VANESSA ROGHI :: IL NATALE DI GIANNI RODARI –MINIMAETMORALIA, venerdì, 25 Dicembre 2020

 

 

 

MINIMAETMORALIA

https://www.minimaetmoralia.it/wp/

 

 

 

 

IL NATALE DI GIANNI RODARI

 

di minima&moralia

pubblicato venerdì, 25 Dicembre 2020 · 3 Commenti

 

di Vanessa Roghi

 

Un fantasma si aggira per gli uffici romani in questo scorcio di 2020, il fantasma di Gianni Rodari, di rosso vestito, un po’ Babbo natale, con i suoi 100 anni ben portati, a ispirare impiegati e addirittura ministri, con qualcuna delle sue rime da inviare insieme agli auguri, ché di versi sul Natale ne ha scritti tanti e quindi perché no?

Così da viale Trastevere un verso dello Zampognaro è stato recapitato via mail a tutte le insegnanti e gli insegnanti d’Italia:

(…) se ci diamo la mano
i miracoli si fanno
e il giorno di Natale durerà tutto l’anno

 

Mentre il Comune di Roma ha scelto l’ultima strofa del Mago di Natale per festeggiare questo mesto 2020:

 

Non ho che auguri da regalare:
di auguri ne ho tanti,
scegliete quelli che volete,
prendeteli tutti quanti.

 

Sfondo rosso, scritta in bianco, simboli natalizi: abeti, una stecca di zucchero candito e quelle frasette buttate lì, tagliate via con l’accetta dalle filastrocche in cui Rodari le aveva messe in chiusura.

Ci penso e ci ripenso. Lette da sole queste strofe fanno pensare a un Rodari che non riconosco neppure io che l’ho tanto letto (e amato), un Rodari melenso, sdolcinato, pure un po’ mistico (i miracoli) e un po’ tirchio: “non ho che auguri da regalare”.

Ma davvero è possibile ridurre Gianni Rodari a questa cosa qua, mi chiedo? Questa melassa di buoni sentimenti senza capo né coda da dove esce fuori? Miracoli e auguri, è questo il Natale che si augurava per il futuro Gianni Rodari (e che ci auguriamo noi, mi viene da aggiungere)? No direi proprio di no.

 

Prendiamo lo Zampognaro:

Se comandasse lo zampognaro
che scende per il viale,
sai che cosa direbbe
il giorno di Natale?
“Voglio che in ogni casa
spunti dal pavimento
un albero fiorito
di stelle d’oro e d’argento”.
Se comandasse il passero
che sulla neve zampetta
sai che cosa direbbecon la voce che cinguetta?
“Voglio che i bimbi trovino,
quando il lume sarà acceso,
tutti i doni sognati,
più uno, per buon peso”.
Se comandasse il pastore
dal presepe di cartone
sai che legge farebbe
firmandola col lungo bastone?
“Voglio che oggi non pianga
nel mondo un solo bambino,
che abbiano lo stesso sorriso
il bianco, il moro, il giallino”.
Sapete che cosa vi dico
io che non comando niente?
Tutte queste belle cose
accadranno facilmente;
se ci diamo la mano
i miracoli si fanno
e il giorno di Natale
durerà tutto l’anno.

 

Lo zampognaro è una delle Filastrocche in cielo e in terra, pubblicato nel 1960 da Einaudi, è Giovanni Arpino, insieme a Rodari, a inserirla in una speciale sezione dedicata al Natale:
c’è il Mago di Natale, la filastrocca di Capodanno, Il pellirossa nel presepe, Neve, L’uomo di neve.

Scritte negli anni Cinquanta parlano a un’Italia povera nella quale il sogno di un regalo per tutti si paga a caro prezzo: gli ottimisti lo chiamano boom economico, in realtà per molti ancora nel 1960 un regalo sotto l’albero è il vero miracolo.

Il tema ritornerà ne La freccia azzurra: lì c’è la Befana che porta i regali, ma i bambini poveri sono i veri protagonisti, così poveri ma così poveri da dormire in bui e freddi scantinati o per strada.

Per questo nel Mago di Natale Rodari pensa a una città solidale che si trasforma in luogo magico per tutti e non solo per chi se lo può permettere:

S’io fossi il mago di Natale
farei spuntare un albero di Natale
in ogni casa, in ogni appartamento
dalle piastrelle del pavimento,
ma non l’alberello finto,
di plastica, dipinto
che vendono adesso all’Upim:
un vero abete, un pino di montagna,
con un po’ di vento vero
impigliato tra i rami,
che mandi profumo di resina
in tutte le camere,
e sui rami i magici frutti: regali per tutti.
Poi con la mia bacchetta me ne andrei
a fare magie
per tutte le vie.

In via Nazionale
farei crescere un albero di Natale
carico di bambole
d’ogni qualità,
che chiudono gli occhi
e chiamano papà,
camminano da sole,
ballano il rock an’rolle fanno le capriole.
Chi le vuole, le prende:
gratis, s’intende.

In piazza San Cosimato
faccio crescere l’albero
del cioccolato;
in via del Tritone
l’albero del panettone
in viale Buozzi
l’albero dei maritozzi,
e in largo di Santa Susanna
quello dei maritozzi con la panna.

 

Continuiamo la passeggiata?
La magia è appena cominciata:
dobbiamo scegliere il posto
all’albero dei trenini:
va bene piazza Mazzini?
Quello degli aeroplani
lo faccio in via dei Campani.
Ogni strada avrà un albero speciale
e il giorno di Natale
i bimbi faranno
il giro di Roma
a prendersi quel che vorranno.
Per ogni giocattolo
colto dal suo ramo
ne spunterà un altro
dello stesso modello
o anche più bello.
Per i grandi invece ci sarà
magari in via Condotti
l’albero delle scarpe e dei cappotti.

Tutto questo farei se fossi un mago.
Però non lo sono
che posso fare?
Non ho che auguri da regalare:
di auguri ne ho tanti,
scegliete quelli che volete,
prendeteli tutti quanti.

 

La città solidale da immaginare insieme, così Rodari avrebbe voluto Roma e oltre a scriverlo ha fatto di tutto per realizzarlo questo sogno che era progetto, come giornalista di «Paese sera», come militante del PCI e come attivista di associazioni come quella dei genitori che addirittura ha fondato.

Non certo un contemplativo insomma, non uno che ha aspettato i miracoli nella vita, ma un intellettuale che ha dato un peso alle parole e un peso alle cose fatte, senza dimenticarsi mai di metterle in relazione le parole scritte con le cose fatte.

E oggi le sue parole come vanno lette? In quest’anno così duro per tanti possono rappresentare una consolazione innocua e sentimentale come vorrebbe chi le usa per fare gli auguri?

Mario Lodi l’aveva capito subito che il destino di Rodari era proprio questo: le sue rime sarebbero finite come «uccellini in gabbia» in qualche libro di testo per la scuola, depauperata dalla loro forza, banalizzate dalla lettura di qualche solerte insegnante che vi avrebbe cercato una morale buona per ogni stagione. O, peggio: usate per fare l’analisi grammaticale o il riassunto o la parafrasi.

Lo sapeva Lodi e lo temeva pure Rodari, l’aveva capito studiando quei capolavori che erano Alice nel paese delle meraviglie o Pinocchio ma anche il don Chisciotte o i Promessi sposi  “trasformati in modelli obbligatori e autoritari di lingua, e in strumenti di tortura per i ragazzini delle scuole medie, che tuttavia si difendono passandosi i riassunti bell’e fatti da una generazione all’altra. Bugiardi sì, come Pinocchio, ma per legittima difesa”.

Temeva, Rodari, più della morte, il tema sulle sue poesie, che chiamava “giocattoli” e con i giocattoli si gioca non servono a scrivere temi (ma neppure la poesia deve servire a questo: «Non si può usare la poesia per una pratica del genere: sarebbe come usare un orologio d’oro per piantare un chiodo nel muro»).

Temeva la parafrasi, ma non poteva prevedere neppure nei suoi incubi peggiori il giorno in cui anche la parafrasi gli sarebbe sembrata dolce se messa a confronto col meme, con la citazione alla sanfason, con frasi prese dalle sue filastrocche per bamboleggiare come un autore edificante qualsiasi.

Tutto voleva Gianni Rodari fuorché essere edificante. Edificante: che incita, spinge al bene, con il buon esempio. Ecco, proprio no. Rodari diffidava della letteratura edificante, di chi pretendeva di dare il buon esempio. Per questo gli piacevano tanto Pinocchio e Alice e gli stavano proprio antipatici certi moralismi di De Amicis, come quando imputava a Franti tutti i mali del mondo.
Del resto nell’Italia degli anni Cinquanta uno scrittore per bambini che parlava di giustizia, pace e libertà non era davvero considerato edificante.

Ma nemmeno dopo, negli anni Sessanta, poteva dirsi edificante il suo Libro degli errori, un pugno nello stomaco di chi considerava (e considera) la scuola come il regno della matita rossa e della matita blu; né edificante era sicuramente il Gianni Rodari che nel 1973 definiva la scuola un riformatorio ad ore e nel 1978 stigmatizzava chi imputava ai giovani il problema della violenza distogliendo lo sguardo da una realtà fatta di una violenza così minuta e concreta che ancora i bambini lavoravano e la scuola non era uguale per tutti.

Spingere al bene con l’esempio? Ma quale esempio? Semmai Rodari voleva spingere al bene con l’immaginazione: un bene per tutti e non per pochi, un bene collettivo.
L’immaginazione che inventa, trasforma, utopizza.

Lo zampognaro e il Mago di natale, due filastrocche che dicono la stessa cosa, che non c’è natale se il natale non è per tutti. Non per moralismo ma per una questione di giustizia sociale.

Per questo particolarmente odiosa risulta un’altra frase sbagliata che circola in rete: la troverete stampata un po’ ovunque, dalla CGIL alla COOP, da biblioteche pubbliche ad associazioni che si occupano di lettura (Sic) nessuno si è preso la briga di andare a verificare che questa frase che gira ormai da anni Rodari non l’ha mai detta né scritta.

Quella buona invece dice così:

“Tutti gli usi della parola a tutti: mi sembra un buon motto, dal bel suono democratico. Non perché tutti siano artisti, ma perché nessuno sia schiavo”. Rodari l’ha scritta alla fine dell’antefatto della Grammatica della fantasia che davvero vorrei che tutti leggessero.

La cogliete la differenza fra le due frasi? Beh Rodari sì la coglieva: tutti gli usi delle parole è un motto che passando da Barbiana rivendica storicamente l’importanza del possesso della lingua, perché le parole uguali rendono liberi. Non la lettura che ne è semmai una conseguenza. Si possono imparare parole leggendo ma anche ascoltando e dialogando. Non c’è nessuna gerarchia nelle parole di Rodari: il testo scritto non viene prima, non rende migliori. Un bel punto di vista, dal suono democratico. Il resto è classismo, miopia, volontà di rendere il mondo opaco fraintendendo pure chi l’ha detto molto chiaramente quello che voleva dire.

Un’ultima riflessione sulla poesia, e sulla sua riduzione a frase da cioccolatino. Per Gianni Rodari scrivere filastrocche aveva un senso politico, nel senso più esatto del termine: la parola è veicolo di cittadinanza. La polis si fa parlando, parlare si può se si posseggono uguali parole, per questo la filastrocca è per Rodari un primo passo per condividere con i bambini e le bambine il suono e il significato in una cornice di gioco che è anche sguardo sul mondo che ci circonda.

Ogni occasione è buona per fare poesia, per educare alla poesia. Scrive Rodari sul «Giornale dei genitori»: «Quando semplici momenti della vita, piccole scoperte, occasioni che in sé non hanno nulla di straordinario, diventano parola veramente libera, pretendono la parola che rifletta in se stessa la qualità e il ritmo di quel momento, come il blu del cielo – rimando con l’ingiù – ripete nelle parole il semplice gioco infantile, nasce la poesia. E’ certo una poesia che balbetta, un lumino che lucciola. Ma è un segno sicuro che in quella scuola, tra quei bambini, è nata una civiltà più alta».

Una civiltà più alta. La poesia aiuta i «bambini a sentire, se non ancora a capire chiaramente, che il loro ruolo nel mondo non dev’essere quello di chi accetta la realtà bell’e fatta, di chi deve solo eseguire, consumare e obbedire, ma è un ruolo di produttori, di creatori, di trasformatori del mondo. Non importa se usciti da scuola non faranno più poesie: certo, è più facile che conservino il bisogno di poesia; in ogni caso la poesia sarà stata per loro un esercizio di libertà, un’educazione alla libertà i cui frutti dureranno a lungo».

Perciò, per piacere, smettetela di storpiare Rodari, di ridurlo a quello che non è mai stato, un melenso autore da cuore e amore: le sue parole ripetetele per intero, anche noi adulti meritiamo esercizi di libertà e una civiltà più alta e non essere considerati alla stregua di cretini come a volte certi bigliettini di auguri fanno pensare.

E buon Natale.

Condividi
Questa voce è stata pubblicata in GENERALE. Contrassegna il permalink.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *