+++ DONATELLA D’IMPORZANO : POETICA INTRODUZIONE ALL’ARTICOLO DI TOMASO MONTANARI : ” Siena senza Palio: il “bel” rito per dimenticarsi della morte “. IL FATTO QUOTIDIANO DEL 17 AGOSTO 2020

 

 

 

L’articolo di Tomaso Montanari sul Palio di Siena, che non si farà quest’anno per causa del coronavirus, è un bel pezzo di poesia: “Siena senza Palio: il bel rito per dimenticarsi della morte”, ” Il Fatto”, lunedì 17 agosto 2020, pag. 16.

L’articolo è ” urgente”, nel senso che si avverte l’urgenza del sentimento che sembra espandersi dall’animo dell’autore. Per quanto ricordo dell’emozione provata nel cuore della piazza di Siena, di sera, pressoché deserta, è qualcosa di più profondo, come se si fosse arrivati ad un porto sicuro. Mi sono sdraiata nel centro della piazza ( non c’era nessuno) e ho sentito che lì avrei potuto dormire in tutta sicurezza. Certamente sono sciocchezze che ci detta il nostro cuore, ma ricordo quella sensazione di benessere totale, come se si fosse arrivati alla propria casa. Preferisco la Siena senza Palio, non ne ha bisogno: il centro della piazza come un cuscino e le stelle sopra di noi.

 

 

IL FATTO QUOTIDIANO DEL 17 AGOSTO 2020

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/08/17/siena-senza-palio-il-bel-rito-per-dimenticarsi-della-morte/5901806/

 

Siena senza Palio: il “bel” rito per dimenticarsi della morte

Siena senza Palio: il “bel” rito per dimenticarsi della morteFesta annullata per la pandemia

di Tomaso Montanari | 17 AGOSTO 2020

 

“La tua fuga non s’è dunque perduta / in un giro di trottola / al margine della strada: / la corsa che dirada / le sue spire fin qui, / nella purpurea buca /dove un tumulo d’anime saluta / le insegne di Liocorno e di Tartuca. … / Dalla torre / cade un suono di bronzo: la sfilata / prosegue fra i tamburi che ribattono / a gloria di contrade. … La sbarra in croce non scande / la luce per chi s’è smarrito, / la morte non ha altra voce / di quella che spande la vita, / ma un’altra voce qui fuga l’orrore / del prigione e per lei quel ritornello / non vale il ghirigoro d’aste avvolte / (Oca e Giraffa) che s’incrociano alte / e ricadono in fiamme. / Geme il palco / al passaggio dei brocchi salutati / da un urlo solo. È un volo! E tu dimentica! Dimentica la morte”. Quest’anno no: mentre scrivo, non c’è la terra in Piazza, l’anello di tufo non cinge la “purpurea buca”, cioè la Piazza del Campo cantata in questi versi altissimi di Eugenio Montale (dalle Occasioni, 1939).

 

Le bandiere non si incrociano lanciate in aria dagli alfieri delle diciassette contrade, e le dieci cui toccava correre (le sette che non corsero nell’agosto dell’anno scorso più tre tirate a sorte, in quell’impasto di giustizia e fortuna che è l’anima stessa della Festa senese) non volano per tre volte lungo quell’anello. Sunto, il grande campanone della Torre del Mangia dedicato all’Assunta, non ha fatto piovere sulla Piazza il suo suono di bronzo, nessun urlo si è alzato alle sette di sera del sedici agosto: Siena è senza Palio. Montale, con la bacchetta da rabdomante del poeta, coglie del Palio il significato più profondo, ed essenziale: “E tu dimentica! Dimentica la morte”. Il Palio non è uno sport, né una rievocazione storica, non è fatto per i turisti: è un esorcismo collettivo della morte, è la celebrazione collettiva della vita, antichissima e attuale, di una città che si sente ancora comunità. I cavalli (e i fantini, perennemente in subordine) sono strumenti di un rito officiato da una città intera: e la Piazza del Campo, che non appartiene a nessuna contrada, è insieme altare, chiesa, teatro, parlamento di una comunità che qui sublima da quasi cinquecento anni la perdita della sua amatissima libertà.

Camminare, in questa estate senza Palio, sul Campo di Siena significa sentire il respiro frenato di una città intera. La celebrata bellezza della Piazza è essa stessa segno di una città che ha avuto un precocissimo senso di sé, prescrivendo per legge, in pieno Medioevo, che tutte le finestre che vi si affacciavano fossero ornate a ‘colonnelli’, fossero cioè bifore o trifore. Nel 1309 il Costituto del Comune prescrive che “intra li studi e solecitudini e’ quali procurare si debiano per coloro e’ quali ànno ad intendere al governamento de la città è quello massimamente che si intenda alla belleza della città, perché la città dev’essere onorevolmente dotata et guernita, tanto per cagione di diletto et alegreza de’ forestieri quanto per onore, prosperità et acrescimento de la città e de’ cittadini di Siena”.

Nei mesi in cui Dante scriveva la Commedia – dove innalzava la lingua figurativa di Cimabue e Giotto accanto a quella di Guinizelli, di Cavalcanti e di lui stesso –, a Siena ci si preoccupava di dire che quella lingua di forme e figure era un fatto pubblico: la bellezza della città era legata direttamente all’onore dei cittadini, e doveva essere al centro delle preoccupazioni del governo comunale. Dominio dello spazio, e signoria del tempo: il Palio, si dice a Siena, dura tutto l’anno. Sì, perché è la vita di contrada, con le sue feste e i suoi riti, a scandire ogni momento, a costituire il tessuto sociale, a cucire pubblico e privato.

Un anno senza Palio è un tempo spezzato: sottratto dal conto della vita e ripiombato sotto il dominio oscuro della morte. Come dimenticare la morte, senza quel volo magico, che unisce pietre e popolo in una danza cosmica che vince il tempo? Eppure, anche in questo anno senza tempo, Siena ci attira, ci seduce ci avvince.

Come fece con uno degli spiriti più alti e liberi del Novecento, quello di Albert Camus, che così sognava la sua stessa fine: “Ma soprattutto, soprattutto, rifare a piedi, con lo zaino sulle spalle, la strada da Monte San Savino a Siena, costeggiare quella campagna di ulivi e di viti, di cui sento ancora l’odore, percorrere quelle colline di tufo bluastro che s’estendono sino all’orizzonte, e vedere allora Siena sorgere nel sole che tramonta con tutti i suoi minareti, come una perfetta Costantinopoli, arrivarci di notte, solo e senza soldi, dormire accanto a una fontana ed essere il primo sul Campo a forma di palmo, come una mano che offre ciò che l’uomo, dopo la Grecia, ha fatto di più grande. Sì, vorrei rivedere … la conchiglia del Campo di Siena …. Quando sarò vecchio, vorrei che mi venisse concesso di tornare su quella strada di Siena, che non ha eguali al mondo, e di morirvi in un fossato, circondato soltanto dalla bontà di quegli italiani conosciuti, che io amo”.

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1 risposta a +++ DONATELLA D’IMPORZANO : POETICA INTRODUZIONE ALL’ARTICOLO DI TOMASO MONTANARI : ” Siena senza Palio: il “bel” rito per dimenticarsi della morte “. IL FATTO QUOTIDIANO DEL 17 AGOSTO 2020

  1. Donatella scrive:

    Forse la poesia è l’unico mezzo adatto per parlare di questa piazza.

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