PATRIZIO G. MACCI, Affaritaliani – 15 settembre 2014 :: L’ultimo anno di vita di Pasolini. Nel film di Federico Bruno (2012) i retroscena di un caso sempre aperto –INTERVISTA AL REGISTA FEDERICO BRUNO–al fondo una nota del nostro blog

 

 

 

 

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FEDERICO BRUNO, IL REGISTA

 

Centro Studi Pier Paolo Pasolini Casarsa della Delizia

 

“Pasolini. La verità nascosta”, un film di Federico Bruno

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L’ultimo anno di vita di Pasolini. Nel film di Federico Bruno (2012) i  retroscena  di un caso sempre aperto 

 

Accanto al discusso film Pasolini di Abel Ferrara, nelle sale dal 25 settembre 2014, un’altra pellicola del 2012, dal titolo Pasolini. La verità nascosta,  ricostruisce l’epilogo biografico dell’intellettuale, in questo caso l’ultimo anno. In una recente intervista concessa a “affaritaliani.it”, ne parla il regista Federico Bruno che ha ricostruito depistaggi e superficialità dell’inchiesta e della sentenza.

 

 

di Patrizio J. Macci

www.affaritaliani – 15 settembre 2014

 

 

verità nascosta

 

 

Il 2 novembre del 2015 saranno trascorsi quarant’anni dalla scomparsa di Pier Paolo Pasolini, dal suo omicidio rimasto per parecchi lati oscuro. Sono in uscita libri con documenti inediti e film, ma c’è una pellicola che nessuno vi farà mai vedere. È il film di Federico Bruno, Pasolini – La verità nascosta. Regista, sceneggiatore e produttore con dieci pellicole all’attivo, studi di cinema al Centro Sperimentale di Cinematografia negli Anni Ottanta e negli Stati Uniti all’Ucla, ha girato i suoi film in Spagna.
Bruno si è calato per tre anni tra i documenti dell’omicidio Pasolini. Ha scavato nell’inferno del proletariato urbano dell’epoca per ricostruire filologicamente gli eventi, rintracciando i pochissimi testimoni oculari di quei mesi ancora in vita. Per produrre la sua opera ha ricevuto solo un piccolo finanziamento dalla Regione (ventiduemila euro) dopo due anni dalla fine delle riprese, ma per completare il film ha dovuto vendere un appartamento. La sua opera è stata ignorata da tutti i distributori italiani che si sono rifiutati di visionarlo. È stato respinto al mittente dai più importanti festival che hanno rifiutato di inserirlo nella loro programmazione. Oltre due ore di verità sull’intellettuale più scomodo del Novecento italiano raccontate da un regista mai allineato con il “sistema”, proprio come Pier Paolo Pasolini.

 

Bruno, come nasce l’idea di un film su Pasolini?


L’idea è nata al mio ritorno dalla Spagna alla fine del 2008. Volevo fare un film italiano e avevo diversi progetti pronti, sono andato a Ostia all’Idroscalo senza un motivo preciso. Visitando quei luoghi, ho riflettuto sui film che erano stati fatti su Pasolini, nessuno mi era piaciuto: da quello di Giordana (anche se insinuava e immetteva elementi di dubbio della versione ufficiale) a quello di Grimaldi, tutti molto parziali con dei Pasolini inaccettabili e anche poco somiglianti. Così ho pensato che sarebbe stato interessante ricreare il suo’ultimo anno di vita, ridare forma carne e ossa al poeta friulano. Vedere come viveva, cosa faceva tutti i giorni, le case che aveva, i suoi interessi. La vita quotidiana dello scrittore, i suoi impegni, le sue lotte sui giornali. Ho cominciato a documentarmi nel 2009 per un anno intero. Ho scoperto lacune e anomalie che in quasi quarant’anni anni si erano accumulate e che stranamente nessuno aveva approfondito, soprattutto nelle tre inchieste aperte e chiuse nel corso del tempo. Mi sono chiesto perché, viste le incongruenze, si era voluto far passare l’omicidio come un fatto occasionale e a sfondo omofobo. Più andavo avanti con le mie indagini personali più trovavo delle cose strane. Perché il ragazzo di diciassette anni arrestato sul luogo del delitto era privo di macchie di sangue della sua vittima? Come poteva essere che – viste le foto del corpo inerte del poeta – chi lo aveva picchiato fosse rimasto completamente pulito? E poi, perché andare fino a Ostia dal centro di Roma per appartarsi e avere un eventuale rapporto sessuale? Sono partito da domande simili. Mi sono messo a ricostruire filologicamente i fatti. Ho incontrato a Karlsruhe, in Germania, il giornalista tedesco Gideon Bachmann che seguiva Pasolini dal 1961 e che mi ha aperto le sue agende dell’epoca, in modo da ricostruire giorno per giorno l’ultimo anno, il 1975. Definita una scaletta cronologica ho aggiunto le testimonianze raccolte dalle persone incontrate e altri episodi, le cose strane e inspiegabili che trovavo. Per esempio la notizia del furto delle bobine del film Salò avvenuta in agosto di quell’anno. Un delinquente comune, noto alla polizia perché sospettato di gestire il racket della prostituzione, aveva commissionato il furto alla Technicolor a dei ragazzetti del Tiburtino. Poi, tramite Sergio Citti che si era proposto come mediatore, chiesero alla produzione che aveva i diritti del film un riscatto per riaverle. Per vedere se Pasolini volesse riavere il materiale originale sottratto, inscenarono anche una finta restituzione, vicino alla Stazione Termini. Pasolini si recò lì nel mese di settembre in compagnia di una ragazzetto amico degli autori del furto, un nome destinato a rimanere in questa storia: Pino Pelosi. Dunque Pasolini non aveva conosciuto Pelosi quella sera del primo novembre come è stato detto per anni, ma lo conosceva da tempo. Tutte queste affermazioni sono documentate, naturalmente.

Dovevo incontrare personalmente Pelosi per capire bene cosa c’era sotto. Ho conosciuto nel frattempo Furio Colombo, Nino Marazzita, Gianni Borgna, il carabiniere Renzo Sansone, Ugo de Rossi, Dino Pedriali il fotografo che scattò immagini memorabili a Pasolini pochi giorni prima della morte e tanti altri personaggi, tra cui anche il pittore Silvio Parrello abitante storico di Monteverde. Anche lui a caccia di notizie nel suo quartiere, aveva scoperto che un piccolo delinquente che di professione faceva il carrozziere, con il quale era stato a scuola da bambino, aveva conosciuto Pasolini. I due si vedevano perché lo scrittore voleva acquisire notizie sulla malavita per il romanzo al quale stava lavorando destinato a rimanere incompiuto, Petrolio. A novembre sono andato per la ricorrenza della morte all’Idroscalo di Ostia, perché avevo letto che ci sarebbe andato per la prima volta Pino Pelosi (che fu contestato in quell’occasione) che lì puliva il giardino letterario dedicato a Pasolini. Ho dato a Pino un biglietto con il mio recapito, mentre andava via. A questo punto avevo chiuso il cerchio, avevo trovato l’unica persona fino ad oggi condannata per quel delitto. L’ultimo tassello del puzzle. Quindi ho cominciato a scrivere. Nella fase di stesura della sceneggiatura le pagine riguardo l’omicidio rimanevano bianche; non volevo procedere come avevano fatto gli altri, ipotizzando versioni alternative a quella ufficiale senza dare credibilità ed elementi plausibili riscontrati da prove oggettive. È strano che nessun regista o studioso che ha investigato sul caso prima di me abbia mai interpellato Pelosi sull’argomento, si sia mai degnato di leggere il suo primo libro, abbia mai analizzato la sua lettera a Pasolini. Hanno immaginato gli scenari a tavolino fantasticando e creando ricostruzioni più’ o meno verosimili. Nessuno si è sporcato le mani, è sceso per strada, entrato nel mondo dei ragazzi di vita di allora, vissuto con loro non come spesso fanno gli inviati “sciacalli” che vanno da Pelosi, gli chiedono chi sono gli assassini e quando non ottengono risposte dicono che tanto Pelosi è inattendibile, umorale, prigioniero dei suoi demoni. Ma, per avere un rapporto proficuo con una persona bisogna conoscerla, bisogna capire il perché della reticenza, dei silenzi, studiarla. Così ho deciso di sapere più cose proprio da Pelosi e l’ho convinto a scrivere il suo secondo libro dove poteva dire cose aggiuntive a quelle dette nei precedenti anni nel corso di brevi quanto schizofreniche trasmissioni televisive. Abbiamo redatto insieme il libro Io so come hanno ucciso Pasolini, dove affioravano evidenti i ricordi di Pelosi che svelava che non aveva conosciuto Pasolini quella sera bensì quattro mesi prima, a luglio, e ne riportava particolari e dettagli che solo conoscendo lo scrittore poteva ricordare, inclusi ricordi di quando gli parlò del fratello ucciso dai partigiani e, raccontandoglielo pianse. Ho avuto la conferma che c’era un convoglio di auto che si agganciò ad Acilia e che fra le auto c’era una Alfa identica a quella di Pasolini. Pelosi pur non sapendo chi c’era a bordo la vide più volte tentare di sormontare il corpo dello scrittore che era stato massacrato da aggressori adulti oltre che dai suoi amici minorenni. Erano andati lì per la “falsa” restituzione delle bobine. La complicità di Pelosi era nell’averlo accompagnato, ma non più di quello. Tanto che cercò anche di difenderlo. Ma il piano era di sottomettere Pelosi, impaurirlo a morte e convincerlo a prendersi tutta la responsabilità, lasciando a terra un anello che gli apparteneva che poi lui avrebbe dovuto fingere di reclamare. Ma Pelosi, ragazzino di diciassette anni seppur scioccato dall’aver visto uccidere un uomo ed esser stato minacciato di morte insieme ai suoi familiari, pensava di scamparla facendo di testa sua e così a fari spenti fuggì via. Il resto della storia la conoscete. Pelosi era il capro espiatorio, il “mostro” sul quale far ricadere tutte le colpe. La mia opera si basa sull’ultimo anno di vita di Pasolini, da gennaio al 1 novembre 1975, racconto cronologicamente la vita giorno per giorno dello scrittore. Gli articoli per il “Corriere”, il film che stava preparando, Salò, che poi realizzò; il montaggio, le conferenze, i viaggi all’estero, la scrittura parallela degli articoli, le Lettere Luterane e Petrolio, oltre alle sceneggiature di Re Magi e San Paolo. Gli incontri con i suoi amici, gli intellettuali i giornalisti che lo intervistavano, gli avvocati e i personaggi che gravitavano intorno alla sua vita, nel bene e nel male. Il film è diviso in mesi fino a ottobre e poi in dettaglio più serrato il primo novembre l’ultimo giorno della sua vita, quasi ora per ora fino all’omicidio.

 

Il suo film in questo momento non è nelle sale, al contrario di altre opere sullo stesso tema. Cosa è accaduto?

 

Io sono fuori dal Sistema da anni, non ci sono mai entrato realmente. Ci sono stato solo agli inizi quando ero cameraman e mi è bastato. Conoscendo l’ambiente dall’interno e provenendo anche da una famiglia cresciuta nel cinema, si è radicato in me il disprezzo profondo per le lobby di potere che ci sono nel cinema. Così dopo vari cortometraggi e film, me ne sono andato in Spagna dove ho realizzato da indipendente altri quattro lungometraggi. Ma ho incontrato le medesime difficoltà. Anche lì i miei film prodotti autonomamente, una volta proposti, rimanevano fuori da qualsiasi circuito (io mi definisco “un regista con i film nel cassetto”). E così sono tornato nel mio paese, sicuro che con un tema importante come Pasolini nessuno avrebbe osato ignorarmi. Una pia illusione. Rai Cinema mi ha mandato subito una letterina prestampata di non interesse al progetto, L’Istituto Luce mi voleva far fare un documentario con pezzi dei cinegiornali degli Anni Sessanta. Non avevo finanziamenti pubblici. L’unica chance era di trovare un attore di richiamo e con quello sperare in un contratto distributivo. Avevo avuto un primo contatto con gli eredi di Pasolini. Vincenzo Cerami in particolare, ma non mi era sembrato per niente interessato e in seguito non hanno mai voluto, né lui né la Chiarcossi  (nipote di Pasolini), incontrarmi o leggere la sceneggiatura. Nessuno mi ha mai degnato di una risposta.

 

Come ha selezionato gli attori del film?
Avevo visto un reportage su Massimo Ranieri in tv nel 2009, e mi era sembrato giusto per il personaggio di Pasolini. Era ormai il 2010; ridendo e scherzando erano trascorsi due anni di studio e preparazione. Ho incontrato Ranieri, ma la prova costumi è andata male per le misure che non corrispondevano con quelle di Pasolini; il volto in parte poteva andare, ma nel mio film ci sono scene del corpo seminudo, al mare e nella celebre sequenza della sessione di foto scattate da Dino Pedriali. L’unica alternativa sarebbe stata quella di usare una controfigura. C’è stato poi un aspetto di relazione personale che è stato determinante per la decisione di non seguire quella strada. Sono rimasto “artisticamente” deluso da Ranieri. Così ero rimasto solo, con la produzione aperta da un anno presso un appartamento di mia proprietà adibito a ufficio, sala costumi e scenografia con persone sotto paga e nessun Pasolini in vista. Un giorno la casting director mi ha fatto vedere la foto di Willem Dafoe che ho scartato subito per la poca somiglianza, l’età e il fatto che non era europeo. Allora sono partito per Parigi e Madrid alla ricerca di un Pasolini e ne ho trovati due. Ma uno, il francese -attore di fama, era abbastanza “presuntuoso” e in procinto di diventare regista. Lo spagnolo era invece intimidito e molto impaurito di entrare nella pelle di Pasolini e aveva contratti televisivi, infine disse che non se la sentiva di venire in Italia. Così  sono rientrato a Roma e ho detto allo staff che non avevamo Pasolini e che dovevamo pensare a chiudere tutto. Poi un assistente alla regia ha tirato fuori l’annuncio di un attore che da tempo inviava foto, ma che la casting director non mi aveva mai fatto vedere. Si chiamava Alberto Testone. Era un odontotecnico di un quartiere  sulla Salaria, la borgata Fidene. Lo abbiamo chiamato subito e abbiamo fatto il provino. Io e il costumista Piero Risani siamo rimasti fulminati dalla somiglianza fisica: la voce, le misure, tutto corrispondeva. Abbiamo deciso che sarebbe stato lui lo scrittore friulano del nostro film. Come per Il Vangelo secondo Matteo,  avevamo uno sconosciuto che impersonava l’attore protagonista e per di più proveniente da una borgata, non una primadonna o una pseudo star.
Lo abbiamo fatto incontrare a chi Pasolini lo aveva conosciuto bene: Piero Tosi, il costumista famoso in tutto il mondo che si è commosso e lo ha abbracciato; Aldo Bravi proprietario del ristorante “Pommidoro” dove Pasolini ha cenato l’ultima sera, il quale  ha detto che era impressionante. Infine anche Pelosi ha detto che aveva una somiglianza straordinaria. Il cast oltre che da lui è formato da Cosimo Cinieri (Moravia), Fiorenza Tessari (Dacia Maraini), Fabio Maffei (Pino Pelosi), Marcello Maietta (Ninetto Davoli).

Lido di Ostia, monumento alla memoria di Pasolini

Lido di Ostia, monumento alla memoria di Pasolini

 

Qual è la sua tesi sulla dinamica dell’omicidio? Lei sposa la sentenza di primo grado del processo, dove si ipotizzava la presenza di ignoti?


Assolutamente no, quella sentenza è una farsa e una cosa indegna per la giustizia italiana. Non hanno voluto indagare, non hanno voluto ascoltare quello che già il carabiniere infiltrato Renzo Sansone aveva scoperto all’epoca, infiltrandosi negli ambienti della mala minorile del tiburtino. Lo destinarono ad altro incarico, una volta arrivato sulla pista giusta. È stata negata la perizia sull’auto di Pasolini richiesta da Marazzita, perché il risultato sarebbe stato che quell’auto non era mai passata sul corpo del poeta, ma bensì si trattava di una seconda Alfa, di proprietà di una persona, tale Antonio Pinna, che è stata identificato  ma che alla fine del processo nel 1976 sparì dalla circolazione lasciando la sua auto all’Aeroporto di Fiumicino. Hanno lasciato l’auto di Pasolini sotto la pioggia, in modo che le impronte e le macchie di sangue scomparissero;  le indagini furono condotte come penso neanche nel Burundi possa accadere. Ma tutto questo era voluto. Come la decisione di affiancare a Pelosi un avvocato di destra come (stava difendendo gli assassini del Circeo) Rocco Mangia e che certo Pelosi non poteva permettersi di pagare; probabilmente era stato suggerito da ambienti politici legati al Palazzo. Era un piano perfetto, inattaccabile, ottimo per il gregge dell’opinione pubblica. Ancora oggi si vuole che la gente creda a quella versione. Il film di Ferrara di prossima uscita fa proprio il gioco del potere di allora e di oggi che è lo stesso, facendo tornare indietro la storia di quaranta anni senza rendersi conto del danno culturale che ha generato.

 

Pelosi dopo anni di silenzio ha fatto delle rivelazioni, che poi ha ritrattato. È diventato “instabile”, sembra perseguitato da un segreto inconfessabile. Qualcuno ha detto che il fantasma di Pasolini non gli dà pace. Eppure non avrebbe nulla da perdere a rendere una confessione completa, non potrebbe essere processato una seconda volta per il medesimo delitto. Sembra oppresso da un’entità superiore. Lei, che  lo ha frequentato a lungo durante la fase preparatoria del film, che ne pensa?


Pelosi non ha ritrattato bensì ha aggiunto, nel corso degli anni, elementi utili alla comprensione del delitto. Alcuni elementi erano fuorvianti, cioè depistaggi. Ma altri erano nuove rivelazioni. Tutto questo è avvenuto grazie alla pressione e al lavoro di alcuni giornalisti come l’autrice televisiva Franca Leosini che per prima costrinse Pelosi ad uscire alla scoperto in occasione del trentesimo anniversario della morte dello scrittore friulano. Pelosi in quell’occasione, oltre al fatto di rivelare che lui non aveva ucciso Pasolini, ma che era stato costretto a prendersi la colpa del reato perché minacciato di morte, affermava la presenza di due suoi amici minorenni sul luogo del delitto che presero parte all’aggressione insieme ad almeno altri tre uomini che lui vide bene. Uno di essi, che spiccava per una folta barba, lo bloccò vicino alla porta del campetto di calcio dove l’auto di Pasolini si era fermata e lo minacciò costringendolo a lasciare sul posto l’anello. Gli altri due si “occuparono” di Pasolini che nel frattempo si era allontanato da dove si trovava Pelosi e cercava di sfuggire. Non era poco, ma queste rivelazioni non portarono a nulla. Nessuno voleva sapere di più.
Bastava la prima versione, un minorenne molestato dal poeta aveva reagito e aveva ucciso Pasolini. Poi nel 2011  Pelosi ha aggiunto tramite il libro Io so chi ha ucciso Pasolini un altro tassello alla verità, un fatto importantissimo relativo alla conoscenza con Pasolini che lui non incontrò alla stazione quella sera del delitto bensì quattro mesi prima alla stazione Tiburtina. Incontro che si trasformò nel tempo in una relazione assidua e frequente tra i due, che si intuisce bene per chi sa leggere rivedendo nel primo libro di Pelosi del ’95 Io Angelo nero la lettera che scrive a Pasolini parlandogli direttamente. Una lettera personale e toccante che nessuno ha voluto sottolineare. Era ovvio che quella parole non potevano essere di uno che aveva conosciuto Pasolini quella sola notte, ma testimoniava una relazione più lunga e affettivamente intensa. Pelosi ha infine anche confermato la scoperta fatta da Parrello della presenza della seconda auto Alfa Romeo sulla scena del crimine, oltre alla motocicletta dei suoi amici e a una Fiat 1300 o 1500 con altre persone a bordo. Pelosi in questo momento ha un contratto di lavoro fisso, lavora con una cooperativa che si occupa della pulizia delle strade attraverso i sub-appalti del Comune di Roma. Pelosi non può essere processato una seconda volta, ma, facendo i nomi dei veri responsabili sul luogo del delitto, violerebbe una delle regole base per chi proviene dal mondo della mala e cioè quella dell’omertà del silenzio che si basa sul fatto che se vuoi continuare a vivere tranquillo devi tacere. Chi sgarra paga con la vita.

 

Le persone che sono riuscite a vedere il suo film  riferiscono di alcune “licenze poetiche” dal punto di vista storico. Pasolini che incontra Mino Pecorelli, oppure che assiste a uno spettacolo con Gabriella Ferri. Perché questa scelta?
La scelta di creare delle scene simboliche serve a dimostrare che Pasolini incontrava tutti, sia persone di destra (incontrò il poeta Ezra Pound) che di sinistra, senza distinzioni di appartenenza politica, sempre al fine di ottenere le informazioni di cui era alla ricerca per il suo romanzo Petrolio. Questo per quanto riguarda la scena dell’incontro con il giornalista Mino Pecorelli, direttore del giornale scandalistico “OP”, sospettato di praticare dossieraggio  politico. Per l’incontro con Gabriella Ferri volevo sottolineare l’aspetto creativo di Pasolini anche in campo musicale, avendo lui scritto diversi testi di canzoni (Il Valzer della Toppa, fra le altre). Essendo lui amico della cantante romana, ho ricreato una scena in cui Pasolini va a sentirla cantare, niente di più.

 

Le parole che ha detto in questa intervista individuano nuove piste dal punto di vista giudiziario. Il magistrato che ha riaperto le indagini potrebbe convocarla. È conscio di questa possibilità?
Magari mi convocasse il magistrato della quarta indagine aperta, ma non lo farà mai. Io per primo vorrei fargli delle domande sulle indagini che sta svolgendo ormai da quattro anni e che finora, a parte qualche articolo di giornale, sembra non abbiano portato a niente di nuovo. Nessuno riesce a capire perché non vengono comunicati i risultati della nuova inchiesta. Ma come diceva Pasolini: “Nulla è  più anarchico del potere …”. Nonostante tutto questo io continuo ad avere fiducia nella giustizia italiana, nei Carabinieri, quelli bravi e onesti, quelli che insieme a poliziotti coraggiosi a volte finiscono addirittura per perdere la vita.

nota del blog ::  ( per chi non lo sapesse come noi…)

” Da tempo affetto da un tumore ai polmoni, Pelosi muore il 20 luglio 2017 all’età di 59 anni presso il Policlinico “Gemelli” di Roma. “

Aveva scritto due opere: 

  • Io, angelo nero, Roma, Sinnos, 1995.
  • Io so… come hanno ucciso Pasolini, in collaborazione con l’avvocato Alessandro Olivieri e il regista Federico Bruno, Roma, Vertigo, 2011

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