Accattone – 1961 – Pier Paolo Pasolini- 1.51.46 — trama e notizie da wikipedia — Una recensione dal Centro Studi Casarza della Delizia

 

Accattone è un film del 1961 scritto e diretto da Pier Paolo Pasolini. Opera che segna il suo esordio alla regia, Accattone può essere considerato la trasposizione cinematografica dei suoi precedenti lavori letterari. In questa pellicola insegue una sua idea di narrazione epica e tragica.

Il film è stato selezionato tra i 100 film italiani da salvare.

 

https://www.youtube.com/watch?v=Pp0b3yuK78U

 

Trama

“Accattone” è il soprannome di Vittorio Cataldi, un sottoproletario romano il cui stile di vita è improntato al “sopravvivere” giorno per giorno. Accattone si fa mantenere da una prostituta, Maddalena, “sottratta” a un napoletano finito in carcere. L’uomo evita la vendetta degli amici del carcerato, incolpando Maddalena di tutto e abbandonandola. Maddalena finisce in carcere. Accattone, rimasto senza soldi, conosce la fame. Un giorno incontra Stella, una ragazza che cerca di convincere a prostituirsi, ma intanto se ne innamora. L’amore per Stella spinge Accattone a cercarsi un lavoro, guadagnandosi da vivere in modo onesto, ma la “redenzione” dura poco, infatti presto torna a rubare. Dopo un piccolo furto s’imbatte nella polizia e nel fuggire cade in motocicletta e muore, compiendo così il destino che pesa su di lui sin dall’inizio.

 

 

La scelta di utilizzare in massima parte attori non-professionisti esprime la convinzione di Pasolini che essi non sono “rappresentabili” da nessun altro che da essi stessi in quanto soggetti incontaminati, puri, privi delle sovrastrutture imposte dalla società.

Per girare gli esterni, la piccola troupe (composta, tra gli altri, dal giovane Bernardo Bertolucci in veste di aiuto regista) si spostava nei luoghi simbolo della periferia romana: via Casilina, via Portuense, via Appia Antica, via Tiburtina, via Baccina, Ponte Sant’Angelo, Acqua Santa, via Manuzio, Ponte Testaccio, il Pigneto, borgata Gordiani, Centocelle, la Marranella e Subiaco (il cimitero).

Il costo approssimativo del film si aggirò intorno ai cinquanta milioni, quanto un “film di serie B” di quegli anni.

 

 

Distribuzione

Presentato alla 22ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia[4] il 31 agosto 1961, il film di Pasolini ricevette dure contestazioni. Alla “prima” del film al cinema Barberini a Roma, un gruppo di giovani neofascisti cercò di impedire la proiezione, lanciando bottiglie d’inchiostro contro lo schermo, bombette di carta e finocchi tra il pubblico. Ci furono colluttazioni e la visione del film fu sospesa per quasi un’ora.

La pellicola uscì nelle sale il 22 novembre 1961. Il film sarà bloccato in sede di censura dal sottosegretario al Ministero del Turismo e Spettacolo Renzo Helfer[5] e ritirato da tutte le sale italiane.

Nel 1962 viene presentato al Festival Internazionale del cinema di Karlovy Vary (Cecoslovacchia) e vince il Primo premio per la regia.

 

 

Doppiaggio

La voce di Franco Citti è in realtà quella dell’attore Paolo Ferrari, scelto da Pasolini, che seguì personalmente il doppiaggio del film.

 

 

Promozione

La realizzazione dei manifesti del film, per l’Italia fu affidata al pittore cartellonista Sandro Symeoni.

 

 

Riconoscimenti

  • Nastri d’argento 1962: miglior produttore (Alfredo Bini)
  • Laceno d’oro 1962: migliore attore (Franco Citti)
  • Festival Internazionale del cinema di Karlovy Vary 1962: Primo premio per la regia
  • Nomination BAFTA al miglior attore protagonista straniero a Franco Citti 1963

 

CRITICA

“Il mondo dei “ragazzi di vita” del sottoproletariato romano, dei diseredati, ha trovato nell’opera di Pier Paolo Pasolini […] i giusti toni di una partecipazione affettiva e di una interpretazione commossa. Siamo lontani dal clima dei film sugli “Sciuscià” e sui “Ladri di biciclette”; qui il rapporto tra l’autore e i suoi personaggi si basa non sull’osservazione di una serie di fenomeni umani e sociali, ma sulla diretta partecipazione a un mondo di vita; e lo stile della rappresentazione deriva direttamente dalla volontà di dar forma visiva e letteraria ad una esperienza reale […]”. (Gianni Rondolino, “Film 1963” Feltrinelli Editore, 1963).

https://www.cinematografo.it/cinedatabase/film/accattone/12345/

 

 

 

 

Centro Studi Pier Paolo Pasolini Casarsa della Delizia

 

 

 

“Accattone” di Pasolini. Due analisi di Daniela Iuppa e di Gordiano Lupi

 

 

Pasolini e Dante / Un desiderio di luce (forse) salva anche un Accattonedi Daniela Iuppa 

www.ilsussidiario.net – 15 novembre 2017

 

 

Fuori Roma, verso le montagne del Lazio meridionale, si estendono vallate luminose e boschive. Quella che culmina nel paese di Olevano Romano è stata ritratta contro un cielo soffuso di azzurro da Camille Corot in uno dei suoi viaggi italiani. E proprio alla “Serpentara” del pittore francese pensava Pasolini quando, nel 1961, scelse lo stesso luogo per girare le ultime inquadrature di Accattone: «Dovevo scegliere una vallata che, in un sogno di Accattone — verso la fine del film, poco prima della sua morte — raffigurasse un rozzo e corposo paradiso».Una certa nostalgia di paradiso, infatti, innerva la prima pellicola del regista fin dall’apertura nel segno di Dante, i cui versi campeggiano sulla prima schermata: «l’angel di Dio mi prese, e quel d’inferno/ gridava: ‘O tu del ciel, perché mi privi?/ Tu te ne porti di costui l’etterno/ per una lagrimetta che ‘l mi toglie’»: è la contesa del V canto del Purgatorio tra l’angelo di Dio e lo spirito maligno per accaparrarsi l’anima di Buonconte da Montefeltro, che si salva in extremis per una “lagrimetta” in punto di morte, con buona pace del diavolo che si vede sottrarre dalle grinfie una preda creduta sicura.

Accattone sarebbe preda ben più certa, con la sua vita da niente, da mantenuto e magnaccia, senza lavoro, senza orizzonti, senza alcun orientamento morale; capace di sporcare anche l’incontro più luminoso della vita: Stella, innocente e chiara, presto avviata alla prostituzione. Ma Accattone pare pentirsi, e, per la donna amata, prova a cambiare. Ma troppa fatica il quotidiano duro lavoro, troppo pesanti quei quintali di ferro da caricare, e dopo un solo giorno Accattone decide di tornare all’extra legem.Quella stessa notte Vittorio, questo il vero nome del protagonista, nel sonno agitato, sogna. Su uno sfondo polveroso, di sovrumano silenzio, Vittorio, come istupidito dall’atmosfera irreale, incontra i suoi amici vestiti a lutto che gli rivelano: «Accattone è morto». Allora si accoda, incredulo e smarrito, dietro alla processione, ma all’ingresso del camposanto è brutalmente fermato dal custode: «Tu non puoi entrà!». Accattone, solo, affannato, escluso, si guarda intorno, «accanito e ingenuo come un bambino», specifica la sceneggiatura, poi si arrampica sul muretto, lo scavalca e scende dall’altra parte. La camera indugia sul primo piano di Vittorio per poi offrire il campo lungo della vallata di Olevano e scendere pian piano fino a inquadrare una schiena curva che scava una buca nella terra buia.Accattone rompe il silenzio: »A sor maè, perché nun me la fate un pochetto più in là? Non lo vedete ch’è tutta scura qui la terra?». «Me dispiace, non posso» ribatte il vecchietto; ma Accattone (e che volto Franco Citti!) incalza: «Fatemela un po’ più in là, poco poco, per favore, sor maé». «E va beene». Allora il vecchietto si sposta poco oltre, guarda, complice, Accattone e affonda il piccone nell’erba bianca di sole. La camera torna a salire sulla vallata tutta illuminata. Accattone poco dopo questo sogno (sei minuti intercorrono tra una scena e l’altra), nella rocambolesca fuga dopo aver compiuto un furto, si schianta in moto. È a terra, col sole in faccia e sussurra: «Aaaah… Mo sto bene!».Pasolini sostiene che il suo Accattone sia una tragedia, perché di certo nessuna speranza può essere rintracciata nel gesto meccanico e superstizioso del Balilla che si fa il segno della croce di fronte alla morte dell’amico. Vero. Ma a me Accattone, invece, riempie di speranza. Lo stesso autore afferma: «In Accattone vi è una misera luce di coscienza che arriva con la morte». E chi lo dice che non basti questa «misera luce»? Anche se nell’ultimo respiro, anche se nel contrattare un posto al sole per la propria tomba. Chi lo dice che il desiderio di luce, fino alla fine, ostinato, «accanito e ingenuo come un bambino», non sia esso stesso l’abbrivio della Luce?

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