IL FATTO QUOTIDIANO DEL 2 DICEMBRE 2019
CINEMA
Mientras dure la guerra, la rabbia e il dolore di un intellettuale per l’ascesa del franchismo
Il premio Oscar Alejandro Amenàbar filma un dramma storico di impostazione classica: “La sua storia è più viva che mai. È come se fosse ancora qui, a dubitare delle domande essenziali che ci rappresentano”
di Anna Maria Pasetti | 2 DICEMBRE 2019
Esprime una riflessione esplicitamente politica il nuovo film di Alejandro Amenàbar, Mientras dure la guerra, in programma al 37° Torino Film Festival dopo aver partecipato a quelli di Toronto e San Sebastian.
Il cineasta cileno ma da sempre residente in Spagna di cui è cittadino, ha deciso di rivisitare i prodromi del franchismo assumendo il punto di vista del grande intellettuale e scrittore Miguel de Unamuno (Karra Elejalde) nel 1936 all’apice della sua popolarità e rettore dell’università di Salamanca.
Davanti ai suoi occhi di uomo già anziano e riverito da chiunque come vate nazionale, scorrono i primi sentori di quella destinata a divenire la pagina peggiore della storia spagnola del ‘900, notoriamente durata ben oltre quel “mientras dure la guerra” che dà titolo al dramma.
Una guerra civile, naturalmente, fra monarchici e i nazionalisti repubblicani capaci di fondare la cosiddetta “seconda repubblica di Spagna” (1931-36)sfociata, come la Storia ricorda, nella sanguinosa e ferrea dittatura di Francisco Franco durata fino al 1975.
TRAILER UFFICIALE HD –IN SPAGNOLO — 1.58
https://www.youtube.com/watch?v=zLLEPzvxmCA
Amenàbar sceglie il punto di vista della cultura per ripensare al passato spagnolo e per ricordarlo “ai molti che l’avranno dimenticato o non lo conoscono” ma anche per elevarlo a universale. I segnali preparatorii di abuso del potere sono descritti nella loro comune appartenenza ad ogni Nazione che si addentri in una forma di governo atta a deprivare ogni diritto e libertà. Per questo diventa interessante osservare la trasformazione del comportamento di un individuo “privilegiato” come Unamuno di fronte all’escalation di una brutalità di cui egli stesso non è in grado di offrire spiegazioni, essendo fuori da ogni logica della convivenza pacifica e civile fra esseri umani. “La sua storia – come sottolinea il cineasta premio Oscar – è più viva che mai. È come se fosse ancora qui, a dubitare delle domande essenziali che ci rappresentano”.
Inizialmente in accordo con i principi repubblicani, mano a mano che passa il tempo e la violenza esplode, l’anziano scrittore e filosofo implode nel proprio disaccordo, accrescendo intimamente una rabbia e un dolore che esplodono in una scena madre che vale tutto il film. Dramma storico di impostazione classica e formalmente funzionale alla comprensione dei fatti per un pubblico amplio, Mientras dure la guerra sembra fare pendant con il bellissimo Agora del 2009, incentrato sulla tragica figura della filosofa e scienziata greco-alessandrina Ipazia: per quanto ambientati in territori ed epoca diversi, entrambi i lavori sono infatti orientati ad evidenziare quanto realmente il sonno della ragione generi mostri. Se Mientras dure la guerra appare meno interessante dal punto di vista linguistico, la sua vicinanza storica al nostro tempo e soprattutto la similitudine ai contemporanei fenomeni populistici lo ammantano di valore quasi “emergenziale”, aprendolo a un necessario dialogo con il presente
CINEMATOGRAFO.IT
https://www.cinematografo.it/recensioni/mientras-dure-la-guerra/
Federico Pontiggia
Lo spagnolo Alejandro Amenábar (Mare dentro, The Others) conferma con Mientras dure la guerra, suo ritorno a girare in patria dopo quindici anni, quel che cinematograficamente è: elegante, pulito, colto, ma anche imbelle, anodino, calligrafico.
Problema, i difetti si sentono di più quando la storia è Storia, e della più brutte, Guerra Civile e presa di potere di Francisco Franco. Come si può, insomma, affrontare una tale incandescenza con il solo decoro formale, senza sporcarsi mani e inquadrature, senza accendere di converso una scintilla davanti e dietro la macchina da presa? Mientras dure la guerra è quel che accade mentre stiamo facendo altro, ma lungi dall’essere la vita, lungi pure dall’essere la sua canonica riproduzione cinematografica, è piuttosto una simulazione, un diorama manchevole e, in definitiva, colpevole.
Perché l’esemplarità della storia-Storia, il monito anti-fascista così auspicabile e centrale oggi viene depotenziato, quasi messo a regime in una trattazione ordinaria, piatta, labilmente problematizzata: che ci facciamo di un simile, debole memento, che non riesce a farci appassionare dei suoi protagonisti né a rendere emblematico l’affresco? Che ce ne facciamo di un’Arcadia senza pugna?
Scritto da Amenábar con Alejandro Hernandez, il film segue l’intellettuale Miguel de Unamuno (Karra Elejalde), apprezzato scrittore e rettore dell’università di Salamanca, che dopo aver avuto simpatie socialiste ed essersi scontrato con il potere, finendo perfino in esilio, all’avvento della junta militare nel 1936 si dimostra quantomeno riluttante a opporsi, anche solo a criticare. Una decisione, anzi, un’astensione che scontenta i suoi migliori amici, il più giovane collega Salvator (Carlos Serrano-Clark) e il pastore protestante Atilano (Luis Zahera), che al contrario vorrebbero usasse il suo status per sanzionare la violenza che monta, anziché al più discostarsi simmetricamente dalla sinistra repubblicana e dalla destra militarizzata. Infine, Unamuno chiederà udienza al futuro Generalissimo Franco (Santi Perego), ma quale effetto, quale risoluzione potrà sortire?
Belli i costumi (l’alleniana Sonia Grande), niente male le musiche dello stesso Amenábar, pregevole la ricostruzione, ma sono orpelli: latita un ubi consistam, una radicalità poetica, e quindi stilistica, il Cinema che fa tremare i polsi e sporcare le mani. Chissà, se l’ignavia più perniciosa è di Unamuno o di Amenábar.
Sicuramente da vedere.