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REPUBBLICA DEL 6 MAGGIO 2020
https://rep.repubblica.it/pwa/robinson/2020/05/06/news/no_diet_day-255857578/
Robinson
Società
No diet day: per ricordare che la vita non è un giro vita
06 MAGGIO 2020
Si celebra la Giornata dedicata a chi non vuole essere vittima dell’ossessione della magrezza. In un mondo in cui, a parità di condizioni, le taglie forti trovano lavoro con più difficoltà
DI MARINO NIOLA
È la rivincita degli umiliati e obesi. E’ l’International no diet day e tutte le rinunce sono bandite. La giornata mondiale antidiete è a tutti gli effetti un Fat Pride, un’affermazione di orgoglio lipidico, di accettazione di sé e della propria forma fisica.
Che si oppone alla demonizzazione del grasso e alla discriminazione dei grassi che hanno viralizzato l’immaginario globale. Facendo dell’obesofobia dilagante una forma di razzismo strisciante, dissimulato sotto le apparenze di un salutismo paternalistico.
Che in realtà è intransigente e intollerante. E ha trasformato lo slim fit in un segno di superiorità morale oltre che fisica, facendo cortocircuitare etica e dietetica, coscienza e bilancia, passioni e ossessioni, totem e tabù.
Sta qui la differenza tra le diete di una volta e quelle di ora, tra Ippocrate e Panzironi.
Le antiche regole alimentari erano una misura di benessere. Mentre le nostre sono una limitazione dell’essere. Delle religioni che hanno messo il corpo al posto dell’anima. Di cui le vittime principali sono le donne, condizionate nel corpo e nella mente, e rese disponibili a qualunque sacrificio pur di rientrare nel peso forma o, meglio, nel peso format.
Non a caso a inventare il no diet day nel 1992 è stata Mary Evans Young, una ragazza inglese, bullizzata per la sua taglia non conformata e fondatrice dei Diet breakers, come dire i rompidigiuno. E a raccogliere il testimone sono state soprattutto organizzazioni femministe di diversi Paesi, che cercano di combattere l’ideale di bellezza anoressico e disincarnato caro all’industria della moda, al business della bellezza e ai guru della dietologia.
Un ideale che fa più vittime dell’obesità, come aveva già dimostrato Ancel Keys, il più grande nutrizionista del Novecento e scopritore della dieta mediterranea. In un programma ormai storico, trasmesso negli anni Cinquanta dalla CBS, lo scienziato mostrava a un gruppo di colleghi due persone, una più in carne dell’altra, chiedendo chi delle due fosse più sana. Tutti indicavano il normopeso e Keys li lasciava sistematicamente di stucco mostrando, parametri alla mano, che quello rotondo aveva l’aspettativa di vita più lunga. Perché il magro, a dispetto della taglia eterea aveva il colesterolo alle stelle. E quindi era a forte rischio cardiovascolare. Evidentemente anche in medicina l’apparenza inganna.
Ma siccome viviamo nella società dell’apparenza, dove la complessità della persona si riduce a peso, misura e forma, la grassezza diventa uno stigma, una tara che deforma il profilo fisico, ma anche quello sociale.
Così i tipi curvy sono diventati i nuovi paria del villaggio globale. Presi per la gola dal mercato planetario del junk food, di cui sono i primi finanziatori. E poi additati alla pubblica condanna come brutti sporchi e cattivi. Nonché lavativi. Come dimostra una serie imponente di studi realizzati da antropologi, sociologi e psicologi, a parità di competenze e di abilità, le taglie forti trovano più difficilmente lavoro. E a parità di curriculum, guadagnano circa il 15% in meno dei pesi piuma. Evidentemente lo stereotipo della leggerezza vincente pesa come un macigno sul loro destino.
Una giornata come questa è l’occasione di ripensare le nostre idee di corpo e di persona. Per riequilibrare orgoglio dei grassi e pregiudizio dei magri. E per non ridurre la vita a giro vita.
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