radio Budapest, sono di carattere sociale e rivendicano libertà e indipendenza. Da ciò si può desumere chiaramente che — ad eccezione di elementi provocatori e reazionari legati all’antico regime – non vi sono forze di popolo che richiedano il ritorno del capitalismo o del regime di terrore fascista di Horty»[16].

La valutazione della natura popolare e democratica della rivolta ungherese contenuta in detta dichiarazione contrastava nettamente con la ricostruzione dei fatti operata dal corrispondente de L’Unità Orfeo Vangelisti, secondo cui “gruppi di facinorosi, seguendo evidentemente un piano accuratamente studiato, hanno attaccato la sede della radio e del Parlamento. Gruppi di provocatori in camion hanno lanciato slogan antisovietici apertamente incitando a un’azione controrivoluzionaria. In piazza Stalin, i manifestanti hanno tentato di abbattere la statua di Stalin. L’intervento sovietico è un dovere sacrosanto senza il quale si ritornerebbe al terrore fascista tipo Horty. Le squadre dei rivoltosi sono composte prevalentemente da giovani rampolli della aristocrazia e della grossa borghesia”[17][18]..

Togliatti, segretario del PCI, in una lettera riservata inviata alla segreteria del Comitato Centrale del PCUS il 30 ottobre 1956[19], nella quale relazionava ai sovietici sulle ripercussioni delle vicende ungheresi in Italia, affermava che

«… vi sono coloro che accusano la direzione del nostro partito di non aver preso posizione in difesa dell’insurrezione di Budapest e che affermano che l’insurrezione era pienamente da appoggiare e che era giustamente motivata. Questi gruppi esigono che l’intera direzione del nostro partito sia sostituita e ritengono che Di Vittorio dovrebbe diventare il nuovo leader del partito. Essi si basano su una dichiarazione di Di Vittorio che non corrispondeva alla linea del partito e che non era stata da noi approvata. Noi conduciamo la lotta contro queste due posizioni opposte ed il partito non rinuncerà a combatterla…»

E infatti, il leader comunista italiano costrinse Di Vittorio, accusato di essere contro il Partito e di renderlo debole agli occhi dell’Italia e del mondo, in una sorta di “processo interno”, ad aderire alla posizione ufficiale del PCI, “sconfessando” quanto in precedenza da lui affermato, giustificando pubblicamente la sua condotta di sindacalista con l’esigenza di unità della confederazione[20].

Di Vittorio continuò a guidare la CGIL fino alla sua morte, avvenuta nel 1957 a Lecco, poco dopo un incontro con alcuni delegati sindacali. Colpito da un primo infarto nel 1948 e da un secondo nel 1956, il terzo lo stroncò all’età di 65 anni (21)

 

 

NOTE :

 

13 .^ Cfr. Piero Boni, Il sindacalista Giacomo Brodolini, in Una stagione del riformismo socialista, Giacomo Brodolini a 40 anni dalla sua scomparsa, a cura di Enzo Bartocci, atti del Convegno omonimo svoltosi a Recanati il 27 e 28 marzo 2009, Edizioni Fondazione Giacomo Brodolini, Collana “Studi e ricerche”, 2010, pagg.89-90.

14^ Cfr. in Avanti! del 28 ottobre 1956

15^ Cfr. in L’Unità del 28 ottobre 1956

16^ Questo il testo integrale della dichiarazione di Di Vittorio del 27 ottobre 1956:«In ordine al comunicato emesso oggi dalla Segreteria della CGIL sui fatti di Ungheria, che tanto hanno commosso i lavoratori e la pubblica opinione, credo di poter aggiungere che gli avvenimenti hanno assunto un carattere di così tragica gravità che essi segnano una svolta di portata storica.A mio giudizio, sbagliano coloro i quali sperano che dalla rivolta tuttora in corso, purtroppo, possa risultare il ripristino del sistema capitalistico e semi-feudale che ha dominato l’Ungheria per interi decenni.È un fatto che tutti proclami e le rivendicazioni dei ribelli, conosciuti attraverso le comunicazioni uffciali di radio Budapest, sono di carattere sociale e rivendicano libertà e indipendenza. Da ciò si può desumere chiaramente che — ad eccezione di elementi provocatori e reazionari legati all’antico regime – non vi sono forze di popolo che richiedano il ritorno del capitalismo o del regime di terrore fascista di Horty.Condivido quindi pienamente l’augurio, espresso dalla segreteria della CGIL, che anche in Ungheria il popolo possa trovare, in una rinnovata concordia nazionale, la forza per andare avanti sulla strada del socialismo».Cfr. in Avanti! del 28 ottobre 1956

17 Cfr. corrispondenza da Budapest per L’Unità del 25 ottobre 1956, riportata in AA.VV., 12 giorni, la rivoluzione ungherese del ’56, opuscolo dello SDI per il 50º anniversario dei fatti d’Ungheria, 2006.

18^ Quando Napolitano disse: “in Ungheria l’Urss porta la pace” Archiviato il 23 maggio 2012 in Internet Archive.

19 La lettera di Togliatti è stata rinvenuta a Mosca a seguito della sollecitazione lanciata nell’ottobre 1986 dallo storico magiaro-francese François Fejto ed è stata pubblicata su “La Stampa” dell’11 settembre 1996. Il testo della lettera è riportata anche in: Csaba Bekes, Malcom Byrne, Janos M. Rainer (eds.), The 1956 Hungarian Revolution: A History in Documents, Central European University Press, Budapest-New York 2002, p. 294; Adriano Guerra, Comunismi e Comunisti, Dedalo, Bari 2005, pp. 190-91; Federigo Argentieri Ungheria 1956. La rivoluzione calunniata, Marsilio, Venezia 2006, pp. 135-36. Aldo Agosti, autore della biografia Palmiro Togliatti (Torino, UTET 1996, ISBN 88-02-04930-0, riedita nel 2003, quindi dopo la pubblicazione della lettera), nelle pagine 450-56 dedicate agli avvenimenti ungheresi, la ignora, riportando furbescamente però un brano di una lettera pensosa e dubitativa, quanto inefficace sul piano pratico, del 29 ottobre all’editore Giulio Einaudi.

20 Nel caso ungherese, ad avviso di Bruno Trentin (cfr. Lavoro e libertà, Roma, Ediesse, 2008, pp. 36-37), Di Vittorio dovette giustificare, senza sconfessare il documento, la posizione assunta dalla CGIL con l’esigenza di tener conto delle esigenze unitarie interne alla confederazione.

21 Giuseppe Di Vittorio – ANPI

 

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