grazie a NEMO E ALLE SUE PERLE ! DANIELA MINERVA ::: IL PREZZO DELLE SCELTE SULLA SANITA’:: QUANTO PESANO OGGI I TAGLI FATTI NEGLI ANNI SCORSI –REPUBBLICA DEL 16 MARZO 2020 –pag. 25

 

 

 

LE PERLE DI NEMO ++ AUGURI !

 

 

REPUBBLICA DEL 16 MARZO 2020 –pag. 25

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Il prezzo delle scelte sulla sanità

Quanto pesano i tagli

 

di Daniela Minerva

Cassandre noiose. L’opinione pubblica si annoia a sentir parlare di sanità, ovvero di quel garbuglio di numeri, norme e burocrazia che ci mantiene in salute e ci cura quando stiamo male, e così la politica la lascia in mano ai tecnici e gli opinionisti guardano altrove. Di solito, perché di questi tempi, invece, la lente di ingrandimento si è fissata su ospedali, posti letto, medici, infermieri… Insomma, sul pane quotidiano delle Cassandre che per anni si sono sgolate ad avvisare che tagliare i finanziamenti alla sanità, depauperare i reparti, ridurre il numero di medici e infermieri non andava bene. Perché, per quanto doloroso possa essere dirlo: le carenze di oggi sono figlie delle scuri di ieri. I medici e gli infermieri difendono un fortino diroccato, che però (incrociamo le dita) resta in piedi, e quando ne saremo fuori speriamo che tutti ammettano senza se e senza ma che il Servizio sanitario o è pubblico o non è.

L’emergenza di oggi sono i posti letto in rianimazione. E qualcuno dovrà spiegare perché nel nostro Paese, taglia oggi taglia domani, si sono persi negli ultimi dieci anni circa 40 mila posti letto.

Ce ne sono in Italia 330 ogni 100 mila abitanti, in Germania sono 800 e la media europea è di 521.

Vi chiederete: cosa ce ne facciamo oggi di un posto letto normale quando servono quelli di rianimazione? Ce ne faremmo eccome. Innanzitutto, perché un “posto letto” non è un letto, ma è tutto quello che serve per il malato ricoverato su quel letto attrezzato (ad esempio con i respiratori), a partire dai medici e dagli infermieri.

Tagliare i posti letto ha significato eliminare posti di lavoro per i sanitari, mandarli in pensione e non sostituirli. Da anni i sindacati dei medici dicono che i camici bianchi mancano e quelli che restano sono all’affanno; parlano di turni massacranti, di burn out che porta dritto dritto all’errore: possiamo immaginarci ora con decine di persone che arrivano ogni giorno, e sono gravissime.

Non solo: la macchina dell’assistenza è come un domino, che va (e sposta persone) dal luogo di cura del più grave a quello dove è accolto il meno grave. Se avessimo conservato una quota di posti perlomeno uguale alla media Ue oggi potremmo evitare, magari, gli ospedali da campo. Senza chiederci: man mano che tutti i posti si riempiono, che fine fanno i meno gravi?

E qui si apre un’altra falla.

Ormai più di trent’anni fa si è avviata la riforma della nostra sanità, con l’obiettivo di spostare la cura delle persone dall’ospedale al cosiddetto “territorio” (medicina di base, case della salute vicino a casa…). Già, ma quel “territorio” non è mai sbocciato. Si sono ridimensionati gli ospedali e la gente non sa più dove andare.

Vi chiedete cosa ce ne faremmo del territorio di fronte a Covid? Ce ne faremmo eccome, innanzitutto perché un gran numero di persone potrebbero essere assistite lì.

Ma, soprattutto, perché se fossero stati seguiti meglio i nostri anziani non sarebbero stati colpiti così pesantemente dal virus. In Italia, certifica l’Istat, la vita media è molto elevata (in media un anno in più di quella europea), ma i nostri vecchi non sono per niente in salute e sono pieni di malattie non controllate: i peggiori in Europa.

Un ultrasettancinquenne su due ha o una malattia cronica grave o diverse malattie croniche insieme; così come il 64% di coloro che hanno più di 80 anni (le donne se la cavano meglio). Perché? Perché non ci sono (e dove ci sono funzionano male) piani di gestione delle malattie croniche (cardiache, respiratorie, oncologiche ormai). Perché, taglia oggi taglia domani, non si assistono i vecchi. Inutile oggi chiedersi, e rammaricarsi, che la mortalità da Covid in Italia sia così alta.

Non solo: le aziende sanitarie sono da anni e anni “aziende” con direttori generali tanto occhiuti quanto ignoranti sul piano clinico: leggere oggi che al personale sanitario non vengono date le mascherine perché nessuno le ha comprate, fa venire i brividi. Ma nella logica del non spendere, del dilazionare gli acquisti, del tenere sotto controllo i budget non c’è da stupirsi.

Stessa logica che ha spremuto i medici come limoni e oggi nega loro, oltre alle mascherine, i tamponi (in alcune regioni) esponendo così l’intero sistema all’incubo di personale sanitario che si ammala e non può più lavorare.

Cos’altro serve per dimostrare che i direttori generali saranno anche dei manager fantastici ma non hanno la sapienza medica necessaria a salvarci la pelle?

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1 risposta a grazie a NEMO E ALLE SUE PERLE ! DANIELA MINERVA ::: IL PREZZO DELLE SCELTE SULLA SANITA’:: QUANTO PESANO OGGI I TAGLI FATTI NEGLI ANNI SCORSI –REPUBBLICA DEL 16 MARZO 2020 –pag. 25

  1. Donatella scrive:

    Condivido pienamente l’articolo. Non ha senso che le nomine di dirigenti siano politiche, soprattutto in campi ( ma penso in tutti o quasi) dove è necessaria l’esperienza e la conoscenza. E’ una delle più gravi distorsioni della politica, che dovrebbe dare le indicazioni delle scelte e gli strumenti per attuarle, non sostituirsi a chi lavora sul campo e conosce quella realtà. Tutta la sofferenza di questi mesi non sarebbe inutile se costringesse tutti a dei ripensamenti sul bene comune.

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