STEFANO CAPELLINI, INTERVISTA AD ENRICO LETTA –REPUBBLICA DEL 5 MARZO 2019 -PAG. 6

 

REPUBBLICA  5 MARZO 2019 / pag. 6

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Enrico Letta “Dopo 5 anni riprendo la tessera del Pd

—Mai più partito dell’antipatia”

STEFANO CAPPELLINI

 

Intervista di

Dice Enrico Letta: «Ho fatto una scelta di vita e resto fuori dalla politica parlamentare, ma dopo cinque anni è arrivato il momento di riprendere la tessera del Pd». Letta, che domenica ha votato per Nicola Zingaretti in un seggio del quartiere Testaccio di Roma, è convinto che si sia aperta una fase davvero nuova: «Il valore di queste primarie è doppio, perché sono state uno straordinario successo di partecipazione nonostante una campagna che non è stata al centro del dibattito politico».

Il Pd sembrava agonizzante.

Si è dato una spiegazione per questo risultato imprevisto?

«Il momento è grave. Di fronte a un Movimento 5 stelle in liquefazione e al rischio di un governo Salvini è scattata l’insurrezione».

Il governo, nonostante i problemi, ha ancora un largo seguito. Non c’è il rischio di sopravvalutare queste primarie?

«Il clima è cambiato. La luna di miele della maggioranza con l’elettorato è finita, perché i partiti di governo l’hanno gestita male e hanno dimostrato di non avere un progetto bensì solo l’arroganza del potere. E i 5 Stelle, con il loro carico di aggressività e accuse velenose, più ancora della Lega. Il messaggio subliminale percepito dagli elettori è che la spinta propulsiva è finita e che non si può andare avanti rimandando sempre tutto a dopo le europee».

Di Maio ha subito proposto a Zingaretti di collaborare all’approvazione del salario minimo. È un’offerta da cogliere per aprire una nuova fase?

«Questo governo va combattuto in tutte e due le sue componenti.

Zingaretti non ha bisogno dei miei consigli, ma mi sento di dirgli questo: al Pd è stata concessa una occasione vera. Gli è stato chiesto di salvare il Paese, non di esercitarsi in tatticismi di piccolo cabotaggio».

E se il governo dovesse vacillare dopo le europee? Il Pd potrebbe rientare in gioco insieme al M5S.

« Sarebbe sbagliato, non servono scorciatoie. Il Pd deve avere come bussola l’indisponibilità a qualunque operazione di trasformismo in Parlamento.

L’obiettivo è arrivare a elezioni anticipate il più presto possibile.

Qualsiasi altra operazione sarebbe di breve respiro e non sarebbe capita. La connessione sentimentale si ricrea parlando al Paese, non agli altri partiti.

Zingaretti metta in campo una opposizione credibile, ciò che è mancato in questi mesi».

Deve essere lui il candidato premier alle politiche?

«La scelta è nelle sue mani. Ha avuto un consenso tale da poter decidere liberamente. Ma l’argomento è prematuro».

In questi mesi le piazze sono state riempite dalle associazioni e dalla società civile più che dal Pd. È un ritardo colmabile?

«Grazie alla manifestazione di Milano e alle primarie è stato un fantastico week end, che forse non casualmente è arrivato a un anno esatto dal momento più buio della storia del centrosinistra. Ora il ruolo del partito deve essere diverso: creare una casa comune, accompagnare i processi e lasciare che si muovano su percorsi autonomi. Il Pd deve deve essere sempre più movimento, filo conduttore. Cercando magari di evitare gli autogol».

Autogol?

«Come sul tema dell’autonomia delle Regioni, fin qui gestito con un tana liberi tutti. L’Emilia Romagna, senza volerlo, ha finito perlegittimare un’operazione che sfascia la nazione. E Zingaretti l’ha capito, tanto che è subito intervenuto, spiegando che il modello giusto può essere quello del Piemonte, non certo quello del Veneto».

Gli avversari interni di Zingaretti lo accusano di voler tornare ai tempi dell’Unione, quando il centrosinistra a dodici partiti era paralizzato dai veti.

«Suggerirei di abolire le definizioni e le categorie del passato. L’Unione, la vocazione maggioritaria, tutti gli schemi di stagioni archiviate. Non sprechiamo nemmeno un minuto su dibattiti che non siano impostati sulla visione del futuro».

E le alleanze? I renziani dicono che riaprire a chi se ne andò dal Pd sarebbe causa di rottura insanabile.

«Anche qui non ragionerei di sigle e gruppi dirigenti. Ma è chiaro che serve creare un campo più grande, e per questo occorre ragionare con tutte le forze disponibili a combattere questo governo e costruire una alternativa».

Zingaretti è troppo marcato a sinistra per allargare il campo?

«Girando l’Italia per presentare il mio libro mi sono reso conto che in questo momento il tema delle disuguaglianze è il più sentito. C’è bisogno di una leadership che non abbia paura di proporre contenuti radicali e di una voce chiaramente di sinistra. E lo dico io, che pure provengo da una formazione diversa».

Non teme che le file ai gazebo si limitino a radunare solo militanti?

«Conosco personalmente tanti italiani che non sono iscritti al Pd, e che non hanno intenzione di iscriversi, e che sono andati a votare alle primarie. La gente si è mobilitata all’ultima curva, ma la mobilitazione oggi è molto più rapida di un tempo. E su questa politica iperveloce dobbiamo riflettere».

Cosa vede in questo nuovo Pd che l’ha spinta a iscriversi di nuovo?

«Vedo la potenzialità di un partito forte e generoso, con un progetto chiaro e autonomo per il governo del Paese. Ricordiamocene quando toccherà di nuovo a noi: servono anticorpi contro l’arroganza. Il Pd non deve più essere il partito antipatico».

Renzi resterà nel Pd? Possono convivere vecchio e nuovo corso?

«Le prime parole di Renzi sono state intelligenti e incoraggianti. Mi è sembrato costruttivo. E se lo dico io…».

Renzi dice che lei non supera il rancore.

«Avrei tante cose da dire, ma la cosa più ridicola sarebbe sciupare un momento così bello riaprendo capitoli che per fortuna sono chiusi».

Prima delle politiche arriveranno le europee. Al Pd basterà prendere più del 18 per cento?

«In Italia si gioca la partita più importante per allontanare l’incubo del sovranismo dall’Europa. Come noi tifiamo per i democratici affinché battano Trump, così nel resto del contintente si guarda al Pd nella speranza che diventi il motore dell’alternativa».

Non è ancora troppo fresco il ricordo dell’ultima stagione di governo chiusa con il 18 per cento?

«Quel tempo è passato. Ma ricordiamocene quando toccherà di nuovo a noi governare: servono anticorpi contro l’arroganza. Il Pd non deve più essere il partito così antipatico e respingente da spingere la gente a votare il M5S».

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