+++ MARINA GORI, CASA AFRICA::: LUCA CELLINI, REDATTORE EDITORIALISTA DI PRESSENZA::: IN AFRICA LA PIU’ GRANDE DISCARICA DEL MONDO, IL PRIMO E L’ULTIMO ANELLO DELLA CATENA PRODUTTIVA OCCIDENTALE– vedi sotto il link dell’articolo completo

 

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Pavel Andreev–durata: 3,10

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Pavel Andreev Music: Royal on garbage (Foto di Karina Vorobyova)

AFRICA. In Africa la più grande discarica del mondo, il primo e l’ultimo anello della catena produttiva occidentale


In questo articolo il redattore ed editorialista di Pressenza, Luca Cellini, denuncia il sistema produttivo che fa dell’Africa la discarica del mondo occidentale.Vi proponiamo alcuni dei passaggi più significativi invitandovi alla lettura dell’articolo completo.


L’ULTIMO ANELLO DELLA CATENA

Se state leggendo questo articolo un giorno il computer o il telefonino che state utilizzando potrebbero andare a finire in questa enorme discarica di rifiuti elettronici, la più grande del mondo.

Ghanesi al lavoro tra i fumi della discarica di Agbogbloshie

Siamo ad Agbogbloshie, ai sobborghi di Accra, capitale del Ghana.

Qui, decine di migliaia di persone sopravvivono guadagnandosi la giornata bruciando ogni tipo di spazzatura elettronica. Ragazzi, persino bambini si aggirano tra fumi tossici, immondizia e baracche improvvisate.

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Fra quell’enorme distesa di rifiuti di provenienza occidentale ci si imbatte in cellulari, condizionatori, trattori, lettori mp3, macchine rottamate, monitor, schermi, ogni genere di oggetto dal quale si possano estrarre ferro, rame, alluminio e altri metalli di valore.

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Il Ghana da solo importa oltre 40mila tonnellate di “e-waste” (spazzatura elettronica) e Agbogbloshie negli ultimi venti anni è diventato il più grande sito di riciclo informale del mondo, la discarica a cielo aperto dei prodotti elettrici di fabbricazione occidentale.

discarica Ghana Agbogbloshie

Questo ammasso di spazzatura attrae migranti dal Nord del Ghana e da paesi vicini che poi finiscono per vivere, dormire, coltivare e allevare bestiame attorno all’inesauribile fonte di attività.

File:Agbogbloshie Ghana.jpg

Come racconta Mamadou Malick, un amico ghanese in Italia da diversi anni, “Li puoi vedere tutti i giorni, vagare per ore e ore su quella maleodorante poltiglia nera che infetta la terra, in condizioni igienico sanitarie terribili, respirano quei fumi, toccano a mani nude quei rifiuti che spesso sversano liquidi tossici, se arrivano a 40 anni senza morire prima è un vero miracolo”.

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“Scrap dealers” sono chiamate così le migliaia di persone che lavorano nella discarica ma che preferiscono non chiamarla in questo modo. Per loro Agbogbloshie è un posto di lavoro dove poter guadagnare 2 forse 3 dollari al giorno.

File:Agbogbloshie Ghana.jpg

Queste persone rappresentano l’ultimo anello della catena del libero mercato e del sistema di produzione industriale occidentale.


IL PRIMO ANELLO DELLA CATENA

Ma l’Africa è al tempo stesso anche il primo anello della catena di questo sistema produttivo dato che rappresenta uno dei più grandi giacimenti di risorse naturali del mondo. Nigeria, Angola, Algeria e Libia producono una buona parte di tutto il petrolio greggio del mondo. Il Congo, la Sierra Leone hanno le maggiori risorse di tutto il mondo d’oro e diamanti, cromo, coltan, bauxite, manganese, il mercato delle terre rare fondamentali per l’elettronica. In Namibia e in Mali c’è l’uranio. In tanti paesi africani si esporta buona parte di tutto il legname che l’Europa utilizza, stesso discorso per il cacao, il caffè, e molti altri prodotti dell’agricoltura. Con tutto ciò 18 dei 20 paesi più poveri del mondo sono africani. Un continente con un’area tre volte quella dell’Europa ma con il PIL della metà.

I Paesi industrializzati per oltre 300 anni in Africa hanno praticato il colonialismo.

In questo preciso periodo storico in Africa ci sono tutte le potenze mondiali, sia con i rappresentanti ufficiali dei loro governi, sia con le loro multinazionali, spesso anche con le loro armi e i loro eserciti, ufficiali o per procura, poco cambia perché  è attraverso il controllo militare, oppure tramite la corruzione, il finanziamento e l’appoggio a dittatori sanguinari, oppure ancora attraverso bande paramilitari di mercenari che si diffondono la paura e le forme di controllo nei paesi africani, arrivando anche a imporre a molti paesi, il cambio con monete che debbono passare per forza dalle nostre banche in Europa, vedi franco CFA.

Di fatto da tanto tempo, prima con il colonialismo, adesso con il controllo coatto dell’economia e delle risorse, s’impedisce lo sviluppo di questo enorme continente.

Come spiega l’attivista e poeta maliano Soumaila Diawara la soluzione per l’Africa e per gli africani non è “Aiutiamoli a casa loro, bensì: Lasciate casa nostra”, espressione parafrasata poi dal calciatore Mario Balotelli che di recente ha giustamente dichiarato “lasciate l’Africa agli africani”

Presenza potenze occidentali europee in Africa durante il colonialismo

DA OLTRE TRENT’ANNI UN TRAFFICO CHE NON ACCENNA A DIMINUIRE

Lo scandalo scoppiò all’improvviso. Nel giugno del 1988 un gruppo di studenti nigeriani residenti in Italia avvertì la stampa africana riguardo l’esistenza di una grande quantità di rifiuti tossici inviati in Nigeria e poi abbandonati non lontano dalla spiaggia. In una zona abitata furono lasciati migliaia di fusti che sversavano senza nessuna sicurezza. Erano 18.000 per l’esattezza, i fusti zeppi di sostanze tossiche raccolti da un paio di note ditte di “smaltimento” italiane.

Negli stessi anni in cui lo slum di Agbogbloshie cominciava ad affollarsi, la comunità internazionale metteva a punto la Convenzione di Basilea per regolamentare il trasporto di rifiuti pericolosi tra Paesi sviluppati e Paesi in via di sviluppo. La Convenzione arrivò nel 1989, (l’anno successivo alla scoperta della discarica di rifiuti tossici provenienti dall’Italia a Koko in Nigeria grazie ad un rapporto che fece l’associazione “Amici della Terra”), e venne ratificata da 185 Paesi con l’eccezione degli Stati Uniti.

Oltre 30 anni eppure il traffico non ha mai accennato a diminuire, anzi, si è intensificato, ha preso altre forme, si sono fatti tutti più accorti.

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Così, da quando è sorta, l’immensa distesa di Agbogbloshie nel tempo è diventata una delle principali destinazioni dei 50 milioni di tonnellate di rifiuti elettronici che si stima siano stati prodotti a livello mondiale nel 2018.  Una quantità di ferraglia che equivalente a 5mila Tour Eiffel. Solo il 20% di questa produzione finisce per essere riciclata, sebbene 2/3 della popolazione mondiale viva in Paesi con una legislazione che prende in considerazione il problema.

Quaranta milioni di tonnellate di “e-waste” finiscono invece nelle discariche o peggio ancora vengono bruciati, o trasportati in paesi dove le leggi sull’importazione e i controlli sulla riutilizzabilità di materiali di seconda mano, non ci sono affatto, o comunque sono del tutto inefficaci, come si può vedere dai continui casi di devastazioni ambientali.

Gli apparecchi elettronici pur essendo per necessità diventati fonte di sostentamento per tanta povera gente, tuttavia, contengono materiali altamente tossici. In molti casi anche per la legislazione occidentale rappresentano un problema per la classificazione stessa dei rifiuti. Ciò a causa di come vengono prodotti: il ciclo produttivo occidentale non è circolare, non si basa su un’idea virtuosa e intelligente dove la produzione a monte tenga conto nei suoi sistemi produttivi di criteri come ad esempio il poter riciclare facilmente le materie e i componenti utilizzati. La produzione industriale occidentale non tiene conto di nessun criterio di riciclo e di riuso, si basa solo sui vecchi concetti tanto cari all’economia del libero mercato usa e getta: produci al costo minore possibile, ottieni il maggior guadagno possibile, consuma tutto quel che puoi consumare, non preoccuparti di chi lavora, e non pensare nemmeno alle possibili conseguenze in un domani.   Poco o niente importano criteri come la durata di un prodotto, lo sfruttamento di persone che possa esserci dietro, il riutilizzo o meno che se ne possa fare alla fine del ciclo, la facilità per riciclare quel che si produce, il danno che possa arrecare un determinato prodotto una volta gettato a fine utilizzo.

Port of Koko, Nigeria

LA POLITICA DEGLI “ZERO CONTROLLI”

 

La legislazione italiana in materia di rifiuti è molto lacunosa, la legislazione europea non è tanto migliore. Di un qualsiasi tipo di rifiuto non si riesce a capire ad esempio come tracciarne la vita residua. Appena uscito dalle frontiere, nell’esatto momento in cui lo prende in carico una nave battente la bandiera di un altro paese, di fatto sparisce. Non possiamo sapere se finirà in mare, oppure in una immensa discarica a cielo aperto in Africa, oppure se verrà lasciato a sversare veleni sulla riva del delta di un fiume. Anche guardando soltanto a ciò, l’occidente ha un enorme debito nei confronti dell’Africa e della popolazione africana, a cui ha tolto risorse, ne ha inquinato i territori e infine ha pure tolto la forza lavoro di milioni di persone costrette a fuggire perché l’ambiente in cui vive è stato talmente avvelenato e impoverito da non offrire più forme di sostentamento.

E’ solo dal 2002 che la Convenzione di Basilea ha iniziato ad occuparsi di rifiuti elettronici (in Italia adesso si designano con la sigla Raee) il cui peso negli anni è incrementato esponenzialmente, ma una regolamentazione precisa non mai stata del tutto definita. Computer, frigoriferi, telefonini, stampanti, climatizzatori, schermi televisivi, continuano così a girare per il mondo, eludendo in un modo o nell’altro le regolamentazioni dei diversi Paesi.

Istogramma Raee Elettronici, produzione milioni di tonnellate per anno

I dati sui flussi verso questi Stati, quasi sempre africani o asiatici, sono discordanti e di difficile interpretazione. Finora si stima che la provenienza dell’85% di questi rifiuti provenga dall’occidente.

Sul fronte del traffico portuale europeo, a parte i grandi proclami, siamo ancora di fronte alle politiche “Zero controlli”, mentre basterebbe seguire la destinazione di uno dei tanti container di rifiuti per capire dove finisca. E’ quello che di recente ha fatto l’associazione ambientalista Basel Action Network (BAN), che pochi mesi fa, ha nascosto 314 dispositivi GPS su materiali elettronici di scarto in Europa, qui l’intero report mappando così diversi casi in cui i rifiuti sono stati esportati da Regno Unito, Spagna, Italia, Irlanda, in paesi dell’Africa ed dell’Asia dove non c’è nessun controllo edove da tale traffico guadagnano funzionari corrotti, e organizzazioni criminali locali ed estere.

E’ interessante in particolar modo tracciare, anche se parzialmente, la filiera dei rifiuti elettronici come ad esempio ha riportato in una ricerca l’Università di Napoli Federico II: Il traffico transfrontaliero e lo smaltimento di rifiuti pericolosi alivello internazionale e comunitario”.   Consultandola si può comprendere come molti dei RAEE che partono dai porti europei e che arrivano in Africa, o nei paesi asiatici non provengono dai punti di raccolta ufficiali o dalle discariche comunali, ma molto più spesso da punti di raccolta informali o dalle strade, a volte addirittura vengono raccolti direttamente su internet. Il materiale illegale poi viene solitamente stipato dentro veicoli, ad esempio automobili usate, ed esportato tramite il veicolo stesso per essere portato in Africa. Ciò, ovviamente con l’appoggio di reti criminali e  mafie locai le quali spesso si appoggiano su migranti africani che vivono in Europa e avviano piccoli business familiari su questi traffici.

Carabinieri forestali durante il sequestro di un container di Raee

GLI ESCAMOTAGE LEGISLATVI CHE RENDONO LEGALE LO SMALTIMENTO DI RIFIUTI IN AFRICA

Il ciclo produttivo va avanti grazie a una serie di escamotage legislativi che rendono più o meno “legale” lo smaltimento di scarti e rifiuti. Se l’occidente dovesse smaltirli da solo sarebbe sommerso, letteralmente affogato dai suoi stessi rifiuti: altro che terra dei fuochi, le terre italiane sarebbero già diventate tutte invivibili e l’Italia sarebbe già arrivata al collasso ambientale.

Così l’Occidente e l’Europa vanno avanti con leggi sulla gestione dei rifiuti che di fatto sono un escamotage affinché siano altri a dover pagare il prezzo del loro stile di vita e della loro condotta scriteriata.

Il fine vita degli oggetti elettronici di uso quotidiano è un problema di scala globale, reso sempre più urgente dalla crescente obsolescenza degli oggetti che quotidianamente utilizziamo e dalle difficoltà, anche dei paesi più sviluppati, di provvedere a un loro riciclo efficiente.

Uno dei problemi a monte è l’aspettativa di vita di questi prodotti che non è mai elevata, anzi è sempre più breve poiché all’interno del loro ciclo produttivo per aumentarne il consumo da anni ormai è stato introdotto il sistema dell“obsolescenza programmata”, ovvero far durare un qualsiasi oggetto il minimo indispensabile nel rispetto dei termini per la garanzia.

L’Unione Europea peraltro prova a confondere le acque e ad allargare le maglie della definizione di esportazione per “riparazione”, con l’obiettivo di escludere questa fattispecie dalla definizione di e-waste.

Il continente africano dal canto suo in questi ultimi anni ha deciso di opporsi a questa politica e si è espresso unitariamente in un’importante dichiarazione alla Conferenza di Bamako e nella produzione d’una serie di documenti redatti durante tale conferenza, dove ci si esprime contro l’importazione di rifiuti elettronici, affermando il principio che, “qualsiasi cosa non funzionante va classificata come e-waste”.

Il ciclo dei rifiuti


LA STORIA DELLE COSE

Per capire meglio quale sia la logica devastante del ciclo produttivo occidentale esiste un video che gira già da diversi anni. Il video racconta la storia di come vengono prodotte le varie cose che utilizziamo, è narrata in forma di fumetto. Sarebbe utile e bello che gli insegnanti potessero farlo vedere in tutte le scuole, così come anche noi, insieme ai nostri figli, in modo da renderci conto con più coscienza di come funzioni il ciclo produttivo delle cose,  dei danni che esso produce alle persone e all’ambiente, in particolare proprio in quelle zone da cui adesso provengono migliaia di migranti in fuga e in cerca di sopravvivenza.

Un sistema produttivo, quello occidentale, che si ostina a non voler considerare che la filiera di tutto quel che produce non si conclude nell’atto della vendita, bensì con la gestione corretta degli scarti e dei rifiuti di fine ciclo che ne derivano.

 

PICCOLI PROGETTI IN CORSO

Qualcosa si muove nell’ottica di trasferire alle persone che sopravvivono alle attività legate alla discarica almeno le conoscenze minime per poter gestire meglio il riciclo.

“Riusciamo a fare arrivare qua nel nostro centro il 30% dei ricavi che entrano ad Agbogbloshie. Dove siamo riusciti ad arrivare, insegniamo a estrarre i metalli in maniera rispettosa dell’ambiente e della salute delle persone che vivono ad Accra,  spiega Bennett Samuel Akuffo, uno degli operatori dell’Agbogbloshie Technical Training Centre.

Gli Scrap dealers possono consegnare anche il materiale al nostro centro, – continua Bennet Akuffo – dove viene processato in modo ecosostenibile, e dove vengono pagati per il valore dei metalli contenuti nel materiale portato.” Un piccolo progetto interessante quest’ultimo che è stato finanziato dalla Germania, ma è davvero troppo poco per porre un freno alla catastrofe ecologica in atto nell’area.

Agbogbloshie: Technical Training Centre – (Credit: Muntaka Chasant)

mg


Per approfondire il tema del Modo di Produzione Occidentale – M.P.O.- vedi l’articolo di Adriano Torricelli

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2 risposte a +++ MARINA GORI, CASA AFRICA::: LUCA CELLINI, REDATTORE EDITORIALISTA DI PRESSENZA::: IN AFRICA LA PIU’ GRANDE DISCARICA DEL MONDO, IL PRIMO E L’ULTIMO ANELLO DELLA CATENA PRODUTTIVA OCCIDENTALE– vedi sotto il link dell’articolo completo

  1. Donatella scrive:

    Mi ha sempre fatto molta impressione l’esportazione di rifiuti. E’ come se mettessimo il nostro sacchetto delle immondizie davanti alla porta del vicino perché se ne occupi lui. E’ incredibile il costo, in termini di soldi e di salute per gli uomini e per l’ambiente, del commercio di rifiuti. E’ un meccanismo perverso, che naturalmente si ritorce contro i più poveri del pianeta. Perché non costruire oggetti che durino di più e che siano, in caso di guasto, aggiustabili?

  2. marina gori scrive:

    bello! grazie!

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