Un articolo degno sulle recenti polemiche :: CARLO GUBITOSA, BLOG ESPRESSO, 2013 :: Il fumettista, Montanelli, la “moglie bambina” in Eritrea e l’amore come reato penale nel fascismo

 

 

BLOG AUTORE — ESPRESSO – 10 LUGLIO 2013

http://gubitosa.blogautore.espresso.repubblica.it/2013/07/10/montanelli/

 

Matita Rossa

 

Carlo Gubitosa

 

Il fumettista, Montanelli, la “moglie bambina” in Eritrea e l’amore come reato penale nel fascismo

 

 

Vignetta di Alessio Spataro(L'”anticommemorazione” montanelliana di Alessio Spataro)

 

 

E’ incredibile quante cose si imparano con una vignetta, soprattutto se arriva da qualcuno che sa rovistare nelle pieghe della storia. E’ quello che ha fatto il fumettista Alessio Spataro tuffandosi di testa nell’archivio Youtube della Rai per una “anticommemorazione” illustrata di Indro Montanelli, di cui tra pochi giorni ricorre l’anniversario della morte.

L’oggetto della contestazione e’ un episodio della vita di Montanelli gia’ noto ma non notorio, pubblico ma non troppo pubblicizzato, una “non-notizia” che personalmente ignoravo, rimasta ai margini del dibattito pubblico su questa icona del giornalismo: l'”acquisto” di una moglie dodicenne (piu’ precisamente una “madama”) durante la stagione del colonialismo fascista in Eritrea.

Correva l’anno 1936, e quella che sarebbe diventata una delle penne piu’ prestigiose d’Italia scriveva nel numero di gennaio del periodico “Civilta’ Fascista” un articolo in cui si sosteneva che “non si sarà mai dei dominatori, se non avremo la coscienza esatta di una nostra fatale superiorità. Coi negri non si fraternizza. Non si può, non si deve. Almeno finché non si sia data loro una civiltà“.

Ma evidentemente non tutti i tipi di “fraternizzazione” erano sgraditi a Montanelli, come ha raccontato il diretto interessato in una intervista rilasciata a Enzo Biagi per la Rai nel 1982: “aveva dodici anni, ma non mi prendere per un Girolimoni, a dodici anni quelle li’ erano gia’ donne. L’avevo comprata a Saganeiti assieme a un cavallo e un fucile, tutto a 500 lire. (…) Era un animalino docile, io gli (sic) misi su un tucul con dei polli. E poi ogni quindici giorni mi raggiungeva dovunque fossi insieme alle mogli degli altri ascari“.

L’episodio era gia’ stato rievocato in precedenza nel 1969, durante il programma di Gianni Bisiach “L’ora della verita’”, in cui Montanelli ha descritto la sua esperienza coloniale: “Pare che avessi scelto bene – racconto’ Montanelli – era una bellissima ragazza, Milena, di dodici anni. Scusate, ma in Africa e’ un’altra cosa. Cosi’ l’avevo regolarmente sposata, nel senso che l’avevo comprata dal padre. (…) Mi ha accompagnato assieme alle mogli dei miei ascari (…) non e’ che seguivano la banda, ma ogni quindici giorni ci raggiungevano (…) e arrivava anche questa mia moglie, con la cesta in testa, che mi portava la biancheria pulita. (…) non c’e’ stata nessuna violenza, le ragazze in Abissinia si sposano a dodici anni“.

Un episodio che getta una pesante ombra sulla memoria del giornalista, ma al tempo stesso permette di fare luce su pagine oscure della nostra storia, che vanno ben oltre quella compravendita di una bambina dodicenne troppo giovane per fare da moglie a chicchessia.

L’occasione per approfondire il clima dell’epoca e’ stata la polemica innescata dalla rievocazione di Spataro, dove il fronte degli indignati per quell’azione intrisa di colonialismo e in odore di pedofilia si e’ scontrato con la frangia giustificazionista del “cosi’ fan tutti” (o perlomeno cosi’ facevano tutti all’epoca di quei fatti).

Ma siamo sicuri che fossero proprio tutti a fare cosi’? Sembra di no, visto che dalla nebbia cibernetica dei ricordi, oltre alla moglie bambina di Montanelli (abbandonata al suo Tucul e al suo destino quando il giornalista e’ rientrato in Italia) e’ emersa tra una replica e l’altra anche la storia dell'”imputato Seneca”, l’uomo che ha sfidato per amore le leggi razziali in base alle quali era proibito elevare al rango di moglie vera e propria una “madama” acquistata per i soggiorni nelle colonie.

Il “madamato”, infatti, non era un vero e proprio matrimonio con parita’ di diritti e doveri, ma una forma di “contratto sociale” segnata dal dominio autoritario del colonizzatore sull’indigeno, dell’uomo sulla donna, dell’adulto sul bambino, del libero sul prigioniero, del ricco sul povero, del forte sul debole. E alla fine avevi qualcosa che era meno di una moglie e poco piu’ che una schiava.

Era importante fare in modo che queste relazioni di dominio con le “belle abissine” non sconfinassero mai nel terreno dei sentimenti, e per questo nel Regio Decreto 740 del 19 aprile 1937, dal titolo eloquente “Sanzioni per rapporti di indole coniugale tra cittadini e sudditi“, si era stabilito che “il cittadino italiano che nel territorio del Regno o delle Colonie tiene relazione d’indole coniugale con persona suddita dell’Africa Orientale Italiana o straniera appartenente a popolazione che abbia tradizioni, costumi e concetti giuridici e sociali analoghi a quelli dei sudditi dell’Africa Orientale Italiana è punito con la reclusione da uno a cinque anni“.

La ragione di questo divieto alle “relazioni d’indole coniugale” l’ha spiegata Gianluca Gabrielli in un articolo del 2012 pubblicato sulla Rivista dell’Associazione Nazionale degli antropologi culturali:

La legge contro le unioni miste – scrive Gabrielli – vuole punire esemplarmente gli italiani che mostrano di non aver rispettato il codice di comportamento “razziale” dei dominatori. Il dispositivo quindi non è stato varato per colpire direttamente la donna africana, non è lei da educare in senso razzista. È l’italiano che interessa, che deve mantenere una distanza evidente e ostentare superiorità con le popolazioni del luogo, perché la distanza e la superiorità assicurano il dominio.

Ed e’ per questo che tra i “capi d’accusa” a carico di Seneca vengono elencati normalissimi gesti di premura verso una compagna, tra cui la colpa “di aver preso con sé un’indigena, di averla portata con sé nei vari trasferimenti, di volerle bene, di averla fatta sempre mangiare e dormire con sé, di avere consumato con essa tutti i suoi risparmi, di avere fatto regali ad essa e alla di lei madre, di averle fatto cure alle ovaie perché potesse avere un figlio, di avere preso un’indigena al suo servizio, di avere preparato una lettera a S.M. il Re Imperatore per ottenere l’autorizzazione a sposare l’indigena o almeno a convivere con lei“. Gesti che diventano crimini perche’ l’oggetto di queste attenzioni e’ un’africana, un’inferiore, un “suddito”.

Sfogarsi nelle trasferte comprandosi le “madame” andava bene, ma nella sentenza che condanna Seneca si afferma che “in questo caso, non è il bianco che ambisce sessualmente la venere nera e la tiene a parte per tranquillità di contatti agevoli e sani, ma è l’animo dell’italiano che si è turbato ond’è tutto dedito alla fanciulla nera sì da elevarla al rango di compagna di vita e partecipe d’ogni atteggiamento anche non sessuale della propria vita“.

E quando si passa dalle “ambizioni sessuali” ai “turbamenti dell’anima”, aggiungendo la sfrontatezza di voler elevare la “fanciulla nera” al ruolo di “compagna di vita” anche fuori dal letto, non c’e’ perdono possibile per la cultura fascista. Per i giudici che hanno condannato l’imputato Seneca quella donna non era rimasta un puro oggetto sessuale per “contatti agevoli e sani”, ma c’era il rischio che potesse diventare non solo oggetto di affetti, ma anche moglie e cittadina dell’impero, e tutto questo per il colonizzatore e’ una sciagura da evitare a tutti i costi.

Per smentire il “cosi’ fan tutti” associato alla sottomissione delle donne, all’acquisto di minorenni, alla pratica del “madamato” basta una semplice controprova che sgretola in un attimo quel “tutti” cosi’ perentorio. E pur essendo cosa comune a quei tempi comprare persone di cui disporre liberamente, e avere rapporti sessuali con dodicenni, c’e’ sempre in ogni epoca della storia qualche “imputato Seneca” che spinge la civilta’ lontano dalla barbarie.

E’ a questa gente che dobbiamo guardare, e non alla morale corrente: ne’ a quella in vigore al tempo delle “madame” dodicenni, ne’ a quella attualmente in voga nella nostra epoca di “utilizzatori finali” di diciassettenni.

Ricostruire l'”acquisto” di Montanelli e il contesto in cui e’ maturato, assieme all’esperienza speculare di Seneca che cercava una compagna di vita e non una “madama a tempo”, potra’ sembrare una inutile riesumazione di fatti gia’ noti, o una mancanza di rispetto verso una firma storica del giornalismo italiano.

Resto comunque persuaso che il recupero della memoria storica, l’analisi critica dei dati di realta’ e i racconti fatti senza piaggeria faranno contento il Montanelli giornalista ovunque egli si trovi, anche a costo di lasciare un po’ amareggiato il Montanelli colonialista e acquirente di dodicenni, e i suoi fan talmente appassionati e devoti da perdonargli qualsiasi errore di gioventu’, anche il piu’ abominevole.

 

 

 

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