BEATLES — 1966 — REVOLVER –REMASTERED 2009 — COPERTINA DI KLAUS VOORMANN — lista dei brani ++ recensione di Franco Zanetti, Rockol- 14 agosto 2019

 

 

REMASTERED 2009—

la copertina realizzata da Klaus Voormann in un bianco e nero psichedelico

 

 

 

 

 

 

The Beatles – Revolver (Remastered 2009)

TVnRadio

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Taxman (Remastered 2009)

The Beatles
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Eleanor Rigby (Remastered 2009)

The Beatles
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I’m Only Sleeping (Remastered 2009)

The Beatles
4

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Love You To (Remastered 2009)

The Beatles
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Here, There And Everywhere (Remastered 2009)

The Beatles
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Yellow Submarine (Remastered 2009)

The Beatles
7

2:37ORA IN RIPRODUZIONE

She Said She Said (Remastered 2009)

The Beatles
8

Good Day Sunshine (Remastered 2009)

The Beatles
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And Your Bird Can Sing (Remastered 2009)

The Beatles
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For No One (Remastered 2009)

The Beatles
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Doctor Robert (Remastered 2009)

The Beatles
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I Want To Tell You (Remastered 2009)

The Beatles
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Got To Get You Into My Life (Remastered 2009)

The Beatles
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Tomorrow Never Knows (Remastered 2009)

The Beatles

ROCKOL.IT — 14 ago 2019 a cura di 

Franco Zanetti

https://www.rockol.it/recensioni-musicali/album/1893/beatles-revolver?refresh_ce

 

 

Dischi leggendari: riscopri ‘Revolver’ dei Beatles

 

La recensione

Fra “Rubber soul”, “Revolver” e “Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band” – ma, anche senza voler esagerare, all’elenco bisognerebbe aggiungere almeno “A hard day’s night” e il “White album”, e lo stesso “Abbey Road” – non è semplice individuare un solo album dei Beatles che sia imprescindibile in una ipotetica discoteca ideale. Riservandomi di includere prossimamente in questa galleria di “classici” almeno un altro dei titoli sopra elencati, ho scelto di privilegiare “Revolver” essenzialmente perché, uscendo nell’estate 1966, è l’album che ha segnato l’inizio di una fase radicalmente nuova nella carriera del gruppo.  E’ vero che “Rubber soul” già giocava con i suoni e s’apriva a testi meno adolescenziali (“Norwegian wood”, “The word” e soprattutto “Nowhere man”); ma è con “Revolver” che i Beatles cominciano a far emergere nella propria musica le influenze diverse e addirittura antitetiche alle quali s’andavano esponendo i tre compositori del gruppo (la musica indiana per George Harrison, la musica classica e contemporanea per Paul McCartney, l’LSD per John Lennon – che cominciò a farne regolarmente uso a cavallo fra il 1965 e il 1966).

I due estremi sonori del disco sono “Yellow Submarine” e “Tomorrow never knows”: la prima, sotto l’apparenza di una filastrocca per bambini, nasconde la complessa semplicità di un arredo sonoro elaboratissimo, allestito da George Martin con tutta la sua esperienza di realizzatore di “comedy records”; la seconda, introducendo l’utilizzo dei tape-loops, “è una produzione che, in termini di innovazioni nella costruzione, sta alla musica pop come la ‘Sinfonia Fantastica’ di Berlioz sta alla musica orchestrale dell’Ottocento” (Ian McDonald, “The Beatles – L’opera completa, Mondadori), e in essa la voce cantante di Lennon è quanto di più simile a un viaggio lisergico si fosse sentito fino ad allora.

Delle altre dodici canzoni dell’album, alcune non offrono sorprese eclatanti. “Got to get you into my life” è un pastiche in stile Holland-Dozier-Holland; “Doctor Robert” resta indubitabilmente un episodio minore; “And your bird can sing” merita attenzione soprattutto per la complessità delle parti di chitarra; “Taxman”, di George Harrison, ha nel testo “politico-sociale” il suo maggiore spunto d’interesse; “”Here there and everywhere” – benché McCartney la consideri la preferita fra tutte le sue composizioni – è essenzialmente una melodia romanticissima elaborata con maestria ma non esente da sentimentalismi; “Good day sunshine”, solare e allegra, ha nella controllata spontaneità il suo pregio maggiore; “I want to tell you” incuriosisce più che altro per come il testo di Harrison, che ne è l’autore, esplora in termini orientali i problemi di comunicazione personale).

Ma “For no one” è formalmente elegantissima, e attonita nel suo contemplare quasi con imperturbabilità la fine di una storia d’amore; “I’m only sleeping” è ingegnosa nella struttura e stupisce con la parte di chitarra a ritroso; “She said she said” – “come esecuzione il brano più notevole dell’album”, secondo McDonald – è inquietante e disturbante, irregolare e spigolosa; e “Love you to”, primo frutto concreto dell’interesse di Harrison per la musica indiana, fu per l’epoca una rivelazione sonora, e suscitò un vasto interesse (oltre a generare innumerevoli imitazioni).

Resta da dire di “Eleanor Rigby”, che – attribuibile a McCartney – reca le stimmate del capolavoro. Merito di un testo visionario (“indossa la faccia che tiene in un vaso vicino alla porta”: secondo la scrittrice A.S. Byatt, la frase “possiede la perfezione minimalista di un racconto di Beckett”) che racconta la disperazione della solitudine attraverso annotazioni fulminanti – Eleanor Rigby “raccoglie il riso nella chiesa dove è stato celebrato un matrimonio”, padre McKenzie “la sera, da solo, si rammenda i calzini” (pare che quest’idea sia stata suggerita da Ringo Starr; ma Lennon rivendicò in seguito la paternità di “circa il 70% del testo) – e affronta esplicitamente il tema della morte, che solitamente la musica pop preferiva evitare, con una brutalità (il prete che “si ripulisce le mani dalla terra allontanandosi dalla tomba”) e una compassione sincere ed emozionanti. E merito di una melodia crudelmente disadorna e di un arrangiamento per ottetto d’archi che ebbe sulla scena musicale del momento un impatto e un’influenza decisivi.

Così come l’intero album (del quale va ricordata anche la copertina realizzata da Klaus Voormann in un bianco e nero psichedelico); dopo la pubblicazione del quale i Beatles – attraverso il singolo a doppia facciata A “Penny Lane” / “Strawberry Fields forever” – iniziarono la costruzione di un disco monumentale come “Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band”: del quale “Revolver” non possiede forse l’importanza epocale, ma certamente eguaglia, se non addirittura supera, la validità artistica e creativa.

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