LUCA FRAIOLI :: INTERVISTA ALL’EPIDEMIOLOGO DELL’UNIVERSITA’ DI HONG KONG : “L’Italia ritardi il picco o la sanità rischia il collasso”— repubblica del 4 marzo 2020 –pag. 11

 

 

repubblica del 4 marzo 2020 –pag. 11

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L’intervista

L’epidemiologo Cowling “L’Italia ritardi il picco o la sanità rischia il collasso”

di Luca Fraioli

Risultato immagini per ben cowling hong kong

BEN COWLING –HONG KONG

«Dai dati di cui dispongo, penso che l’incidenza delle infezioni da Covid-19 in Lombardia stia ancora crescendo e che sia destinata ad aumentare per un mese. Come reagiranno gli ospedali di quella regione quando si troveranno a fronteggiare un numero di pazienti due, tre, cinque, dieci volte quello attuale, se già adesso sono al limite?». Ecco perché secondo Ben Cowling, epidemiologo ed esperto di statistica medica all’Università di Hong Kong, è fondamentale «ritardare il picco dell’epidemia, ridurre l’altezza del picco stesso e distribuire i contagi su un intervallo di tempo il più ampio possibile».

Cowling ha appena firmato, insieme a colleghi della sua università, uno studio che passa in rassegna le misure di “distanziamento sociale” che si usano per contrastare le epidemie di influenza: isolamento dei malati, ricostruzione dei loro ultimi contatti, quarantena per chi è stato in contatto con persone malate, chiusura delle scuole, chiusura degli uffici e l’invito a evitare i luoghi affollati. In tempi di coronavirus quello studio è stato rilanciato con grande evidenza dalla principale istituzione Usa in fatto di lotta ai virus letali, i Centers for Diseases Control.

Professor Cowling, le misure “non farmaceutiche” contro la diffusione dell’influenza funzionano anche per il Covid-19?

«Sì, alcune possono essere applicate anche a infezioni diverse, incluse quelle da coronavirus. Ma l’efficacia potrebbe variare molto a seconda della esatta dinamica di trasmissione».

Adottando queste sei misure si può contenere geograficamente l’epidemia nei luoghi di origine dei focolai?

«Non nel caso dell’influenza, che si diffonde facilmente tra le persone e che nella maggior parte dei casi si presenta con sintomi lievi, rendendo impossibile identificare ogni singola persona contagiata. Così, quando ci rendiamo conto che l’infezione si sta diffondendo, è ormai troppo tardi per controllare la trasmissione successiva. Purtroppo abbiamo lo stesso problema con il Covid-19: non è possibile contenerlo».

E allora a cosa serve mettere in campo la quarantena, l’isolamento, la chiusura delle scuole?

«A rallentare l’epidemia e distribuire i contagi su un periodo di tempo più ampio. La pandemia di Covid-19 sta innescando un travolgente aumento della domanda di servizi sanitari.

Questo provocherà problemi non solo per chi ha contratto l’infezione, ma anche per i malati di cancro che hanno bisogno di chemioterapia o chirurgia, o i diabetici che hanno bisogno di dialisi. L’impatto sulla salute rischia di essere ben più alto rispetto al solo numero dei contagi».

Delle misure prese in considerazione ce ne sono alcune più efficaci di altre?

«Dipende dalle infezioni. Per la normale influenza la chiusura delle scuole è forse la più efficace. Per il Covid-19 potrebbero essere l’isolamento e la quarantena.

Mettere in quarantena a casa le persone può interrompere la catena di contagi, perché le esclude dalla società finché non si ha la certezza che non siano infette. In Cina è stato fatto con rigore dalle autorità locali, usando persino la geolocalizzazione dei cellulari per controllare gli spostamenti. In Europa la quarantena in genere è volontaria e più difficile da far rispettare».

E i cordoni sanitari intorno ai singoli focolai, con posti di blocco di polizia ed esercito?

«L’idea è quella di impedire ai contagiati di una certa area di diffondere l’infezione anche in altre città. Ma dubito che sia una misura efficace, visto che ormai è probabile che ci siano contagiati in ogni regione d’Italia, solo con un numero inferiore di infezioni rispetto alla Lombardia».

Le autorità sanitarie italiane non sono riuscite a trovare il paziente zero. Sarebbe stato importante per limitare i danni?

«Non credo. La trasmissione del coronavirus c’era già stata e se anche fosse stato trovato il paziente zero ci sarebbero state altre persone infette in circolazione nel vostro Paese.

Inoltre dubito che tutti i contagi italiani discendano da una singola infezione importata».

In generale, come valuta il modo in cui le diverse autorità sanitarie stanno gestendo questa emergenza?

«Non esiste un approccio unico, applicabile con successo in tutti i paesi. Certo, le misure draconiane di contenimento messe in atto dalla Cina sembrano aver posto fine alla prima ondata di infezioni. Ma ora devono stare in guardia per una possibile seconda ondata. E non sono sicuro che i provvedimenti rigorosi attuati siano sostenibili anche nei prossimi mesi».

Lei come scienziato cosa ha imparato da questa epidemia?

«Ho dedicato 15 anni del mio lavoro per definire le linee guida in caso di pandemia di influenza. E ora ci ritroviamo ad affrontare una pandemia di coronavirus. Studierò quanto le misure messe a punto per l’influenza possano essere utili per fermare anche il Covid-19».

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