LE PERLE DI NEMO :: YASCHA MOUNK :: UE, UN FUTURO DOPO LA BREXIT — REPUBBLICA DEL 5 FEBBRAIO 2020 pag. 26 +++ due link sull’autore al fondo

 

 

 

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REPUBBLICA DEL 5 FEBBRAIO 2020 pag. 26

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Ue, un futuro dopo Brexit

di Yascha Mounk

Nel 2016 alcuni osservatori pronosticavano che la Brexit avrebbe dimostrato la fragilità della costruzione comunitaria. Oggi è evidente che queste previsioni erano sbagliate. Durante tutto il negoziato con Londra, l’Ue ha mostrato una sorprendente univocità di posizioni.

Alla luce di questo, per i leader europei è forte la tentazione di raffigurare il giorno in cui il Regno Unito e l’Unione europea firmano ufficialmente il loro divorzio come un successo, almeno per alcuni aspetti. Ma sarebbe un grosso errore.

L’Unione europea può vivere e prosperare senza la Gran Bretagna, ma ora che i leader comunitari non devono più preoccuparsi del melodramma di Westminster, faranno bene a guardarsi attentamente allo specchio. E quello che vedranno non sarà confortante: la realtà dell’Ue, ormai da tempo, si è allontanata dai valori su cui era stata costruita.

L’Unione europea ormai ha un potere enorme. La Banca centrale europea governa l’euro e il Consiglio europeo regola l’agricoltura del vecchio continente. Gli eurocrati decidono quali prodotti possono essere fabbricati e in quali condizioni, e i giudici europei hanno l’autorità di cassare le leggi nazionali.

Ci sono valide ragioni per tutto questo. Da soli, piccoli Paesi come la Svezia, o anche Paesi di medie dimensioni come la Germania, difficilmente potrebbero risolvere problemi seri in ambiti come la difesa dell’ambiente. Facendo parte dell’Unione europea, la loro voce collettiva è molto più forte. Ma la quantità di poteri che ormai è delegata a Bruxelles implica anche che conta moltissimo chi siede effettivamente nelle istituzioni comunitarie. E a causa della rapida ascesa del populismo autoritario in tutta Europa, i cittadini tedeschi o italiani ora devono condividere la loro sovranità non solo con i cittadini liberi di altri Stati democratici, ma anche con gli aspiranti dittatori di Varsavia e Budapest. Che l’Unione europea ha ripetutamente dimostrato di non avere la volontà o la capacità di prendere di petto.

Recenti ricerche sembrano indicare che il fatto di far parte dell’Ue ha facilitato la permanenza al potere di questi politici, perché ha consentito loro di convogliare i sussidi europei in ambiti come l’agricoltura o le infrastrutture verso i loro alleati interni. E non c’è nessun serio piano per espellere dall’Unione europea Paesi che non sono più governati in modo democratico.

Negli ultimi decenni, la struttura interna dell’Unione europea è diventata un po’ più democratica.

Il Parlamento europeo, per esempio, ha più poteri di quelli che aveva nel 1990. Anche così, però, la finzione che i normali cittadini possano realmente dire la loro su quello che succede a Bruxelles è difficilmente sostenibile.

L’Europa di oggi è stata costruita da una straordinaria generazione di sognatori e statisti. Gli odierni leader europei amano ancora evocare il ricordo dei loro venerati predecessori. Purtroppo, però, hanno imparato da loro la lezione sbagliata, perché invece di aspirare allo stesso coraggio e immaginazione sono arrivati a concepire l’ordine del Dopoguerra come una reliquia sacra, da non toccare mai. Un immobilismo del genere può funzionare sorprendentemente a lungo. Fintanto che la maggioranza dei cittadini penserà che i politici alla fine riusciranno a risolvere i problemi dell’Unione europea, potrà tollerare molte delle disfunzioni attuali. Ma gli eurocrati, ormai, stanno attingendo da troppo tempo alla riserva di fiducia che hanno ricevuto in eredità.

L’unico modo per salvare il progetto europeo è attuare un cambiamento radicale della sua realizzazione concreta. E per fare questo c’è bisogno di riforme creative, che risolvano realmente il suo duplice problema di legittimità.

L’Unione europea deve garantire che i cittadini di Paesi liberi non siano mai costretti a condividere la loro sovranità con i sudditi di dittature repressive. Quei Paesi che violano i valori fondamentali su cui si fonda l’Unione europea devono perdere i loro sussidi e il loro diritto di voto.

L’Ue deve combattere anche il deficit democratico delle sue stesse istituzioni. In quegli ambiti dove è logico che gli Stati membri mettano in comune la loro sovranità, il Parlamento europeo deve avere molti più poteri di influenzare le decisioni fin dal principio. Cosa altrettanto importante, quegli ambiti dove le decisioni possono essere prese agevolmente a livello nazionale devono tornare di competenza degli Stati membri.

I sogni dei padri fondatori dell’Europa per molti versi si sono già realizzati. Tutti gli europei dovrebbero sentire il dovere di difendere questa conquista straordinaria. Ma è proprio per questo che non dovrebbero chiudere gli occhi sui limiti dell’Unione europea, ed evitare di chiedere agli Stati-nazione di rinunciare a una parte eccessiva della loro sovranità. Perché, a volte, il miglior attacco è la difesa.

(Traduzione di Fabio Galimberti)

Yascha Mounk

Yascha Mounk, politologo, ha scritto“Popolo vs democrazia.

Dalla cittadinanza alla dittatura elettorale” (Feltrinelli, 2018)

+++ GIULIANO BATTISTON INTERVISTA YASHA MOUNK :: ” LA BESTIA DEL NAZIONALISMO VA ADDOMESTICATA ” —RESET, DI GIANCARLO BOSETTI, 3 GIUGNO 2019 ++ ALTRI DUE LINK

 

 

+++ YASCHA MOUNK, POPOLO VERSUS DEMOCRAZIA, DALLA CITTADINANZA ALLA DITTATURA ELETTORALE, FELTRINELLI :::ANDREA COCCIA, LINKIESTA 12-05-2018 –INTERVISTA AL POLITOLOGO YASCHA MOUNK

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