UNA SPECIE DI INTRODUZIONE ALLA LETTURA DI MASSIMO CACCIARI, LA MENTE INQUIETA. SAGGIO SULL’UMANESIMO, EINAUDI 2019-RECENSIONE DI DAVIDE D’ALESSADRO, IL FOGLIO DEL 4 MARZO 2019 ++ 3 NOTE DEL NOSTRO BLOG +++ vedi il commento di DOMENICO MATTIA TESTA

 

 

 

 

 

 

La mente inquieta. Saggio sull’Umanesimo

Massimo Cacciari

Articolo acquistabile con 18App Carta del Docente
Editore:Einaudi
Anno edizione: 2019
In commercio dal: 12 febbraio 2019
Pagine: 128 p., ill. , Brossura
18 euro, prezzo pieno

Predomina ancora una visione del periodo dell’Umanesimo che ne esalta, da un lato, i valori estetico-artistici, e tende a ridurne, dall’altro, il pensiero a elementi retorico-filologici. Massimo Cacciari ci fa capire come le cose siano piú complesse e meno schematiche, e come la stessa filologia umanistica vada in realtà inserita in un progetto culturale piú ampio nel quale l’attenzione al passato è complementare alla riflessione sul futuro, mondano e ultramondano. Dunque una filologia che è intimamente filosofia e teologia. E i nodi filosofici affrontati dagli umanisti (che in quest’ottica non iniziano con Petrarca o con i padovani, ma con lo stesso Dante) sono difficilmente ascrivibili a sistemi armonici o pacificanti, secondo una visione tradizionale del Rinascimento. C’è un nucleo tragico del pensiero umanistico, fortemente «anti-dialettico», in cui le polarità opposte non si armonizzano né vengono sintetizzate. Massimo Cacciari

 

 IL FOGLIO DEL 4 MARZO 2019

Massimo Cacciari,
Umanesimo grande e inquieto

Il nuovo libro del filosofo veneziano, lettura originale di un periodo storico complesso, sta anche nell’iconografia che non correda soltanto il testo ma lo completa e arricchisce di una luce suggestiva e originale. Arte e filosofia, arte filosofica, pensiero e linguaggio, filologia e filosofia che s’intrecciano inestricabilmente

 
 Massimo Cacciari,Umanesimo grande e inquieto
Donato Bramante, <em>Eraclito e Democrito</em>, 1490-1492

Bramante, Eraclito e Democrito, affresco, 1487. Milano, Pinacoteca di Brera, già a Palazzo Panigarola, sala dei Baroni: «Comico è ciò che pretende a una sostanzialità che non gli compete, e che nel suo stesso esprimersi distrugge la propria pretesa. L’ironia, di cui l’Umanesimo è sempre capace, si abbatte su questo carattere proprio della figura o della situazione comica. Riuscendo a volte a esplodere in un riso liberatore. Il Momus ne è sommo esempio. Ma qui il filosofo-che-ride per eccellenza, Democrito, è, a sua volta, oggetto di riso, pur distinguendosi con nettezza dagli altri personaggi dell’in philosophos! albertiano, piú o meno tutti caratterizzati dalla massima delle follie: volere che l’universo sia fatto a misura della propria stultitia. Democrito appare interamente dedito a ricerche naturalistiche, all’apparenza insensate (come vivisezionare un granchio), ma che pure testimoniano della sua consapevolezza dei limiti dell’intelletto umano. Insano, tuttavia, anche lui, poiché dimentica o non intende prendersi cura della realtà che lo circonda…».

Il nuovo libro di Massimo Cacciari, La mente inquieta. Saggio sull’Umanesimo, edito da Einaudi, riedizione ampliata e più accurata dell’Introduzione all’antologia curata da Raphael Ebgi, Umanisti italiani, sta anche nell’iconografia che non correda soltanto il testo ma lo completa e arricchisce di una luce suggestiva e originale. Sarebbe stato arduo comprendere l’Umanesimo come lo racconta Cacciari senza l’ausilio di immagini significative. Dante e Beatrice in volo verso il cielo del SoleFrancescoOttava sfera (Cielo delle Stelle Fisse), Distribuzione dei beni ai fedeli e morte di Anania, e altre ancora, poiché questo è un libro dove arte e filosofia diventano arte filosofica e filosofia dell’arte, dove pensiero e linguaggio, filologia e filosofia si intrecciano inevitabilmente.

 

Immagine correlata

Masaccio e Masolino da Panicale, Distribuzione dei beni ai fedeli e morte di Anania  | Cappella Brancacci in Santa Maria del Carmine, Firenze

 

Dopo aver reso merito all’intelligenza di Eugenio Garin, «colui che ha più a fondo compreso la drammaticità dell’età dell’Umanesimo, nella dissonanza, anche, dei linguaggi che lo compongono.

 

Rinascite e rivoluzioni. Movimenti culturali dal XIV al XVIII secolo

Eugenio Garin

Articolo acquistabile con 18App Carta del Docente
Editore:Laterza
Anno edizione: 2007
In commercio dal: 4 ottobre 2007
Pagine: XXX-383 p., Brossura
20 EURO, PREZZO PIENO

 

Credo che, a questo proposito, la sua raccolta di saggi più significativa sia Rinascite e rivoluzioni, Roma-Bari 1976.

 

 

 

Su Garin cfr. il saggio di Michele Ciliberto, Una meditazione sulla condizione umana, che introduce la raccolta gariniana da lui curata, Interpretazioni del Rinascimento, 2 voll., Roma 2009»,

 

Interpretazioni del Rinascimento (ePUB)

EUGENIO GARIN, INTERPRETAZIONI DEL RINASCIMENTO, VOLL. 1-2, A CURA DI MICHELE CILIBERTO

 

 

Cacciari scrive: «L’appello alla renovatio, che è impossibile non ascoltare in tutti gli autori dell’Umanesimo, appello che combina in sé, previlegiando ora l’uno ora l’altro, i timbri del rinnovamento spirituale, della riforma politico-civile, di quella religiosa, si connette indistricabilmente con il problema del linguaggio. Gli studia humanitatis assumono un valore del tutto nuovo. Grammatica e retorica non servono semplicemente a conferire al discorso il conveniente decus e quella venustas che è indispensabile anche per persuadere (suavitas-suadeo). La stessa idea di renovatio deve trasfondersi nell’energia comunicativa della lingua, in parole che sappiano esprimerla da se stesse; l’anelito alla rinascita dovrà potersi cogliere incarnato nel verbum. E rinascita significa non tanto far risorgere un passato (che mai, appunto, viene sentito o studiato come tale), ma risvegliare il presente. È questo tempo che occorre destare a nuova vita anche attraverso la re-novatio dell’Antico; a questo tempo, al suo dramma, alle sue attese, è necessario dare parola, e una parola potente quanto quella che ancora risuona negli auctores classici. L’Umanesimo è epoca di crisi, passaggio d’epoca, segnata da catastrofici avvenimenti, un tempo in cui la follia stessa è avvertita come sempre in agguato, follia che andrà conosciuta e rappresentata per poterla combattere, e cioè ironizzata, in tutti i significati del termine ‘ironia’, inesorabile combinazione di riso e pianto, di Democrito ed Eraclito. È perciò necessario armarsi di un logos capace di comprehendere in sé questo mondo, se non si vuole finirne sopraffatti (l’immagine della eversio della grandezza di Roma e della miseria dell’età presente assume, a volte, nel primo Umanesimo, a partire da Petrarca, una tonalità quasi disperata – e non mi sembra affatto trattarsi di un mero topos letterario). Da dove attingere l’energia per plasmarlo? Da dove se non da chi ha dimostrato nel concreto della propria opera che il linguaggio, ratio e oratio insieme, può adempiere un tale compito?».

L’interpretazione di Cacciari, dell’intero Umanesimo, poggia sulla drammaticità, sullo sfondo tragico, una lettura diversa da quella abituale legata all’esaltazione dell’armonia, del bello, delle forme compiute. Leggere i passi su Petrarca, Boccaccio e Dante, leggere il capitolo che ha per titolo La Pace impossibile serve a restituire chiarezza e lucentezza a un periodo storico altamente complesso, che non smette di insegnare, che va ri-studiato, ri-compreso per meglio affrontare il presente e ciò che ci si prospetta davanti. Continua il filosofo veneziano: «Davvero del tutto estranea, questa corrente dell’Umanesimo, alla tonalità fondamentale che in esso assume il neoplatonismo? Forse, per riprendere la felice immagine di Warburg, nessun ‘arazzo’ come quest’epoca è composto da più fili e di più diversi colori e materie. Mai come intorno a questo problema è necessario tenerlo a mente. Anzitutto, occorre cogliere la drammatica da cui lo stesso neoplatonismo è tutto pervaso, tanto al proprio interno, quanto per l’inevitabile confronto con l’aristotelismo, da un lato, e la teologia cristiana, dall’altro. E poi leggere ‘in controluce’ quel testo, conclusivo di un’epoca in tutti i sensi, l’Oratio del conte di Concordia, inseparabile dalle Conclusiones nongentae, nient’affatto esibizione di erudita e giovanile arroganza, testimone, piuttosto, di una provocazione riformatrice di straordinaria energia. Tradizioni e auctoritates su cui il pensiero filosofico e teologico sembrava fondarsi vengono qui affrontate ‘alla pari’, ridiscusse, comparate, con eccezionale ‘arte combinatoria’ e libertà di movimento, e tuttavia vi permane vivissimo lo scrupolo filologico e ancora più vive la vis indagatrice, interpretante, l’inquietudine di quell’autentica skepsis, che resta momento fondamentale di ogni pensare. Ciò che più conta è però comprendere come nell’Oratio si esprima il tentativo, di grande mole davvero, di combinare l’immagine neoplatonica dell’uomo, depurata da ogni verbosa laudatio, con quelle stesse problematiche che nell’Alberti si erano tragice delineate».

La mente inquieta, l’uomo inquieto, la formazione inquieta, la creazione inquieta, la vita inquieta, il procedere inquieto, tutto inquieto. Chiude Cacciari: «Miracolo l’uomo perché di questo è capace. Come però anche del suo opposto. L’uomo può pervenire alla potenza dell’arte cabalistica, come all’impotenza del bruto. Entrambe le possibilità permangono; anzi, tutti i tre fondamentali Possibili: feritashumanitasdivinitas, insistono nel profondo del suo ‘seme’. Nessuna Cabala può cancellare la loro realtà. La libertà con cui creiamo, o sembriamo creare, che tutto imita e che nessun essente sa imitare, che ogni maschera o persona sa assumere, non potrà mai liberarsi dalla complexio di quella origine. Essere-possibile significa non potersi mai definire, fissare in un solo aspetto, e dunque neppure in quello che la Cabala ci rivela realizzabile. Nella stessa tensione retorica che pervade l’Oratio si agita l’anelito a oltrepassarsi, a conquistare una ‘misura’ che ci assicuri fuori dal pericolo di smarrirci nel pessimo, magari dopo aver capito il bene. Tuttavia, una è la loro scienza – Platone docet, e a modo suo, tragice, Machiavelli conferma. Ed è vera anthropine sophia, poiché appartiene all’uomo soltanto farsi pessimo, così come, all’opposto, tendere a maritarsi all’immortale energeia che nel cosmo si esprime. Ma credere di poter prendere dimora stabile in quest’ultima dimensione significherebbe negare l’indissolubile vincolo che sussiste tra libertà e possibile. Cabala si fa, allora, ricerca ininterrotta, e la magia alla quale con essa si perviene va riacquistata di continuo. Il timbro della decisione, e dell’insecuritas che a questa necessariamente si accompagna, prevale su ogni certezza e si avverte al fondo della più solida dottrina. Altro che peana a un’incondizionata libertà, altro che antropocentrismo autoreferenziale, come tanta filosofia va ancora ripetendo!».

È la stoccata finale di Cacciari che, nella nota d’esordio, sistema anche l’italian theory, confidando che questo libro «valga a mostrare come il pensiero italiano e la sua straordinaria vicenda siano qualcosa di assai meno ‘moderno’ e di infinitamente più profondo e complesso di quella italian theory che oggi circola per i mercati». Può bastare?

 

 

 NOTE DEL NOSTRO BLOG::

1. l’Oratio del conte di Concordia

 

Pico della Mirandola, Giovanni, conte di Concordia. – Filosofo (Mirandola 1463 – Firenze 1494). Si propose di raggiungere una sintesi tra le dottrine più diverse, non solo quelle di ispirazione cristiana e pagana, ma anche quelle di derivazione ebraica e araba e senza escludere il lascito della filosofia medievale: egli scrisse a tal fine un documento articolato in 900 tesi che avrebbe dovuto essere discusso a Roma in una riunione tra dotti provenienti da ogni parte del mondo. La discussione, tuttavia, non si poté tenere, perché alcune di quelle tesi furono ritenute eretiche. Pubblicò quindi l’orazione De hominis dignitate, che avrebbe dovuto inaugurare il congresso e che può essere considerata il «manifesto» dello spirito umanistico-rinascimentale: in essa, infatti, si individua nella libertà la caratteristica fondamentale dell’uomo, garantita dal non essere egli di una natura determinata, ma capace di darsi la natura che vuole, dal non aver limite né chiusura, dal suo essere aperto a tutto, capace di diventare tutto, fino ad ascendere con il suo intelletto al termine ultimo, alla congiunzione con Dio.

 

TRECCANI.IT

( http://www.treccani.it/enciclopedia/pico-della-mirandola-giovanni-conte-di-concordia)

 2.  Conclusiones nongentae

 

Lo studio della Cabala – con quelli precedenti sulla tradizione aristotelica, platonica e scolastica – doveva servire a Pico alla compilazione nell’autunno del 1486 di novecento tesi che egli voleva discutere a Roma in una grande disputa da tenersi nei giorni successivi all’Epifania dell’anno seguente, in cui avrebbe potuto dimostrare la convergenza di tutte le grandi tradizioni filosofiche e teosofiche dell’Occidente e dell’Oriente. Le Conclusiones nongentae publice disputandae, pubblicate a Roma il 7 dicembre 1486, sono tesi tratte dal patrimonio di tutte le scuole filosofiche e teologiche antiche e moderne; vi sono presenti opinioni non solo dei filosofi antichi, degli arabi, degli ebrei, degli scolastici, ma anche di Ermete Trismegisto, degli antichi maghi e dei cabalisti. Tratte dalla Cabala, le Conclusiones sono veramente la prima notizia fedele delle dottrine segrete del misticismo e della teurgia ebraica che gli intellettuali latini abbiano avuto a disposizione.

A introduzione della grande disputa Pico scrisse nell’autunno del 1486 una Oratio (meglio nota come Oratio de hominis dignitate), che in questi ultimi due secoli è stata considerata, sopravvalutandola, come una sorta di manifesto dell’Umanesimo europeo. Nell’Oratio si sottolinea ampia convergenza e accordo tra i pensatori di tutti i tempi, da ritrovarsi, di là dalle divergenze e dalle discussioni, nascosta sotto l’apparente diversità della terminologia e dei sistemi. All’inizio di questo vero ‘manifesto’ della pax philosophica è una scena mitologica – derivata nella struttura, e forse nel profondo significato, dal mito antropogonico del Protagora platonico – sul cui significato si è molto discusso, in cui Dio dichiara come l’uomo, diversamente dalle cose e dagli animali, non sia essenza tra le essenze, non abbia natura alcuna, ma che tutte le possa acquisire con la sua volontà, che, libera qual è, sceglie talvolta anche di ribellarglisi. È un mito di cui è stata proposta una discutibile interpretazione pre-esistenzialistica e di cui andrà ricercata più pazientemente la genesi non solo nella speculazione tomista e scotista sulla volontà e sulla libertà, ma anche nell’idea, di ascendenza ficiniana, che la vera natura degli uomini, rispetto ai bruti, sia un’uscita dall’istinto animale, infallibile e in certo modo superiore nelle sue realizzazioni alla scienza umana, verso le più incerte e faticose mete della volontà razionale, dell’intelligenza e del faticoso pensiero discorsivo.

Pico si diresse verso Roma nel dicembre del 1486. Ma la pubblicazione delle Conclusiones suscitò particolare malumore in papa Innocenzo VIII, che già da tempo vedeva con sospetto i centri periferici di autonoma discussione teologica e filosofica – le Università e gli studi teologici e soprattutto lo Studio di Parigi –, e avrebbe voluto vocare al magistero della Curia romana, contro la libera discussione dei due ultimi secoli, tutti i dibattiti. Il 20 febbraio 1487 il papa emanò un breve con cui sospendeva la discussione, affidando a una commissione di teologi il compito di esaminare le Conclusiones e che, riunitasi il 2 marzo 1487, decretò che sette conclusioni risultavano eretiche, mentre altre sei erano in odore di eresia. Pico rispose con la pubblicazione, nel maggio di quell’anno, dell’Apologia conclusionum suarum.

Si tratta di un’opera di grande respiro dove traspare la sua grande preparazione filosofica, teologica e canonistica, e in cui si dimostra grande conoscenza proprio di quel genere di nuova e moderna teologia parigina che la Curia detestava. Pico difende con vigore la libertas philosophandi su tutti i punti che la Chiesa aveva lasciato indecisi. Importanti furono per i contemporanei i chiarimenti dati nell’opera a proposito della magia naturale e della Cabala e l’aperta rivendicazione della possibilità della salvezza eterna di Origene, che fece grande impressione a Erasmo e alla teologia umanistica francese dei primi anni del XVI secolo.

Tuttavia Innocenzo VIII, adirato perché Pico non aveva atteso la conferma papale dei lavori della commissione, il 6 giugno 1487 promulgò un altro breve in cui decideva di istituire un processo inquisitoriale. Non solo il 31 luglio 1487 Pico si vide costretto a un atto di sottomissione al giudizio del papa ma, con una bolla del 4 agosto 1487, resa nota però solo il 15 dicembre, furono condannate in blocco tutte le Conclusiones e ordinato l’arresto di Pico, il quale, ai primi del 1488, fuggiva verso la Francia.

 

A CHI INTERESSA, NEL LINK SOTTO, TROVA UNA PARTE PRECEDENTE E UNA SEGUENTE A QUELLA CHE ABBIAMO CITATO:

( http://www.treccani.it/enciclopedia/pico-giovanni-conte-della-mirandola-e-concordia_%28Dizionario-Biografico%29)

 

 

3.   IL MOMUS 

“L’Alberti e la riscoperta di Luciano: il Momus”,

Leon Battista Alberti (1404-1472) è autore di una brillante opera satirica, il “Momus sive de principe”, testo “politico” (ispirato allo spirito greco di Luciano) composto intorno al 1450, in cui si parla del potere del principe e della umana vanità.

Il “Momus”, favola mitologica e satira graffiante, è intitolato al dio Momo, creatore di terribili disordini tra l’Olimpo e il mondo umano. Momo, cacciato giù dal cielo per le sue insopportabili molestie, invita gli umani a ribellarsi contro il dominio di Giove e degli dèi dell’Olimpo, inducendo poi il principe celeste a richiamarlo in cielo, dove continuerà a combinare guai. Le due prime stampe del “Momus” uscirono contemporaneamente a Roma, nel 1520, presso gli editori Etienne Guillery e Giacomo Mazzocchi. Il convegno è organizzato in occasione della pubblicazione della prima edizione critica del “Momus”.

 

All’«hostinato rigore», da Leonardo trascelto per proprio motto, gli uomini del Rinascimento aggiunsero a mo’ di pendant il «serio ludere», ossia un’invito al «giocar seriamente». Caro ai più diversi autori – dall’Alberti e dal Castiglione a Tommaso Moro, Michel de Montaigne e Blaise de Vigenère –, e di ben altra portata rispetto al metodo dei «serious games» sviluppatosi a partire dagli anni Settanta del secolo scorso, la tradizione del «lusus serius» fa leva sulla rilettura di taluni classici, in primis Luciano di Samosata e Apuleio, e impregna di sé non meno l’umanesimo letterario che le arti dell’Età del Rinascimento. Essa si esprime non solamente nelle Facezie, uno dei cui maestri è stato Poggio Bracciolini, ma altresì nei libri d’emblemi e nelle opere a sfondo politico; tant’è che lo scherzo cela sovente un proposito polemico, laddove un tono leggero, ovvero umoristico, può far luce su tutta una problematica sociale. Un delicato equilibrio s’instaura allora tra leggerezza e gravità, ironia e ideologia, humour e melanconia, comicità ed etica. In concreto, si tratta non soltanto di trattare un argomento serio in modo spassoso, per esempio divulgando la filosofia (neo-)platonica, ma anche, e più finemente, di riconoscere al «divertente» una valenza conoscitiva.

Alcuni degli aspetti di tale impegnativa tematica vengono ora proposti allo studio in occasione dei tre diversi convegni previsti nel maggio 2016 a Ferrara, su L’Alberti e la riscoperta di Luciano : Il Momvs (testo sotto ogni riguardo capitale, che al riso unisce la «dignitas» dell’argomento e la «gravitas» dell’espressione, e di cui verrà presentata la prima, autentica edizione critica, accompagnata da un inedito e fondamentale commento filologico, linguistico, storico e letterario), nell’inverno 2016-2017 a Parigi, sul tema Dalle premesse medievali al lucianismo d’Erasmo : Il serio lvdere in Europa, e infine nell’inverno 2017-2018 a Madrid, sul tema Dal Momvs alla letteratura picaresca e/o libertina : Il serio lvdere in Europa.

 

TESTO PRESO DA: 

http://www.unife.it/eventi/2016/maggio/lalberti-e-la-riscoperta-di-luciano-il-momus#null

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  1. Domenico Mattia Testa scrive:

    Il testo di Cacciari si legge con piacere ed è intrigante.La tradizione ha presentato l’Umanesimo italiano,come fatto circoscritto all’ambito strettamente letterario,filologico,artistico,mai in una prospettiva autenticamente problematica,filosofica,religiosa.L’operazione di Cacciari è di estremo interesse in quanto vede all’interno dell’Umanesimo due tendenze:una di orientamento laico-materialista,rappresentata da Lorenzo Valla,Leon Battista Alberti e Machiavelli,l’altra neoplatonica,rappresentata da Pico della Mirandola,Pomponazzi e Ficino.Con puntuali riferimenti ai testi cerca di dimostrare che tutti questi auctores e pensatori si interrogano( anticipati dai preumanisti: Dante e Petrarca) sul significato dell’Essere e della Natura,sulla Storia ,la Politica,la Morale,la crisi di valori del Quattrocento e del Cinquecento.Siamo già all’uomo che riflette sul suo passato e sulla sua inquieta modernità . Il richiamo agli auctores e pensatori classici è un modo per contrastare la crisi della contemporaneità.Illuminante il discorso sul rapporto tra filo-logia e filo-sofia;vi insiste per chiarire la connessione imprescindibile tra le due discipline,funzionali ad aprire nuovi orizzonti culturali ed interpretativi.Il tentativo di Cacciari inizia un percorso di ricerca del tutto nuovo;va dato merito all’autore che ha voluto con il suo contributo valorizzare una stagione irripetibile della nostra storia.Spetta ai ricercatori confermare con nuovi studi che l’Umanesimo è l’età della “Mente Inquieta”.

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