GRAZIE A NEMO ! — ARMANDO SPATARO, IL DECRETO SICUREZZA. I MAGISTRATI E LA GIUSTIZIA, REPUBBLICA DEL 7 AGOSTO 2019 –pag. 27

 

 

 

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Armando Spataro (Taranto, 16 dicembre 1948) è un magistrato e giurista italiano, ex procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Torino, ex procuratore della Repubblica aggiunto presso il tribunale di Milano, coordinatore del Gruppo specializzato nel settore dell’antiterrorismo. Ex segretario nazionale del Movimento per la giustizia (una delle correnti di sinistra dell’Associazione nazionale magistrati) è Dirigente nazionale della ANM, di cui è anche segretario distrettuale a Milano.

 

 

REPUBBLICA DEL 7 AGOSTO 2019–pag. 27

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7/8/2019

COMMENTI

Il decreto sicurezza

I magistrati e l’ingiustizia

di Armando Spataro

I magistrati non sono obiettori di coscienza, non possono rifiutarsi di ottemperare ai loro doveri ma è auspicabile che, ricorrendo alla Corte costituzionale appena ciò sia possibile, procedendo contro condotte illegali e disponendone l’interruzione, continuino a ignorare le aspettative di chi governa, qualunque ne sia il colore politico. Deve essere questa la risposta al decreto sicurezza bis voluto da Salvini. Grazie al voto di fiducia richiesto dal governo il provvedimento (emesso in assenza di qualsiasi urgenza) è stato convertito in legge. Potrà accadere che prima o poi, in vista di scadenze elettorali o per altre ragioni tattiche, arrivi anche un “decreto sicurezza-ter”, ma, con riferimento alle disposizioni approvate per il contrasto all’immigrazione illegale (oltre per alcune in tema di ordine pubblico), è davvero difficile immaginare qualcosa di peggio.

La lettura di questa parte del provvedimento lascia trasparire cinismo e indifferenza rispetto al diritto di tutti gli esseri umani alla vita e a un’esistenza dignitosa, ma anche implicite intimidazioni a quanti, con navi delle Ong o imbarcazioni da pesca, intendano adempiere al dovere di soccorso in mare.

Giuristi di ogni parte del mondo e autorevoli commentatori hanno più volte ricordato, anche su questo giornale, convenzioni internazionali e norme costituzionali secondo cui chiudere i porti ai naufraghi e ai migranti richiedenti protezione è consentito solo in casi eccezionali, come quello del “pregiudizio alla pace, al buon ordine e alla sicurezza dello stato costiero”, condizioni inesistenti per tutti i casi che hanno interessato l’Italia. Ed esperti della materia, insieme a organismi sovranazionali, hanno inoltre confermato che la Libia non è un Paese sicuro dove rimandare i profughi.

È stato giustamente sottolineato che tocca anche all’Europa farsi carico dell’emergenza degli stati costieri: ma perché allora negarsi al confronto attorno a un tavolo comune con gli altri governi come la politica alta- non quella dei diktat – imporrebbe? Di tutto questo si sa o si parla poco nel nostro Paese, ove spesso si ignora l’inattendibilità dei dati statistici che circolano, così come l’aumento degli sbarchi gestiti dagli scafisti e dei morti in mare.

Ma il “ministro di tutto”, intanto, oltre ad estendere anche le proprie competenze, è riuscito – grazie al provvedimento approvato – a introdurre nel nostro sistema una serie di sanzioni definite “amministrative”, che hanno invece un vero e proprio contenuto penale: il pagamento di somme fino a un milione di euro e il sequestro cautelare con successiva confisca delle navi a carico di chi, per salvare esseri umani, ha violato il divieto di ingresso, transito e sosta nelle acque territoriali, da lui emesso di concerto con i ministri della Difesa e delle Infrastrutture e trasporti.

Pare evidente che lo spostamento di tali questioni dal piano strettamente giudiziario a quello amministrativo abbia un senso preciso: tagliare fuori da settori d’intervento cari all’esecutivo quei magistrati che, esercitando i loro doveri e in ossequio all’obbligatorietà dell’azione penale, emettono provvedimenti sgraditi, dissequestrando navi, archiviando denunce o inchieste a carico delle lodevoli Ong, chiedendo – sia pure invano – autorizzazioni a procedere a carico di ministri per comportamenti che potrebbero integrare reati. E per di più giustamente tacciono, auspicabilmente sorridendo, di fronte agli inviti a “scendere in politica”.

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