ELOISA MORRA, Scrittori italiani, se la pittura rende più vero il reale- IL LIBRO DI ALESSANDRA SARCHI, LA FELICITA’ DELLE IMMAGINI -ALIAS- IL MANIFESTO DEL 20 OTTOBRE 2019

 

 

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Alessandra Sarchi (Brescello1971) è una scrittricestorica dell’arte e traduttrice italiana.

 

Il sito web di Alessandra Sarchi :: 

http://www.alessandrasarchi.it/www.alessandrasarchi.it

 

 

 

La felicità delle immagini, il peso delle parole. Cinque esercizi di lettura di Moravia, Volponi, Pasolini, Calvino, Celati

Alessandra Sarchi

Editore: Bompiani
Collana: Overlook
Anno edizione: 2019
In commercio dal: 27 marzo 2019
Pagine: 192 p., ill. , Brossura

17 euro, prezzo pieno

 

descrizione ::

 

Affascinante come un romanzo, documentato come un saggio accademico, La felicità delle immagini, il peso delle parole non è né l’una né l’altra cosa: è piuttosto un’acuta ricognizione di territori cari all’autrice, che da sempre fa la spola tra il mondo della scrittura e quello dell’arte. Se gli anni trenta del secolo scorso sono stati tutto un fervore di scambi e relazioni tra questi mondi, già negli anni sessanta quella temperie veniva rievocata con una sorta di nostalgia da Pasolini, che pure insieme ai colleghi ha praticato la stessa dimensione di prossimità. Moravia che non smette mai di disegnare; Calvino che insinua che chi si esprime col pennello sia più felice di chi usa la penna; Volponi che del collezionismo di quadri fa quasi una malattia. Ne esce il ritratto di un tempo vivido e interessante, ricco di idee in perenne circolazione: perché il rapporto fra parola e immagine nei testi letterari mai come oggi è attuale e ricco di implicazioni.

 

 

 

IL MANIFESTO DEL 20 OTTOBRE 2019

https://ilmanifesto.it/scrittori-italiani-se-la-pittura-rende-piu-vero-il-reale/

 

 

ALIAS DOMENICA

Scrittori italiani, se la pittura rende più vero il reale

Incroci disciplinari. La felicità delle immagini, il peso delle parole, Bompiani: Alessandra Sarchi si interroga, a partire dalla sua esperienza di narratrice, sull’influenza del «figurativo» nella prosa di Moravia, Volponi, Pasolini, Calvino, Celati

 

 

 

Beato Angelico, Angelo annunciatore, Detroit, Detroit Institute of Arts MuseumBeato Angelico, Angelo annunciatore, Detroit, Detroit Institute of Arts Museum

 

Dov’è finito il tempo in cui artisti e scrittori erano amici, e chi scriveva non poteva prescindere da un nutrito bagaglio figurativo? Per chi dispera dell’incomunicabilità tra art world e mondo dell’editoria e rimane deluso scoprendo che gran parte dei nostri giovani autori guardino solo a mostre blockbuster è confortante addentrarsi nella raccolta di saggi La felicità delle immagini, il peso delle parole (Bompiani «Overlook», pp. 192, euro 17,00) di Alessandra Sarchi. Chi legge i romanzi di Sarchi ne ammira subito l’uso di inserti figurativi (e non a caso: la scrittrice è storica dell’arte) nella costruzione delle architetture narrative; dipinti e fotografie orientano la lettura, addensando le pagine di significati altrimenti intraducibili. Avvicinarsi alla sua prima prova da saggista risulta dunque doppiamente interessante: proiettati in un’epoca di legami e corrispondenze perduta ma potenzialmente ricca di futuro, vediamo Sarchi riflettere sulle funzioni dell’iconicità nella sua vocazione per via indiretta, analizzando altre voci.
Moravia, Volponi, Pasolini, Calvino, Celati: cinque sguardi, cinque esercizi o «studi d’affezione» dedicati ad autori che suggeriscono un possibile percorso tra letteratura e visivo (Sarchi detesta, a ragione, il termine «visuale» usato come aggettivo) nel Novecento italiano. Lo studio delle fonti lievita in una scrittura per nulla accademica, ereditando il meglio della critica anglosassone: chiarezza dell’espressione e nessuna paura nel soffermarsi su quel che c’è di più importante, i testi, analizzandone ciò che ne determina o meno il valore conoscitivo e la riuscita estetica. E proprio quest’ultima sembra essere al centro del dibattito letterario italiano tra gli anni cinquanta e sessanta, legata a doppio filo a un termine «potente quanto difficile da declinare: realtà».
È un problema espresso, non senza punte d’ambiguità, nel saggio dedicato da Elsa Morante a Beato Angelico in Pro o contro la bomba atomica: il pittore della cristianità rosazzurrina, scrive l’autrice dell’Isola di Arturo, ha il privilegio della bellezza, poiché «la bruttezza non aveva ancora ramificato sulla terra». Se in quest’ottica la realtà equivale alla bellezza della quotidianità, l’irrealtà dell’alienazione verrà materializzata dal suo contrario: naturale guardare alla pittura con avidità, in quanto medium che presuppone una maggiore aderenza alla vita delle forme rispetto alle parole.
In quello stesso giro di anni autori molto diversi tra loro sembrano porsi il medesimo quesito: può l’immateriale realtà delle immagini dotare un testo di maggior presa sul reale, dandone una versione più vera? Che tipo di mondi di finzione vengono generati attraverso i riferimenti iconografici? E in ultimo, per dirla con Calvino: «Sarà che chi si esprime col pennello è sempre più felice di chi si esprime con la penna? O che l’astrattismo e l’informale conservino il privilegio di essere affrancati dal peso diretto o indiretto della parola?». Sarchi racconta in modo avvincente gli episodi salienti di questa contraddittoria battaglia. È una sfida che assume caratteristiche possibili nel nostro Novecento solo grazie al lavorìo critico di Roberto Longhi, preso (esplicitamente o meno) a modello da più d’uno degli autori analizzati. Ma cosa succede quando è la scrittura narrativa, non la critica, a inseguire un mondo fatto di apparenze sensibili? Leggere l’uno di seguito all’altro questi cinque esercizi equivale a veder scorrere davanti a sé cinquant’anni di storia letteraria italiana, sperimentando come termini quali realtà e irrealtà, storia e visione arrivino a cambiare inaspettatamente di segno.
Diversi per generazione e poetiche, tutti e cinque gli autori presi in esame hanno messo in scena la figura di chi osservando la realtà la traduce in immagini, «o, per converso, del rovesciare immagini sul mondo si fa carico come d’una missione». È una linea aperta nel libro dal giovane Moravia. Già negli Indifferenti i dispositivi della visione codificati dalla letteratura rinascimentale — finestre, specchi, ritratti — vengono svuotati dall’interno, divenendo spazi d’incomunicabilità: i volti si tramutano in maschere, e più che svelare gli specchi offuscano. I pochi squarci sullo spazio esterno vengono inghiottiti in una visione dominata dalla noia, che anni più tardi Dino, pittore fallito protagonista dell’omonimo romanzo, definirà significativamente «quella specie di inadeguatezza o insufficienza o scarsità della realtà». Ma è negli autori più vicini al magistero longhiano che si cela il nodo problematico, ovvero la difficoltà del trasferimento a livello letterario del principio delle equivalenze verbali.
Dove la prosa di Longhi raggiunge peso e spessore inediti, diventando – lo ha spiegato bene Garboli – «altro», la pesanteur insita nella prosa dei gemelli discordi Pasolini e Volponi viene amplificata dalle ecfrasi, come se le immagini erodessero il guizzo della scrittura dall’interno: di qui la necessità espressa dal primo di tornare a uno «sguardo vergine» (così in Appendice a Bestemmia), e la progressiva impossibilità di mettere in contatto cultura e industria tematizzata dai riferimenti pittorici del secondo, via via sempre più indiretti e meno nobili. Quello del pericolo della pietrificazione della prosa — e dei diversi manierismi derivati dall’eccesso di scrittura implicato dal diaframma figurativo — è uno dei temi più interessanti del libro, e meriterebbe ulteriori approfondimenti in sede critica.
La seconda parte di La felicità delle immagini sembra attraversata da una spinta centrifuga, che vedrà altri autori rispondere al problema del peso delle parole spostando la riflessione dall’oggetto della visione alla natura dello sguardo: è così nel Calvino di Palomar e ancor più nel Celati della trilogia padana. Con la sua poetica delle apparenze l’autore di Narratori delle pianure finirà per colpire il cuore del dettato morantiano; il suo fraseggio naturale, scrive Sarchi, è un «invito ad accettare di essere sommersi dall’irrealtà, e a cercare come il pittore Menini di cogliere quei momenti in cui una visione più autentica, fra un interstizio e l’altro, balugina dentro di noi, prima ancora che fuori».

 

 

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Narratori delle pianure

Gianni Celati

Editore: Feltrinelli
Edizione: 6
Anno edizione: 2003
Formato: Tascabile
In commercio dal: 29 settembre 2008
8 euro, prezzo pieno

Nel 1984, Italo Calvino così annunciava la pubblicazione di questo volume: “Dopo vari anni di silenzio, Celati ritorna ora con un libro che ha al suo centro la rappresentazione del mondo visibile, e più ancora una accettazione interiore del paesaggio quotidiano in ciò che meno sembrerebbe stimolare l’immaginazione”. Queste trenta novelle, comiche e fantastiche, tristi o terribili, sulla valle del Po, mentre recuperano antiche forme narrative della tradizione novellistica italiana, sono un viaggio di ritorno alle fonti del narrare: cioè al “sentito dire che circola in un luogo o paesaggio”. È una figura molto cara a Walter Benjamin, quella del narratore orale, che Celati ha cercato di riscoprire viaggiando e raccogliendo storie sulle rive del Po. Celebrando con le sue novelle questa figura in via di estinzione, Celati indica una degradazione ambientale che non riguarda soltanto i paesaggi, ma anche la facoltà di raccontare e di scambiarsi esperienze. Così queste sono altrettante parabole sulla nostra epoca, e costituiscono uno sforzo per ridare all’arte narrativa una credibilità che non sia soltanto letteraria.

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Gianni Celati (Sondrio10 gennaio 1937) è uno scrittoretraduttorecritico letterario e regista italiano.

 

se non lo conoscete, come non lo conoscevo io, ch. – dateci un’occhiata…

https://it.wikipedia.org/wiki/Gianni_Celati

 

 

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UN’OPERA DEL PITTORE–  EDOARDO MENINI ( 1955)

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1 risposta a ELOISA MORRA, Scrittori italiani, se la pittura rende più vero il reale- IL LIBRO DI ALESSANDRA SARCHI, LA FELICITA’ DELLE IMMAGINI -ALIAS- IL MANIFESTO DEL 20 OTTOBRE 2019

  1. Donatella scrive:

    Le ali dell’angelo del Beato Angelico, pur essendo solo immaginate, rendono realistico un mondo fantastico che è nel sogno degli umani.

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