Guillermo Mordillo Menéndez (Villa Pueyrredon, 4 agosto 1932 – Palma di Maiorca, 29 giugno 2019), è stato un fumettista, illustratore e autore di cartoon di animazione argentino.
Smalltown Boy – Fotografia autoprodotta
MORDILLO NEL 1974
foto sconosciuto
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Di
Renato Pallavicini
«L’umorismo mi salva dalla paura, dalla paura ancestrale che accompagna tutti noi, quella delle eterne domande: dove siamo, perché ci siamo, dove andiamo? E dalla paura della morte che è un’altra di quelle cose che riguarda tutti». Chissà come sarà la vignetta che Guillermo Mordillo – morto il 30 giungo 2019 all’età di 86 anni nell’isola di Mallorca – starà disegnando ora, al cospetto della morte.
Ho incontrato il disegnatore argentino (era nato a Villa Pueyrredon nel 1932) parecchie volte e, a tu per tu, per due interviste pubblicate su l’Unità in anni passati. Tutte e due fattegli in occasione di Cartoons on the Bay, il festival dell’animazione organizzato dalla Rai: la prima, a Positano, nel 2005, la seconda a Venezia, nel 2014.
La sua era una sorta di teologia dell’umorismo che si spiega con poche parole, anzi senza parole, come lo erano le sue vignette. «All’inizio è stata una necessità – ci raccontava il disegnatore argentino – vivevo a Parigi, non parlavo il francese e così era più facile esprimermi soltanto con il disegno». Poi è diventato uno «stile» (che funziona dappertutto, senza bisogno di traduzioni) che lo accomuna, ma solo in parte, al suo «fratello gemello», Quino, l’altro maestro argentino dell’umorismo, il papà di Mafalda (che è una invece che parla molto), nato pochi giorni prima di lui.
E alla fine è diventata una scelta: «La parola è superflua, è commerciale – aggiungeva -. Basta il disegno e, nel caso del cartone animato, il movimento. Anche il cinema, il grande cinema, è quello muto: Chaplin e Keaton sono due maestri insuperabili. Lui non parlava e non sorrideva mai, aveva una faccia senza espressione. Se ci fate caso – diceva mostrandoci una vignetta con i suoi classici personaggini paffuti, dal grande naso e dalle grandi tette – i miei protagonisti non hanno quasi la bocca».
Buster Keaton, dunque, e Walt Disney. «Sono nato con la matita – confessava Mordillo – e a due-tre anni ho fatto la mia prima vignetta che ritraeva un plotone di soldati che avevo visto sfilare in una parata. Nel 1938 mia madre mi portò al cinema a vedere Biancaneve e fu innamoramento a prima vista. Lì nacque la passione per i cartoon». Nei quali Mordillo esordì a 18 anni durante il suo soggiorno a New York, partecipando all’animazione di alcuni episodi di Popeye per la Paramount. «Ma fu una disillusione – ci confessò – perché era un’animazione limitata che non mi soddisfaceva e così mi sono buttato sulle vignette».
«Disney – ci disse – è morto nel 1966 e da allora il cartone animato è un’altra cosa. Anche Keaton è morto quell’anno e proprio quell’anno, a Parigi, la mia attività ha preso il volo: una coincidenza che mi dà i brividi». Davvero “coincidenti” Disney e Mordillo, quasi due Noè la cui arca era zeppa di coppie di animali. «Sono un grande ammiratore degli animali – spiegava – perché seguono l’istinto e non sbagliano mai. È usando la ragione che spesso si sbaglia. Sì, gli animali sono superiori a noi». E decisamente più alti, come le sue giraffe, protagoniste di una serie infinita di vignette.
Lo sport era un altro dei temi preferititi dal grande umorista e illustratore che era tifoso della squadra del Ferro Carrill Oeste. Nell’intervista del 2014, a proposito di tifo e di calcio, ironizzò simpaticamente sul Papa: «È la prima volta che un Papa è più giovane di me. E se lo incontro gli dirò che io sono più modesto di lui, perché tifo per una squadra, il Ferro Carrill Oeste di Buenos Aires che è più modesta della sua, il San Lorenzo.»
«Papa Bergoglio – ci raccontò – giocava a calcio come me, nelle strade di Buenos Aires. La pelota (il pallone) era l’unico divertimento per i ragazzini di origini modeste; non esistevano vacanze al mare o in montagna. Papa Francesco è una persona straordinaria, autentica che ama la gente modesta, come ha sempre fatto. Io non sono religioso, ma non sono ateo, piuttosto un agnostico che lascia la porta aperta». Sarà anche per questo che di goal ne ha fatti parecchi, Mordillo, giocando con le sue matite quelle improbabili partite disputate su campi in cima a rocce che affacciano sull’abisso o sul tetto di vertiginosi grattacieli.
Matita graffiante e tenera, la sua. «Il mio disegno non è spontaneo, nasce da un lavoro lento, di elaborazione». Amava il disegno e i disegnatori: «Tra i miei maestri ci metto gli argentini Ferro e Oski, e poi un disegnatore americano che mi ha ispirato moltissimo ma poco conosciuto, Henry Syverson. E tra i preferiti europei, gli italiani Cavandoli (Mister Linea), Altan, il francese Reiser e il belga Franquin». E tra gli inconri e le amicizie, non dimenticava Hugo Pratt, Munoz e Jacovitti, al quale lo univa quel fantastico horror vacui che faceva loro inzeppare tavole e disegni di decine e centinaia di personaggi.
Tenerezze amorose con animali e uomini innamorati che sprizzano cuoricini ma non solo. «Sì l’amore – ci diceva Mordillo – è molto importante e può essere molto buffo. Io da giovane, e anche adesso, mi considero un romantico e sono molto pudico. Non mi piace parlare troppo dei miei sentimenti». E di politica? «Preferisco l’umorismo – rispondeva a chi gli chiedeva perché facesse poca satira politica diretta – però io penso sempre politicamente e nei miei disegni la politica è come nascosta in secondo, terzo piano. Una volta ho fatto una vignetta in cui si vedeva una serie di case, tutte dello stesso colore, e un omino che ne dipingeva una diversa e, per questo, veniva portato via da un poliziotto. Ebbene, quella vignetta, che non era nata per fini politici, è stata scelta per una campagna di Amnesty International contro i totalitarismi».
E di fronte al mondo che sembra correre verso la catastrofe (povertà, disoccupazione, ambiente, guerre di religione) suggeriva: «Bisognerebbe che l’umanità si ribellasse a questo stato di cose, si fermasse, incrociando le braccia e chiedesse conto di dove stiamo andando – ripose Mordillo -. Ci vorrebbe uno sciopero, uno sciopero dell’umanità». Sempre con un po’ di umorismo però, che una mano può darla: «Io, con i miei disegni – concluse allora – racconto la tenerezza e la paura. Che poi è la mia stessa paura: per quello che potrà succedere, per che cosa ci riserverà il futuro. Un mondo felice è possibile ma è un’utopia. Del resto, in un mondo felice, l’umorismo non è necessario».
Renato Pallavicini è nato a Savona nel 1948. Vive a Roma, è architetto e giornalista. Ha lavorato per lunghi anni a «l’Unità» come redattore culturale, scrivendo di architettura, di cinema d’animazione e di fumetto. Collabora a riviste e siti come Fumo di China, Fumetto (Anafi), Fumettologica e BookCiakMagazine.