PHILIP ROTH : NEMESI, EINAUDI 2011 –RECENSIONE DI CHIARA LOMBARDI SU ” L’INDICE DEI LIBRI “

 

Nemesi - Philip Roth - copertina

Nemesi

 Philip Roth

Articolo acquistabile con 18App e Carta del Docente
Traduttore: Norman Gobetti
Editore: Einaudi
Collana: Supercoralli
Anno edizione: 2011
In commercio dal: 1 febbraio 2011
Pagine: 183 p., Rilegato
19 euro, prezzo pieno

Quasi fosse una discesa nel proprio sottosuolo, Philip Roth racconta la giovinezza a Newark: il vigore dei vent’anni e l’immediata disillusione arrivata con la guerra e la malattia. Lo fa come sempre senza compiangere né se stesso né gli altri, anzi facendo emergere con forza tutte le contraddizioni dell’epoca e i suoi violenti tumulti.

Al centro di “Nemesi” c’è un animatore di campo giochi vigoroso e solerte, Bucky Cantor, lanciatore di giavellotto e sollevatore di pesi ventitreenne che si dedica anima e corpo ai suoi ragazzi e vive con frustrazione l’esclusione dal teatro bellico a fianco dei suoi contemporanei a causa di un difetto della vista. Ponendo l’accento sui dilemmi che dilaniano Cantor e sulla realtà quotidiana cui l’animatore deve far fronte quando nell’estate del 1944 la polio comincia a falcidiare anche il suo campo giochi, Roth ci guida fra le più piccole sfaccettature di ogni emozione che una simile pestilenza può far scaturire: paura, panico, rabbia, confusione, sofferenza e dolore. Spostandosi fra le strade torride e maleodoranti di una Newark sotto assedio e l’immacolato campo estivo per ragazzi di Indian Hill, sulle vette delle Pocono Mountains – la cui “fresca aria montana era monda d’ogni sostanza inquinante” -, “Nemesi” mette in scena un uomo di polso e sani principi che, armato delle migliori intenzioni, combatte la sua guerra privata contro l’epidemia. Roth è di una tenera esattezza nel delineare ogni passaggio della discesa di Cantor verso la catastrofe, e non è meno esatto nel descrivere la condizione infantile.

 

 

RECENSIONE DLL’OPERA DALL’INDICE DEI LIBRI

DI 

CHIARA LOMBARDI

 

Nessuno legge un romanzo di Philip Roth per sapere come va a finire. Eppure, a metà di questo libro, il lettore sa che la nemesi non tarderà ad arrivare, anche se non sa ancora quando né come. E non soltanto, com’è ovvio, perché così vuole il titolo. Perché ne sente il peso, il fiato sul collo, anche quando le cose sembrano mettersi per il meglio; e perché la dea, simbolo di una giustizia superiore che distribuisce a ciascuno il suo pezzo di buona e cattiva sorte, non può non vendicarsi contro chi è stato troppo fortunato. È l’antica regola dell’invidia degli dei. In realtà, però, il protagonista di questo romanzo, Bucky Cantor (il cui nome di battesimo è Eugene, in greco “ben nato”, “di nobili origini”), non è stato molto favorito dalla sorte: la madre è morta di parto, il padre condannato per furto e scomparso, dalla nascita è stato allevato (seppure molto amato) dai nonni in una delle zone più povere di Newark. Quello che ha lo deve tutto al suo impegno, alla forza e al desiderio di lottare con tenacia per ciò in cui crede. Ma, evidentemente, per la dea Nemesi questo non fa molta differenza.Il romanzo si apre nel luglio del 1944, l’anno in cui Newark è colpita da una terribile epidemia di poliomielite, quando Bucky, ventitré anni, riformato per la guerra a causa di una forte miopia, lavora come animatore nel campo giochi di Weequahic dove allena un gruppo di ragazzi, ebrei come lui, al gioco del baseball. Il nonno, scomparso da qualche anno, gli ha insegnato a fare bene il suo dovere, e così Bucky è diventato un precoce campione sportivo, abile nel lancio del peso e del giavellotto, dotato di “un’incrollabile buona salute”. Forse è per questo che, nella rovente Newark di quell’estate, afflitta dall’afa e infestata dal fetore dei vicini allevamenti di maiale, decide di lottare e di resistere contro la malattia, senza farsi prendere dalla paranoia del contagio e lasciando il suo compito soltanto per raggiungere l’amata Marcia sulle Pocono Mountains, dove l’aria sembra pulita e il contagio impossibile. Una scelta, quella di lasciare Newark, estremamente sofferta, che comporta un esito contrario a qualunque aspettativa.Il primo atto di coraggio è, per Bucky Cantor, quello di pulire il campo giochi invaso dagli sputi di un gruppo di italiani del quartiere dell’East Side High, arrivati lì con il deliberato progetto di contagiare i bambini ebrei. “Prima vi attacchiamo la polio”, dice uno di loro con i pollici infilati nei pantaloni e lo sguardo pieno di disprezzo. “Noi ce l’abbiamo e voi no, perciò abbiamo pensato che potevamo venire qui e attaccarvela”. La minaccia sembra banalmente paradossale, ma si compie in tutta la sua crudeltà, come un “piccolo” correlativo simbolico dell’analogo progetto di morte che, nello stesso periodo, si stava compiendo nel mondo su vasta scala. E se Bucky non può combattere nell’esercito americano, può però lottare contro quel bacillo di cui – a una decina d’anni dall’inizio delle campagne di vaccinazione – non si conoscevano neanche bene le modalità di trasmissione. Incurante del contagio, il giovane lava il selciato con acqua calda e ammoniaca e corre a rincuorare i genitori dei bambini che in quei giorni muoiono l’uno dopo l’altro. Ma della polio, appunto, come del male, non si sa niente: “Avete lavato via gli sputi ma non avete lavato via la polio”, dice il proprietario di un bar abbandonato per la paura del contagio. “Non si vede. È nell’aria, e tu apri la bocca, la respiri ed ecco che te la sei beccata. Non c’entra niente con gli hot dog”.Nella Peste (a cui Roth si riferisce in un’intervista del 2008), Camus scriveva: “Il bacillo della peste non muore né scompare mai”. E, come la peste, la polio si manifesta e sopravvive in tutta la sua agghiacciante insensatezza. “Bisogna tutto credere o tutto negare”, affermava padre Paneloux nel romanzo di Camus, dopo che la morte del piccolo figlio del giudice aveva spazzato via ogni ragionevole spiegazione religiosa. Nemesis sembra cominciare proprio di qui, dall’episodio di maggiore crudeltà ed estremo sconcerto della Peste: la morte dei bambini, che diventa sostanza tragica del romanzo. Bucky è molto simile al dottor Rieux, il medico che nella Peste combatte strenuamente contro la malattia. Come lui, non crede all’eroismo ma all’onestà (“La sola maniera di lottare contro la peste è l’onestà”), alla necessità di “fare il proprio mestiere”. E, come Rieux (“Mi rifiuterò sino alla morte di amare questa creazione dove i bambini sono torturati”), ma con più violenza, Bucky rivolge la sua indignazione contro Dio, “che aveva creato il virus”: “Dio non ce l’ha una coscienza? Dov’è la Sua responsabilità? Oppure Lui non conosce limiti?”.L’indignazione, del resto, corrisponde a un altro significato della parola nemesis, e al tempo stesso ci riporta al precedente romanzo di Roth (Indignazione, Einaudi, 2009; cfr. “L’Indice”, 2009, n. 11), dove si scatenava un’analoga ribellione contro l’ingiustizia della Storia e della vita, e dove si esprimeva lo stesso feroce contrasto tra un incoercibile desiderio di amore e bellezza, e la necessità di subire una disumana sofferenza. Ma qui l’indignazione, per quanto spesso diretta a Dio, chiama in causa gli antichi motivi tragici del Caso, della Sorte. L’eroe Bucky si ribella, ma non riesce a rimanere indenne. La sua fortuna, a dispetto delle difficoltà, è legata alla sua forza e alla capacità di amare e di farsi amare: dai bambini del campo, dalla fidanzata Marcia che rappresenta la promessa di quanto di più bello e di felice ci possa essere. Il loro incontro nel campeggio sulle Pocono Mountains, i tuffi con gli amici, il rosbif e il pasticcio di pasta, la festa degli indiani, l’amore su una piccola isola in mezzo al lago restano tracce luminose di una felicità insidiata dalla vendetta degli dei. La nemesi arriva, e trascina Bucky e Marcia via dall’isola, come nella Cacciata dal Paradiso terrestre di Masaccio. E colpisce due volte: con la malattia e con la colpa. Perché Bucky, a differenza di Rieux, si ammala e contagia. In questo modo, tradisce anche la propria onestà: “L’uomo onesto”, leggiamo ancora nella Peste, è “colui che non infetta quasi nessuno, è colui che ha distrazioni il meno possibile”.Il destino tragico di Bucky, che pure sopravvive alla malattia, si rivolge quindi contro se stesso, in una vita di disamore e di solitudine, nella speranza di riscattare la propria distrazione. Quello che gli è restituito, e quello che leggiamo, si trova ormai soltanto nella narrazione, nel “romanzo”, che si compone nelle conversazioni di Bucky con Arnie, l’amico di Weequahic, quando tutto è già finito, tutto è già compiuto. In questo modo Roth riafferma la tendenza della sua ultima narrativa (EverymanIl fantasma esce di scenaIndignazione e L’umiliazione) a guardare la vita dal punto di vista esterno ed estremo della morte, della malattia, quella prospettiva a cui Michail Bachtin, in L’autore e l’eroe, attribuiva una grande forza estetica (ed etica): “Il rapporto esteticamente creativo con l’eroe e il suo mondo è un rapporto come con qualcuno che deve morire”. Ma qui l’aspetto più interessante è che questo punto di vista permette anche di superare lo schema tragico apparentemente convenzionale, quello della caduta dell’eroe. Pur svuotandosi di sostanza e di centralità, il racconto restituisce a Bucky ciò che il destino gli ha tolto; si conclude, infatti, con un nuovo inizio, con la sua immagine di campione nel lancio di giavellotto, un’immagine di forza, felicità e bellezza che nessuna invidia divina e nessuna nemesi potranno mai distruggere.

Chiara Lombardi

 

 

 

Libri di Philip Roth

Philip Roth (Newark 1933 – Manhattan 2018) è stato uno scrittore statunitense.

Figlio di ebrei piccolo-borghesi rigorosamente osservanti, ha fatto oggetto della sua narrativa la condizione ebraica, proiettata nel contesto urbano dell’America dell’opulenza.

I suoi personaggi appaiono vanamente tesi a liberarsi delle memorie etniche e familiari per immergersi nell’oblio dell’attualità americana: di qui la violenta carica comica, ironica o grottesca, che investe anche le loro angosce. Dopo un primo, felice romanzo breve, Addio, Columbus (1959), e i meno incisivi Lasciarsi andare (1962) e Quando Lucy era buona (1967), Roth ha ottenuto la celebrità con Lamento di Portnoy (1969).Dopo Il grande romanzo americano (1973, riedito in Italia da Einaudi nel 2014), attacco al mito del baseball, in Professore di desiderio (1978) e Lo scrittore fantasma (1979) Roth è tornato al tema dell’erotismo.Con Pastorale americana (1997, con cui vince il Premio Pulitzer), Ho sposato un comunista (1998) e Il complotto contro l’America (2004), romanzi che hanno suscitato accesi dibattiti, Roth passa dall’allegoria alla cronaca letteraria della storia nazionale. L’animale morente (2001) – in cui torna Kepesh, protagonista di Professore di desiderio –, La macchia umana (2000, trasposto in film da Benton nel 2003) e Everyman (2007) sono riflessioni più intimiste che, attraverso l’osservazione del corpo e del suo implacabile deterioramento, svolgono la metafora dell’ineluttibilità del destino e dello scorrere rapido del tempo.Tra i suoi ultimi libri: Il fantasma esce di scena (2007), Indignazione (2008), L’umiliazione (2009), La controvita (2010), Nemesi (2011), La mia vita di uomo (1974; nuova traduzione Einaudi 2011).Lo stesso Einaudi (il suo editore di riferimento italiano) ha pubblicato anche I fatti. Autobiografia di un romanziere (2013).

Philip Roth è stato tra i favoriti per l’assegnazione del Nobel per la Letteratura.

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3 risposte a PHILIP ROTH : NEMESI, EINAUDI 2011 –RECENSIONE DI CHIARA LOMBARDI SU ” L’INDICE DEI LIBRI “

  1. Donatella scrive:

    Viene voglia di leggerlo.

  2. roberto scrive:

    leggilo.
    te lo dice uno che , se non per distrazione, ritiene di aver letto tutto il Roth possibile, perfino il Joseph che con Philip non c’entra niente, ma tanto per dire.
    Roth è la dimostrazione lampante di come il Nobel (almeno quello per la letteratura) abbia evidenti agganci politici, di che genere non saprei nè m’interessa ma ci sono.
    A chi era così antipatico?
    Non riconoscere il Nobel a Roth è stata un’infamia.

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