Il mito delle origini. Breve storia degli spaghetti al pomodoro
Massimo Montanari
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Seguendo le tracce del nostro piatto identitario per eccellenza, Massimo Montanari risale a tempi e luoghi distanti, dall’Asia all’America, dall’Africa all’Europa, dalle prime civiltà agricole alle innovazioni medievali, fino a vicende di qualche secolo fa, o dell’altro ieri.
È fuori discussione che la pasta sia un segno identitario dell’Italia a tavola, perfetta immagine di una cultura (non solo gastronomica) che paradossalmente trova nella varietà delle declinazioni locali la sua cifra unificante e distintiva. Centinaia di formati e migliaia di ricette, realizzate con prodotti diversi e con diverse procedure, sono legate a singole città e territori rurali, che in quelle preparazioni riconoscono storie, tradizioni, gusti diversi, disseminando nel paese in modo capillare una cultura del cibo che non ha pari al mondo quanto a varietà e imprevedibilità. Ciascuna forma, ciascuna preparazione ha la sua storia, racconta esperienze e gusti particolari, legami più o meno forti con le produzioni locali o con le offerte del mercato. Questa incredibile varietà di forme e di sapori, che l’industria alimentare tende a restringere – non potendo rappresentarli tutti – ma non ha alcun interesse a cancellare, si riconduce tuttavia a una parola e a una sostanza, la pasta, divenuta ormai da tempo l’icona della cucina italiana.
Icone nell’icona, alcune ricette e alcuni formati si sono fatti spazio fra gli altri, imponendosi come simboli primari della cucina nazionale. Gli spaghetti al pomodoro, possibilmente conditi col formaggio parmigiano, sono il segno identitario per eccellenza.
Così almeno è percepito da fuori – e sappiamo che le identità, prima ancora di diventare il collante ‘interno’ di una comunità, si nutrono di prospettive esterne, che necessariamente semplificano e riducono, come quando in una fotografia si passa dallo zoom al grandangolo, occultando i particolari dell’insieme. «Visto da uno straniero disinformato», hanno scritto Odile Redon e Bruno Laurioux, il primo piatto italiano «non è che un piatto di spaghetti con la salsa al pomodoro e il parmigiano grattugiato».
Ragioniamo allora su questo piatto, sulle cui origini è ovviamente lecito interrogarsi. La curiosità è il motore di ogni scoperta. Ma altrettanto lecito è dire, fin da subito e seguendo l’avvertimento di Marc Bloch, che non tanto ci interessa sapere (se mai fosse possibile) chi per primo ebbe l’idea di prepararlo, o chi per primo lo assaggiò, quanto interrogarci sulle «condizioni ambientali», i luoghi, i percorsi che consentirono di ‘allevare’ l’idea portandola a tale fortuna da diventare, oggi, segno identitario di una cucina e di una cultura.
Lo storico dovrà dunque stabilire rapporti e cronologie, individuare cause ed effetti, rilevare, fra le opposte idee di destino e di caso, quella ben più efficace della circostanza e dell’occasione – il kairós dei Greci – ossia la volontà e la capacità di cogliere una circostanza e di metterla a profitto per costruire qualcosa di utile. Per fare questo dovremo muoverci indietro e avanti nel tempo.
Indietro, per trovare le ‘radici’ che rendono possibile l’esistenza di questo piatto (radici al plurale, giacché una ricetta è realtà complessa, che richiede l’interazione fra semi diversi, ghiande di varia provenienza). Avanti, alla ricerca delle ragioni ambientali che a un certo punto giustificano il successo, l’innesto di questo piatto nella tradizione italiana.
Proporrò dunque una sorta di decostruzione storica del piatto, alla caccia dei suoi elementi costitutivi – gli ingredienti che lo compongono, le tecniche con cui essi vengono preparati, assemblati, trasformati. Ma non solo. Oltre ai prodotti-base e ai procedimenti attraverso i quali essi prendono forma saranno le modalità d’uso a richiamare la nostra attenzione, giacché ogni cucina si configura come un sistema, all’interno del quale ogni elemento occupa un posto preciso – come una parola in una frase – e assume un senso specifico. La logica e la ‘grammatica’ del sistema saranno, quindi, altrettanto importanti da mettere a fuoco, per valutare il ruolo (oltre che le caratteristiche) del nostro piatto.
Ma innanzitutto, quali elementi scegliere? Giacché la varietà che caratterizza la cucina italiana – mai, per sua fortuna, codificata o ridotta a modelli omogenei e conformi – si ritrova in ogni ricetta, suscettibile di infinite varianti negli usi locali, sociali, generazionali. Quante varianti esisteranno degli spaghetti al pomodoro che abbiamo deciso di analizzare? Scegliamo dunque un minimo denominatore comune, uno standard che possa andar bene, se non a tutti, a molti. Elementi base saranno, come ovvio, gli spaghetti e la salsa di pomodoro. Lo sarà anche il parmigiano grattugiato – scelta meno ovvia, ma altrettanto importante nella percezione collettiva (Redon e Laurioux ce lo hanno appena mostrato, e l’analisi storica ce lo confermerà).
Aggiungiamo l’olio d’oliva, chiamandolo semplicemente così, senza l’extra e senza il vergine, denominazioni che solo oggi hanno acquisito un preciso significato merceologico e commerciale. Aggiungiamo ancora l’aglio e/o la cipolla (scegliere fra l’uno e l’altra, o tenerli insieme, sarà solo una questione di gusto). Non ci negheremo una foglia di basilico, ormai luogo comune dell’italianità. Sale. Qui potremmo fermarci, ma una manciata di peperoncino è consigliata nella maggior parte delle ricette.
Massimo Montanari, Il mito delle origini. Breve storia degli spaghetti al pomodoro
Massimo Montanari (Imola, 24 dicembre 1949) è uno storico italiano.
È docente ordinario di Storia medievale presso la Scuola di Lettere e Beni Culturali dell’Università di Bologna[1], dove insegna anche Storia dell’alimentazione e dirige il Master europeo “Storia e cultura dell’alimentazione”. Insegna anche all’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo.
È ritenuto, a livello internazionale, uno dei maggiori specialisti di storia dell’alimentazione. Ha dedicato le proprie attenzioni di studioso soprattutto a due filoni di ricerca, tra loro strettamente integrati: la storia agraria e la storia dell’alimentazione, intese come vie d’accesso preferenziali per una ricostruzione della società medievale nel suo insieme: strutture economiche e sociali (rapporti di lavoro, di potere, di proprietà), aspetti concreti e materiali della vita quotidiana, valori culturali e mentalità. Nell’ambito di tali ricerche hanno avuto speciale risonanza i suoi studi sulla storia dell’alimentazione, intesa come storia a tutto campo che coinvolge i piani dell’economia, delle istituzioni e della cultura.
Opere–alcune hanno un titolo divertente !
- Il mito delle origini. Breve storia degli spaghetti al pomodoro (Gius. Laterza & Figli 2019)
- Mangiare da cristiani. Diete, digiuni, banchetti. Storie di una cultura (Rizzoli 2015)
- I racconti della tavola. (Laterza 2014)
- Gusti del Medioevo. I prodotti, la cucina, la tavola (Laterza 2012)
- L’identità italiana in cucina (Laterza 2010)
- Il riposo della Polpetta (Laterza 2009)
- Il formaggio con le pere. La storia in un proverbio (Laterza 2008)
- L’olmo, la quercia, il nido di gazze. Ricordo di Vito Fumagalli (a cura di) (CISAM 2007)
- Il cibo come cultura (Laterza 2004)
- Bologna grassa. La costruzione di un mito (a cura di) (CLUEB 2004)
- Atlante dell’alimentazione e della gastronomia: Risorse, scambi, consumi-Cucine, pasti, convivialità, con Françoise Sabban (a cura di) (UTET 2004)
- Imola, il comune, le piazze con Tiziana Lazzari (a cura di) (La Mandragora 2003)
- Storia medievale, con Giuseppe Albertoni, Tiziana Lazzari e Giuliano Milani (Laterza 2002) ISBN 88-420-6540-4
- Il mondo in cucina. Storia, identità, scambi, (a cura di) (Laterza 2002)
- Medievistica italiana e storia agraria. Risultati e prospettive di una stagione storiografica. (Atti del convegno di Montalcino, 12-14 dicembre 1997), con Alfio Cortonesi (a cura di) (CLUEB 2001)
- Per Vito Fumagalli. Terra, uomini, istituzioni medievali, con Augusto Vasina (a cura di)(CLUEB 2000)
- Storia dell’Emilia-Romagna, con Maurizio Ridolfi e Renato Zangheri (a cura di) (Laterza 1999)
- La cucina italiana. Storia di una cultura, con Alberto Capatti (Laterza 1999)
- Storia dell’alimentazione, con Jean-Louis Flandrin (a cura di) (Laterza 1997)
- Il pentolino magico (Laterza 1995)
- Il bosco nel Medioevo, con Bruno Andreolli (a cura di) (CLUEB 1995)
- Contadini di Romagna nel Medioevo (CLUEB 1994)
- La fame e l’abbondanza. Storia dell’alimentazione in Europa (Laterza 1993)
- Convivio oggi. Storia e cultura dei piaceri della tavola nell’età contemporanea (Laterza 1992)
- Nuovo convivio. Storia e cultura dei piaceri della tavola nell’età moderna (Laterza 1991)
- Convivio. Storia e cultura dei piaceri della tavola dall’antichità al Medioevo (Laterza 1989)
- Alimentazione e cultura nel Medioevo (Laterza 1988)
- Contadini e città tra «Longobardia» e «Romania» (Salimbeni 1988)
- Le campagne italiane prima e dopo il mille. Una società in trasformazione, con Bruno Andreolli e Vito Fumagalli (a cura di) (CLUEB 1985)
- Campagne medievali. Strutture produttive, rapporti di lavoro, sistemi alimentari (Einaudi 1984)
- L’azienda curtense in Italia. Proprietà della terra e lavoro contadino nei secoli VIII-XI, con Bruno Andreolli (CLUEB 1983)
- Porci e porcari nel Medioevo. Paesaggio. Economia. Alimentazione. Catalogo della mostra, San Marino di Bentivoglio, con Marina Baruzzi (CLUEB 1981)
- L’alimentazione contadina nell’alto Medioevo (Liguori 1979)
LINK IL POST — articolo sotto
https://www.ilpost.it/2019/11/21/storia-spaghetti-pomodoro/
IL POST
- CULTURA
- GIOVEDÌ 21 NOVEMBRE 2019
Breve storia degli spaghetti al pomodoro
Lo racconta lo storico Massimo Montanari nel saggio “Il mito delle origini”: qui spiega l’antica accoppiata di pasta e formaggio
(© picture-alliance / lapresse)
La pasta, il burro, il parmigiano e per ultimo il pomodoro: entusiasmante conoscere la storia di quello che fa parte addirittura della nostra dieta.