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Operazione Libertà in Venezuela: fatti e propaganda
Nicolás Maduro di fronte ai vertici militari, 30 aprile 2019. Foto tratta dal profilo twitter del presidente del Venezuela.
Guaidó contro Maduro, terzo (e non ultimo) atto.
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Martedì 30 aprile in Venezuela si è consumato il terzo e non ultimo atto dello scontro tra il regime di Nicolás Maduro e il presidente ad interim autoproclamato Juan Guaidó. Uno scontro iniziato il 23 gennaio 2019 con l’autoproclamazione di Guaidó e proseguito il 23 febbraio con il suo tentativo fallito di far entrare aiuti umanitari nel paese. Nel tracciare un bilancio di una giornata caotica, è opportuno distinguere i fatti dalle indiscrezioni e dalla propaganda, ma è utile tenere conto anche di quest’ultima.
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I fatti sono pochi ma rilevanti.
Poco prima dell’alba Leopoldo López, tra i leader dell’opposizione e mentore politico di Guaidó, è stato liberato dagli agenti dell’intelligence (Sebin) che lo tenevano agli arresti domiciliari a Caracas. Subito dopo è apparso in un video nel quale il presidente ad interim lanciava “Operazione Libertà”: un invito al popolo a scendere in piazza e alle Forze armate ad abbandonare Maduro, seguendo l’esempio degli ex custodi di López.
Solo il primo dei due desideri di Guaidó si è realizzato: ci sono state manifestazioni in tutto il paese, proseguite il Primo maggio, ma i vertici militari – escluso il capo del Sebin, prontamente sostituito – hanno confermato la loro lealtà all’erede di Hugo Chávez. Maduro non è stato rovesciato.
Al tempo stesso, il 30 aprile la repressione delle proteste popolari è stata meno spietata che in passato, almeno a giudicare dal numero ridotto di vittime (due morti e un centinaio di feriti). López ha trovato rifugio nell’ambasciata di Spagna.
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Gli attori internazionali coinvolti nella crisi venezuelana hanno reagito secondo copione: Stati Uniti e gran parte dell’America Latina hanno espresso anche ieri il loro sostegno alle mosse di Guaidó; Russia, Cuba e Turchia hanno gridato al golpe e ribadito il loro appoggio a Maduro.
L’Italia ha confermato tramite il ministero degli Esteri e una nota di Palazzo Chigi la richiesta di nuove elezioni presidenziali, senza riconoscere Guaidó. Cui però il vicepremier, ministro dell’Interno e segretario della Lega Matteo Salvini ha voluto sottolineare la propria vicinanza.
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Le indiscrezioni più credibili, raccolte da giornalisti attendibili (1,2,3), riguardano la data della mobilitazione.
“Operazione Libertà” è stata preceduta da trattative con i vertici militari e del Tribunale supremo di giustizia. Doveva iniziare a maggio; è stata anticipata al 30 aprile per paura che Guaidó stesse per essere arrestato. Non tutti i partecipanti previsti hanno aderito al cambio di programma, determinando il fallimento della prova di forza.
La propaganda può giocare un ruolo decisivo mentre è in atto il tentativo di rovesciare un governo. Sotto questo punto di vista, le dichiarazioni di alcuni esponenti dell’amministrazione Trump meritano una menzione.
Il consigliere per la sicurezza nazionale John Bolton sostiene che il ministro della Difesa Vladimir Padrino, il comandante della guardia presidenziale Iván Hernández e il presidente della Corte suprema Maikel Moreno hanno già concordato con Guaidó le modalità della transizione. Se faranno quanto promesso, saranno rimossi dalla lista degli individui oggetto delle sanzioni Usa. Il rappresentante speciale per il Venezuela Elliott Abrams ha aggiunto che sono in corso da settimane i negoziati tra esponenti dell’opposizione e del regime. Il segretario di Stato Mike Pompeo ha detto che Maduro in mattinata era pronto a partire per Cuba, ma è stato dissuaso dalla Russia.
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L’obiettivo immediato di queste dichiarazioni è seminare il panico e la diffidenza nella cupola che sostiene, al momento in maniera piuttosto compatta, l’erede di Chávez. Al contempo, la rimozione dalla lista dei sanzionati Usa delle mogli di due uomini politicamente vicini a Moreno – avvenuta a marzo – ora è più chiara. Il presidente della Corte suprema è considerato da Washington una figura chiave perché può fornire una copertura legale al cambio di regime.
Ma per ora né Moreno, né Padrino, né Hernández sono stati convinti a rovesciare Maduro.
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